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domenica 28 agosto 2016

Farm Film Festival 2016: la prima edizione a Favara

La prima volta che ho parlato con Marco è stata questa.


Già da allora, da quella prima intervista, avevo capito che avrebbe portato, prima o poi, qualcosa di veramente innovativo nel nostro territorio. Da quel giorno, è passato un anno.
Un anno dopo, Marco è venuto a trovarmi a lavoro e mi ha detto:
Vale, mi sono deciso a mettere su una cosa che volevo fare da tempo: un festival cinematografico.
Nasce così il primo Farm Film Festival 2016, da un'idea del giovane regista video maker agrigentino Marco Gallo, e dal supporto di Andrea Bartoli e Florinda Saieva, mamma e papà di Farm Cultural Park.

Dal 1 al 4 settembre, a Favara, arriveranno i registi, i cast e i produttori dei quarantadue cortometraggi finalisti, e appartenenti a cinque categorie: Short Farm (Corti a tema libero),  Social\Creative ShortFarm (Corti a tema), Docu-Farm (Documentari), Farm Animation (Animazione), Farm Clip (Videoclip). Una giuria formata da giovani esperti di cinema e spettacolo decreterà il vincitore del primo Farm Film Festival, durata la serata conclusiva. Gero Miccichè, Beppe Manno, Leandro Picarella, Juraj Horniak e Marco Vaccaro: i nomi dei cinque giurati che, invitati dal direttore artistico del Festival, saranno chiamati a scegliere il film - a loro giudizio - migliore.

I Sette Cortili di Farm ancora una volta si confermano luogo di idee che prendono vita, e non ci pensano proprio a restare nella testa.
Tutti i giorni, a partire delle 18, intervisteremo i registi, i produttori e le crew che si muovono in sinergia per la realizzazione di ogni cortometraggio, e dalle 21 assisteremo alle proiezioni dei film, che si terranno nella parte più alta del grande Cortile Bentivegna.

La sigla del Festival è già virale, migliaia di visualizzazioni e condivisioni sui social. Vi invito a guardarla; la trovate all'interno della pagina Facebook dell'evento che vi consiglio di seguire con un like, per non perdere nessun dettaglio sui programmi delle quattro serate.

martedì 16 agosto 2016

Cronache di una convivenza: mese otto.

L'arrivo settimanale del nostro giorno libero vuol dire svegliarsi insieme, con calma, sorseggiare il caffè in soggiorno, con gli occhi ancora chiusi dal sonno, aprire le persiane e cercare Fox Animation su Sky. Il giorno libero vuol dire che possiamo far colazione senza dover correre a lavoro, e fare la doccia lentamente, godendoci l'acqua che gronda sulle nostre teste e le deterge a fondo, in una nuvola di schiuma bianca che profuma di pesca. Avere il giorno libero vuol dire baciarsi ovunque, per la casa, e non solo sull'uscio, come fosse un furto maleducato.
Ma quando abbiamo il giorno libero vuol dire che le nostre divise da lavoro vanno sulla poltrona, in camera da letto, a riposare pure loro. Quindi vuol dire anche che: io devo stirare. E sono cazzi.

Per una donna, andare a vivere col proprio uomo, significa anche misurarsi con gli standard qualitativi della donna che se n'è occupata fino ad allora: la mamma. E mia suocera, essendo cuoca superba e stiratrice universale, rappresenta uno standard, diciamo, compreso tra il 90 e il 100. Come potrei mai competere io, che fino a qualche mese fa non sapevo ancora impostare la centrifuga nella nostra lavatrice?

Capitava che tirassi fuori tutta la roba dall'oblò, tutta inzuppata d'acqua calda, e che dovessi usare due mani (e la forza di due braccia) per stendere due asciugamani, i quali iniziavano a gocciolare, prima lentamente poi sempre più forte, diventando una cascata e inondando il balconcino del buon Mohammed del primo piano. La seconda settimana me lo fece notare, incontrandomi per le scale: signora, tu non strizzi vestiti. 
Così ho dovuto studiarmi il manuale delle giovani marmotte casalinghe, per imparare il giro di manovella necessario a strizzare vestiti. Signora.

Il giorno libero di oggi ha implicato l'accensione del ferro da stiro, perchè le magliette già stirate si era comunque fottute nell'armadio e ad altezza del petto avevano più curve di Valeria Marini.
Mentre cercavo di abbatterle con la furia di calore possente firmata Arieteilgeniodellacasa, pensavo: mia suocera le avrebbe già eliminate con un colpo solo, e anche mia madre. Sarebbe già tutto bello liscio qui. E con rabbia affondavo la poppa della piastra rovente, attraversando i mari di pieghe in tempesta sulla polo bianca, che tanto amo vedergli addosso.
Comunque sia venuta fuori la piega, o calma o agitata come il mare di questi giorni, lui arriva e si tuffa con dolcezza nelle mie ansie di non essere mai troppo, di non fare mai abbastanza. E mi chiedo anche se sia stata la scelta giusta iscrivermi a questa specialistica, e anche se sono realmente portata per il mio nuovo lavoro. Mi chiedo mille cose, se le farò bene, se le sto già facendo bene. O almeno meglio di come stiro le polo e le camicie, con quelle sono proprio una frana.

Forse vivere insieme vuol dire proprio questo.
Stirare le pieghe nel cuore dell'altra persona, prendere i difetti e farli diventare favolosi, ridendoci sopra. Certo, ogni tanto è anche terapeutico far volare i piatti (quelli di Tiger, non quelli del servizio buono) e poi ritrovarsi a far pace su un angolo di lenzuolo fresco di bucato. Ci sono dei giorni, quelli non liberi, in cui ci si vede solo appena svegli e poi un attimo prima di dormire, la sera. Quelli sono i giorni in cui mancarsi, pur condividendo lo stesso tetto, sembra paradossale eppure è.
Chissà se questo anno ci porterà sulla strada giusta, quella in cui siamo noi a decidere quando essere liberi e quando no, questo sogno infinito e che prende corpo momentaneamente solo su qualche post-it e una cartella di Pinterest. So però di certo che abbiamo capito che amarsi non è così facile, nè da vicino nè da lontano, ma se ci si ama tanto non c'è lavoro che possa tenerci distanti o calzino sporco che possa smorzare la nostra passione. Si chiude la porta di casa a doppia mandata, si stacca la presa del ferro da stiro, si tirano fuori due birre gelate dal frigo e si guarda una puntata di Friends sul divano. La pila di vestiti può aspettare un'altra settimana.



venerdì 12 agosto 2016

YAB: l'electro-Ferragosto di Agrigento centro.

Il primo ferragosto in spiaggia l'ho fatto a dodici anni: a Cannatello, dalle otto di sera a mezzanotte. Mia madre ci aveva fatto i panini col prosciutto, comprato il tè al limone e la pizza a taglio. L'acqua naturale, gassata no. Scendemmo in spiaggia alle tre del pomeriggio e a mezzanotte spaccata, mio padre venne a prelevarmi munito di torcia, per salvarmi dagli ubriaconi molesti che subito dopo avrebbero popolato la spiaggia. Gli stessi che -  mi diceva - scioglievano poi la droga nei bicchieri e regalavano caramelle modificate al gusto di felicità. Tornai a casa felice comunque.

Non passarono molti anni da che gli ubriaconi molesti, in realtà, fossimo io e i miei amici. 

Per anni, a campeggiare con tende di fortuna recuperate il pomeriggio stesso dai garage dei cugini più grandi - dunque piene di polvere e resti coprolitici di dubbia provenienza - o comprate nell'ultimo negozio aperto fino alle nove pure a Ferragosto, solitamente quello del signor Stachanov di turno che vuole guadagnare tutto il guadagnabile, fino all'ultimo euro. Tutto si concludeva la mattina successiva, svariate bottiglie di vodka dopo (solitamente alla fragola e al melone, che erano quelle che piacevano a tutti), molta sabbia dentro le mutande (chissà quante colonie di scarafaggi riprodotte involontariamente dentro la nostra vagina) e qualche bambino procreato di troppo, venuto al mondo poi a Maggio, posato su uno scoglio da un gabbiano, come sostiene Fabio Concato. Poi sono arrivati i Ferragosti in famiglia, coi suoceri, col fidanzato, coi cani, coi colleghi, le grigliate in veranda, il vino buono, stop alla vodka scadente, il cocktail a bordo piscina, la carne angus e non la salsiccia in offerta all'Eurospin, e tutta questa roba qui.

E poi quest'anno.

E io quest'anno, non c'ho voglia di stressarmi, spostarmi chissà dove, tirarmi fuori le dune dal costume la mattina del quindici e soprattutto non c'ho voglia di mettermi in auto con due birre di troppo: adesso vivo ad Agrigento centro, la macchina è solo un triste ricordo. Ho solo voglia di divertirmi, con le persone che conosco, a pochi passi da casa mia e con la musica che più amo al mondo. Mi voglio scialare, va.
E allora che famo? Andiamo allo YAB! 

Sì, dice, Vale ma che è sto YAB? Ve lo faccio spiegare da Davide Lo Iacono, direttore artistico del primissimo Festival di musica elettronica al centro storico di Girgenti:


  • Ci si è sempre chiesto, osservando il decorso socio-culturale della nostra città, quali potessero essere le soluzioni più adeguate affinché si rigenerasse il desiderio di condivisione della bellezza, quale strumento in grado di ispirare alla propria comunità idee e risorse umane. YAB è fondamentalmente tutto questo: idee, sinergia, sviluppo della curiosità. Acronimo di you are beautiful, YAB sintetizza il bisogno di far pensare ai cittadini stessi quanto importante sia sentirsi "bellissimi" nell'abbracciare e accogliere idee capaci di rappresentare un piccolo passo in avanti, verso un nuovo concetto di visione di tutto ciò che circonda,che sia la città stessa,la gente,i propositi,le iniziative.un'idea sola rimane un'idea ma, se protetta dalla bellezza partecipativa della gente, diventa una realtà.
E così, grazie ad un team di giovani fortissimi, fra i quali voglio ricordare Federica Salvo, giovane e brillante professionista agrigentina (ma anche tanti altri, tutti in gambissima) avremo il primo Ferragosto al Centro di Agrigento. Dunque il 14 agosto, a partire dalle 21, piazza san Francesco ospiterà una serata di musica elettronica, arti visive, proiezioni, e una rotazione di dj pieni di talento, fra cui - oltre ai due organizzatori già citati - Santo, il quale  non solo ha dato vita alle migliori feste di compleanno e non della mia vita, ma girando il mondo con la sua musica è riuscito a portare nella sua terra una cultura electro ricercata e fine. Insomma, tutta roba di qualità allo YAB.
Siete tutti bellissimi, ci vediamo là.