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domenica 9 marzo 2014

Don't call me shampeesta.

L'altra mattina sono arrivata al salone e come ogni mattina ho acceso lo stereo. Gesto automatico del pigiare un bottone e sintonizzare sulla frequenza di una radio favarese.
Dalle casse mi giunge la voce di uno speaker noto. Sento parlare di lui da quando sono piccola, l'ho ascoltato anche spesso, e ammetto che dentro di me ho nutrito per la sua figura una simpatia di quelle che si nutrono per i personaggi dei piccoli sobborghi cittadini che fanno qualcosa con passione e per questo si distinguono. Lui ha la passione della radio, credo.
Lo speaker è un caratterista, con una parlata inconfondibile che mi porta a scrivere un post del buongiorno su Facebook, ironico, un po' tagliente ma in fondo benevolo. Continuo comunque ad ascoltarlo.

Qualche giorno dopo mi scrive un messaggio di posta, comprensibilmente stizzito dal mio post di critica al suo modo di parlare, dicendomi a chiare lettere che io, proprio io, quoque io, che sono una shampista non potevo mica criticarlo. Non era accettabile che sempre io, la shampista, potessi esprimere un parere sulla voce in pubblica diffusione radiofonica di una persona. Ci ho riflettuto un po', poi ho risposto.
C'ha avuto ragione. Non eravamo amici, non ci conoscevamo, la pizza insieme non l'avevamo mangiata mai e quindi non fu un gesto elegantissimo da parte mia accostare il suo nome d'arte con un'inversione totale delle dentali e delle gutturali ulteriormente modificata dall'amplificazione del microfono. Mi sono scusata, ero ironica, ho detto. E' un giudizio personale, ho detto. Lo elimino, e l'ho fatto.

La cosa su cui davvero ho riflettuto per più di due secondi (e più di due ore) è stato il fatto che lui volesse, in qualche modo, colpire il mio orgoglio personale di donna non istruita - a suo immaginare - dotandomi del ruolo - che per altro non ricopro, ma è un dettaglio futile - di ragazza addetta agli shampi nell'azienda per la quale lavoro. Il mio orgoglio personale ne è uscito, com'è naturale, illeso. Avrei potuto spiegargli nel dettaglio che io sono visual merchandiser dell'azienda, che mi occupo di social media marketing, ho un blog con diecimila lettori al seguito - ed è un'occasione per ringraziarvi - e che proprio quel giorno ero reduce da un mio intervento presso la Facoltà di Economia di Catania, nell'ambito della convention un Vulcano di idee per parlare di Farm Cultural Park come pratica di rilancio economico e sociale per la città di Favara. Avrei potuto spiegargli che mia mamma e mio papà hanno faticato una vita, prima per farmi studiare al Liceo Classico e poi per mantenermi alla Facoltà di Lettere e per tante altre belle cose in giro per l'Italia e che grazie ai miei temi - sempre concessi con cortesia e gratuitamente - un quarto della generazione degli anni Novanta del mio paese s'è diplomata.
Avrei potuto aggiungere che ho presentato libri - non miei, ma di gente migliore di me - lavorato come giornalista in una nota tv locale per qualche mese, scritto per svariate testate giornalistiche on-line e che alla fine ho deciso di fare altro, ovvero la visual merchandiser di una parrucchieria, perchè è l'unico lavoro che mi paga tanto da potermi pagare le ultime tasse dell'università da sola, senza andare da papà a farmi fare i versamenti in banca. Ho fatto anche tanti altri lavori che con i miei studi non c'entrano nulla: la cameriera, la guardarobiera, la lavapiatti e la lavacessi, e tutti per lo stesso scopo: viaggiare, farmi una cultura, laurearmi. Potrei continuare ma diventerebbe un curriculum, o un'inutile attestazione di arroganza che voglio mantenere ben lungi da me, vanificando gli sforzi della mia famiglia, umile nucleo monoreddito. Era solo per dire le cose giuste, insomma.

E devo dire che tanto il mio orgoglio personale n'è uscito candido, che la cosa che in realtà mi ha lasciata di stucco è stato l'utilizzo dell'appellativo shampista quasi a voler automaticamente sminuire l'autorità della voce di una persona solo perchè la sua professione è occuparsi dei capelli delle persone. Ma quindi una donna o un uomo che fanno i capelli sono automaticamente ignoranti e non possono esprimere gusti personali? Ma quindi una donna o un uomo che hanno seguito una strada altra rispetto agli studi universitari sono da definirsi inferiori intellettualmente o per gusto estetico? Essere shampisti è ragione di mutezza dovuta e necessaria? Una shampista è competente solo di cute sensibile e phon e spazzola? No, non è così.
Lasciando stare che l'unica volta che ho provato a fare lo shampoo alla mia collega - invertendo i nostri ruoli - le ho messo due volte solo il balsamo e poi mi sono pure chiesta per mezz'ora perchè non facesse schiuma, lasciamo stare questo, dico, e pure se fosse? Pure se io fossi una shampista, dovrei in qualche modo vergognarmene?

L'epoca in cui viviamo mi pare che ci stia insegnando ampiamente che vivere e arrivare a fine mese è difficile, che un ragazzo di vent'anni che c'ha un sogno - il mio è di scrivere un libro - deve aggrapparsi con mani denti unghia e tutti gli oggetti a gancio che trova a sua disposizione, ad un futuro risicato e instabile. Io sono fortunata perchè i libri di letteratura latina posso acquistarli facendo un lavoro che è di mia competenza, ma se domani mi capitasse di dovervi lavare i capelli per arrivare ai confetti rossi, e anche dopo questi, per fare la spesa e aiutare i miei genitori, io lo farei. E lo farei anche piuttosto fiera.
Detto ciò, voglio sfatare il luogo comune secondo cui il parrucchiere è una figura priva d'istruzione. Magari qualche volta, magari spesso, magari non lo so, ma i luoghi comuni sono quello che sono. E' come quando dicono che le donne sono tutte troie. Mica è vero, le mamme non lo sono mai, ad esempio.

Me ne sono prese tante di definizioni da quando lavoro al salone, shampista è di sicuro quella che ho gradito di più, perchè penso alle mie amiche che lo fanno per davvero, e io le chiamo colleghe, e quando c'è pausa pranzo dividono materialmente il loro pane con me, e se ho scritto questo post è solo perchè credo che il lavoro sia una cosa sacra e nessun lavoratore mai dovrebbe essere definito solo per quello che fa.
C'è anche un cervello, c'è anche un cuore, c'è anche tutto il resto. Non chiamatemi shampista, ma solo perchè non so fare gli shampi. Mi so incazzare bene, e questo - purtroppo - non paga mai.
Ah, dimenticavo, ho condotto per cinque mesi un programma di letteratura a RadioLab Catania. Se mi vuoi invitare io ci sono, ciao.

2 commenti:

  1. Il lavoro non mi piace − non piace a nessuno − ma mi piace quello che c'è nel lavoro: la possibilità di trovare sé stessi.
    Joseph Conrad, 1902

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  2. Ciao valentina ricordati che c'é una web radio che ha bisogno proprio di una shampista proprio come te ;-)

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