E tu sei il numero:

giovedì 28 novembre 2013

Un post su niente o se preferite Stanley Kubrick

Sono giorni che guardo questa pagina bianca e desidero che si riempia da sola.
Non è successo.

Ecco perchè questa mattina, reduce da una notte non brava ma bravina, mi affido alla mia fedele tastiera per raccontare il nulla che sta albergando tra i miei neuroni.
Ho aperto gli occhi che erano le nove. Programma regolare: occhio a Facebook, a Instagram, pipì, colazione e via dicendo. Il primo step è sempre la home del social blu, e questa mattina ad aprirmi ai pensieri della giornata è stato Christian Done, con un pezzo che è una pietra miliare del mio breve corso accelerato sull'hip-hop siciliano: Quando un giorno tornerai, di Stokka&MadBuddy. E ho fatto play, mettendo in moto un lenzuolo di pensieri da qui a Nuova York, circa la mia vita attuale futura passata e devo dire che c'ho capito meno di Flavia Vento con un tomo di Hegel in mano. Innanzitutto mi scuso con degli amici ai quali avevo promesso che avrei scritto di cose bellissime che stanno facendo in giro per l'Italia, ma oggi non ho cuore di trattare tematiche di ordine creativo e serio e intelligente. Vi voglio bene, non me ne abbiate.

Oggi voglio parlare di tutto e di niente, una rassegna di tutto quello che mi sta passando per la testa, così. Un post random su una mattina di pioggia.
Avete presente quei romanzi scarsi che iniziano con: lei guardava fuori dalla finestra la pioggia battente sulla Fiat Panda bianca della madre e il parchimetro ricordava un uomo anziano chino per la stanchezza?
Avete presente quei romanzi scarsi che iniziano tipo così? Ecco. Secondo me cominciano a scriverli in mattinate come questa, che non hanno un cazzo da fare come me e si mettono in testa di buttar giù due righe e poi si cercano su Google le liste delle case editrici per giovani emergenti, non appena mettono il punto a pagina uno che verosimilmente coincide con Capitolo 1, destinato a rimanere figlio unico.
Non ci ho messo la pioggia e le finestre, ma qualche volta di troppo l'ho fatto anch'io.

Sto pensando al Pandoro. Il Pandoro è un'invenzione di Gesù, peccato che è pieno di burro.
L'anno scorso ho preso quindici chili in una settimana mangiando a tutte le ore della notte e del dì Pandoro piastrato nella piastra dei panini e poi spalmato di Nutella. Allora, no, a parte che non sapeva di prosciutto se ve lo state chiedendo, ma non è consigliabile in quanto annoverabile nella categoria: droga.

Ora è Natale, sto facendo finta di non pensarci perchè il Natale è sempre una lama a doppio taglio, un misto di sentimenti agrodolci alimenta i miei scazzi riguardanti questo meraviglioso giorno che, ora è facile tirare fuori la citazione cinematografica, ma sarebbe anche il compleanno del Gesù di cui sopra. E' il giorno in cui tutti riscoprono Kubrick e cominciano a postare senza inibizioni né freni la scena di Full Metal Jacket in cui il sergente Hartman fa cantare Tanti auguri a te ai militari. Seguono ovazioni per Palla di Merda che alla fine si spara e qualcuno sostiene che è la cifra del film, la scena portante, il picco, che da lì si ridiscende in un secondo tempo pastoso e lento, un po' prevedibile e agglomerato di clichè sul Vietnam distorti dalla visione del regista che fra l'altro ma sai Kubrick è uno di quelli che lo ami o no cioè non c'è una via di mezzo se ti piace il genere è cioè è comunque abbastanza introspettivo nell'apparente chiave splatter che connota la sua filmografia cioè capisci. Suca. Preferisco, a 'sto punto, quelli che cominciano a taggarti nelle classiche foto di un albero di Natale stilizzato con uno scintillio innaturale di palle e palline rigorosamente dorate perchè, si sa, l'oro fa festa e fa figo, fa più figo che festa, fa benessere, fa regali, fa baccalà e cardi fritti a tavola, fa pandori da piastrare all'infinito e panettoni con l'uvetta passa che in genere piacciono ai padri e pacchi coi fiocchi veri non come quelli di polistirolo che mettono per finta sotto gli alberi dei centri commerciali, io da piccola me li fottevo e poi ci restavo di merda, naturalmente.
Ma questo non è un post sul Natale, quindi eviterò di continuare a snocciolare la questione, però ci ritornerò.

Ma perchè la gente quando va a ballare prima non si lava? Io ieri sera, veramente, ho pensato ci fosse un angolo friggitoria cipolle in un noto locale della costa agrigentina, però non faccio nomi che poi mi dicono sempre che cerco di screditare le cose e i posti perchè sono di parte e lavoro per la concorrenza. Ma no, capita ovunque tranquillo signor proprietario non è colpa tua. Questa cosa della scarsa igiene personale è peggio che essere interisti negli ultimi anni, e io lo sono, però profumo. Poi un'altra cosa, ma che va di moda procreare bambini sulla pista da ballo come se noi intorno fossimo fantasmini Casper? C'era una coppia ieri che a momenti a lei davamo i risultati del pap test instantaneo o come ha detto Laura: <Le vedo pure le grandi labbra>. Vero è ragazzi, contenetevi o figliate altrove, tipo nei motel sanpietri sparsi per la provincia.

Ah, stiamo lavorando a un progetto nuovo, e per stiamo non posso dirvi chi e neppure cosa, però è una cosa bella con delle persone che mi piacciono tanto e alimentano il mio egocentrismo con vermetti di amore tipo mamma uccello che imbocca i figli ingrati.

Basta ho finito.

domenica 17 novembre 2013

#semilasciconlarte - Fabrizio Silvestre e IMT Festival di Video Arte

Ho conosciuto Fabrizio una domenica pomeriggio, ed è di domenica che vi racconto di lui.
Galeotto fu un mercatino vintage The second life di Farm, Andrea mi aveva già parlato di lui e, non ricordo precisamente come, abbiamo fatto amicizia. Mi ha detto chi era e cos'avrebbe portato di lì a poco a Favara, a me sono brillati gli occhi e qualche giorno dopo ci siamo rivisti davanti ad un bicchiere di vino al Caffè Italia, in compagnia del nostro amico comune Simone Bruno e alcuni funners.

Fabrizio Silvestre, empedoclino di nascita, ha scelto Favara e i Sette Cortili come sede unica italiana della quarta edizione di InMediTerraneum, Festival di Video Arte che si svolge simultaneamente in 6 città di 6 paesi dell'America Latina e del Mediterraneo, il 28/29/30 novembre 2013. E' incentrato sullo sviluppo di nuove tematiche connesse con le possibilità creative relative alla video arte. Il Festival ha come scopo il cambio di marcia nel flusso abituale dei circuiti artistici attraverso una rivalutazione di ciò che viene definito centro e ciò che viene definito periferia.

Le sei città che ospiteranno in contemporanea IMT sono Bogotà, Madrid, Montevideo, Atene, Cordoba e Favara. Un progetto dunque di internazionalizzazione delle idee, di cooperazione fra i Paesi, ed ennesima occasione di rilancio sociale e culturale per le realtà urbane in via di sviluppo. Mi sembra un'ottima occasione per Favara, e gli spazi di Farm Cultural Park mi sembrano perfetti per accogliere il tema principale del festival di quest'anno: il fuori luogo. Un invito alla riflessione sul senso d'inadeguatezza e di disagio nel sentire che la realtà circostante non ci appartiene. Qui il video di presentazione di #IMT4 al Farm Cultural Park : http://www.youtube.com/watch?v=wAgeZXUebZ8
Quando ho chiesto a Fabrizio perchè proprio Favara, lui mi ha detto che aveva voglia di investire le sue energie sul territorio in cui è nato, dargli una chance e Farm rappresenta il fuori luogo per eccellenza, rappresentando un punto di rottura totale col contesto stilistico - sopratutto architettonico - circostante.
E così, a pochi giorni dall'evento, gli ho chiesto di parlarmi di lui, del suo percorso e di quello che il Festival IMT rappresenta.

Sono Fabrizio Silvestre, co-fondatore del FESTIVAL INTERNAZIONALE SIMULTANEO DI VIDEO ARTE INMEDITERRANEUM, il festival è sorto nel 2010 da un'idea del sottoscritto e di altri due amici e colleghi; un pomeriggio durante una visita ad un'ennesima fiera d'arte contemporanea a Madrid, dove ho vissuto e lavorato per diversi anni, abbiamo tutti e tre maturato l'idea della mancanza di un evento legato all'arte contemporanea che si rivolgesse a quelle realtà che giacevano al di fuori dell'orbita dominante e che indagasse queste realtà attraverso le possibilità creative offerte dalla video arte e dai nuovi media in generale. Da questa riflessione abbiamo costruito il festival dandogli fin dall'inizio una vocazione internazionale e siamo riusciti a coinvolgere altri professionisti e a farli innamorare di questo progetto. Siamo una squadra internazionale e multidisciplinare, attenti alle possibili ibridazioni tra arte e tecnologia. Rivalutiamo gli stereotipi e proponiamo una rivisitazione dei concetti di centro e periferia. Siamo il ponte culturale vivente tra America Latina ed il Mediterraneo.
Siamo una struttura orizzontale, dove la gerarchia lascia il posto al valore dell’individuo e alla distribuzione dei compiti in base alle proprie competenze
Ovviamente non è stato semplice dar vita a questo progetto e non lo è tuttora. 
INMEDITERRANEUM, Imt d’ora in poi, attualmente coinvolge sei paesi tra mediterraneo ed America latina, specificatamente Italia Spagna Grecia argentina Colombia Uruguay. Il festival è quest'anno alla sua quarta edizione e per la prima volta sarà ospitato da Farm Cultural Park, la collaborazione mi rende particolarmente felice da una parte perché abbiamo portato IMT in territorio agrigentino dall'altra perché il Festival e la Farm condividono un obiettivo: puntare i riflettori su quella che è considerata periferia dal mondo dell'arte contemporanea, superare i circuiti mainstream e risuscitare l'interesse del pubblico.

Come ogni anno, attraverso un bando pubblico, indirizzato ad artisti e collettivi provenienti dai sei paesi coinvolti, proponiamo un tema da sviluppare ed interpretare. La tematica scelta quest'anno è il concetto di fuori luogo: Affermando che qualcosa è fuori luogo diamo per scontato che vi sia un posto idoneo, adeguato per ogni cosa, per ogni azione. Chi decide, però, la linea divisoria?
Tramite questa tematica invitiamo a riflettere su ciò che significa essere fuori luogo e avvertire un senso di disagio e inadeguatezza nel sentire che la realtà che ci circonda non ci appartiene. Essere fuori luogo ha anche una valenza positiva e carica di creatività perché circoscrive un “non luogo” libero dagli schemi e dalle gabbie precostituite che ci permette di agire in piena libertà e ci stimola a ridefinire le categorie senza subirne il peso. Questa tematica si sposa totalmente con la nostra nuova sede italiana ossia FARM CULTURAL PARK a Favara.

Favara è stata una scoperta quest’anno, pur essendo agrigentino, non ho mai frequentato Favara né  minimamente pensato che tanti eventi culturali e tanto interesse potessero sorgere grazie alla creazione di questo polo catalizzatore che è FARM CULTURAL PARK.

Ovviamente come quasi in tutta la regione uno degli ostacoli principali all’incremento del turismo è la carenza dei mezzi di trasporto adeguati! Ma più in generale manca, soprattutto da parte degli amministratori locali, la valorizzazione del territorio e del patrimonio culturale e umano.

Per seguire il progetto basta visitare il sito, ricco d'informazioni e programmi dettagliati, nonchè la pagina Facebook:


http://it.inmediterraneum.com/
https://www.facebook.com/inmediterraneumitalia?fref=ts

sabato 9 novembre 2013

Una foto per amare Agrigento

Ieri ho assistito alla premiazione del concorso fotografico Fotografa il territorio, indetto dal Distretto Turistico Valle dei Templi. E sì, merita una pagina intera di blog. Almeno.
La premiazione si è svolta nella sala Nzemmula di Farm Cultural Park, meglio nota come Spazio Nero, lo stesso delle presentazioni dei libri che vi ho raccontato ed altri eventi culturali, per intenderci.

Ok, sono sincera: non riesco a proseguire nel racconto, perché quando una cosa è molto bella ed emoziona tanto poi è difficile da trasferire su carta - o chi per lei - con delle parole che risultino adeguate. Io ci provo.

Ho ricevuto l'invito qualche giorno fa da Adriana, la mia amica funner e compagna di viaggio romana, che lavora al Distretto ed una degli organizzatori del concorso. E' una tipa sveglia, ma questo forse l'avevo già scritto. Adriana è iperattiva, stacanovista e sempre sorridente. E' poco più grande di me, ma è comunque un idolo, e non solo perchè le voglio un gran bene.
Ha preparato grafiche, video - non tutto da sola, ma la immagino sveglia la notte per inviare comunicati e fare telefonate impossibili - ed è proprio questo, questa passione che lei mette nel lavoro e in ogni altra attività che sceglie di portare avanti nella sua vita, che fa riuscire le cose divinamente. Ieri, infatti, è stata una bella cerimonia.

Quando sono entrata in quel salotto così familiare ch'è ormai per me lo Spazio Nero, ho trovato lei seduta in postazione computer a controllare le ultime cose prima della proiezione delle foto, e Gaetano Pendolino, presidente del Consorzio Turistico Valle dei Templi. Un uomo alto e sorridente che ha aperto l'incontro con un bel discorso, che m'ha tirato la prima ondata di pelle d'oca. Se avrà modo di leggere questo post, come spero, vorrei dirgli: Ciao signor Pendolino, scusa se ti do del tu ma dentro questo blog si parla di persone con le persone, in maniera del tutto easy e friendly, quindi concedimi la confidenza di dirti che sei stato proprio bravo, e che sono cose di questo tipo che rilanciano l'economia turistica del nostro territorio. Sai, io penso che il segreto della riuscita della piccola rivoluzione che stiamo provando a fare, stia nell'innamorarsi ogni giorno di un dettaglio dei nostri posti. Qualche volta, quando ho gli scazzi - sì, in questo blog mi scappano anche le parolacce qualche volta, ma non posso definirli diversamente - dicevo quando ho i pensieri  mi metto sulla mia macchinetta blu e vado al mare, anche d'inverno, soprattutto d'inverno. Poi quando devo risalire a Favara, faccio la strada che costeggia i Templi, e la vedo libera. Libera nelle grandi zolle verdi che incorniciano mirabilmente le grandi opere greche, libera nelle colline chiazzate di marrone scuro sulla sommità e che schiariscono verso i piedi, libera nell'aria che passa attraverso quelle colonne così alte, così antiche, così naturalmente illuminate dal loro colore forte e positivo, come tante spighe che oscillano al vento, ma loro stanno ferme e immobili, da secoli, e ci guardano dall'alto combinare il delirio là sotto, in città. Ci guardano distruggere Agrigento e tutto il suo contorno di paesi, come la mia Favara, e chi lo sa, la notte parlano fra di loro o col Gigante, e non riposano mai pensando a noi. Ecco, io passo con la mia auto rallentando, e ho qualche cd buono che gira sotto, ed è il mio momento preferito. Caro signor Pendolino, mi piace il tuo lavoro e mi piace come lo fai e ti ringrazio, perchè ieri è stato proprio bello parlare di Sicilia così, con le immagini, alla Farm. E poi con una come Adriana nella tua squadra, sai, io t'invidio. Adesso che ti ho scritto così, easy e friendly e funzionale al racconto, facciamo finta che non l'ho mai fatto e quando ci rincontreremo io ti darò del lei, com'è giusto che sia, come fanno le donnine a modo.

E' stato dedicato un premio speciale ad Armando. E questo è quello a cui penso dalla prima parola del primo rigo, e da un po' prima, a dire la verità. Ha vinto una foto di Laura, una bella foto di un mare rosa con un solo scoglio solitario perso in lontananza e un orizzonte perfetto. Un premio meritato, senza dubbio. Una targa in plexiglas a forma di macchina fotografica, coi loro nomi scritti sopra. Bella, come la foto di Laura e come il mare di Armando, quello delle sue foto trafitte da fasci di luce fortissimi, gli stessi coi quali ogni giorno ci invia energia a dosi massicce. Grazie.

Un momento particolare è stato anche la premiazione di Valentina, ch'era lì con la sua mamma, Giusi. Non posso assolutamente descrivere l'espressione di fierezza sul suo volto, quando la figlia s'è alzata per ritirare il primo premio per una foto dei Templi. Giusi, in attesa della premiazione, ci ha raccontato di come loro siano stati costretti a trasferirsi a Mantova per lavoro e di quanto spesso tornino in Sicilia, ad Agrigento, perchè ne soffrono la mancanza più d'ogni altra cosa. Le ho detto che avrei scritto di lei, perchè più SemilascinonVale di questo non c'è nulla. Non so se potranno mai leggere ma le ringrazio, mamma figlia zia e cugina, per averci fatto sentire parte integrante del loro vissuto, del passato che non dimenticano pur essendo geograficamente lontane. Un amore viscerale, come il mio, come il nostro.

Perchè noi siamo quegli ottimisti che non hanno un euro in tasca ma siamo così innamorati del mare e dei nostri piccoli paesi ormai divenuti città, che crediamo non ci possano più deludere, che hanno ormai toccato il fondo e dunque non possono far altro che ripartire, rialzarsi. Siamo quelli che vedono lungo su Agrigento, Favara, Canicattì, Porto Empedocle e su tutte le altre zone vicine e lontane, e ogni nostra proiezione ci appare possibile, anche se difficile. Siamo quelli che tengono duro, anche se l'amministrazione è scadente e piena di caproni, e ci affidiamo a quei pochi che fanno tanto e fanno bene, tipo Andrea e Florinda che fanno in modo, ogni giorno, che dai Sette Cortili di Favara parta energia propulsiva per tutto il territorio. Siamo quelli che sono ancora capaci di fermarsi a scattare una foto alla loro terra, come si fa con la donna amata, una donna un po' sofferente e malata, circondata da qualche buon dottore che fa i turni di notte pur di vederla continuare a respirare.

Questo concorso ne è stato la prova.

mercoledì 6 novembre 2013

Un mazzo di rose. Rosse, grazie.

Mi sono svegliata con la sensazione di aver qualcosa da scrivere. Ma non capivo precisamente cosa.
E così finalmente, dopo pranzo, è arrivata. Luce fu fatta, grazie ad una conversazione col mio uomo. Quindi è chiaro che oggi, per la prima volta, si parla di uomini.
Non avrei mai pensato che in questo blog prima o poi saremmo finiti a parlare di questo, ma ci siamo finiti e questo è quanto.

Sono settimane che analizzo, con ore ed ore di caffè prolungati ad aperitivi, i rapporti sentimentali delle mie amiche, delle mie conoscenti e anche un po' il mio, e si è giunte - tutte magicamente insieme - alla conclusione che: le donne bastarde tirano di più.
Ed è vero, è vero. L'uomo alfa ha la necessità naturale, fisiologica e congenita, d'essere trattato male per poter rispondere positivamente ad un qualsiasi impulso positivo femminile. Generalmente è considerato che il cervello degli uomini ragiona in maniera del tutto invidiabile, ovvero linearmente: sì corrisponde a sì, no corrisponde a no, ci sentiamo dopo corrisponde a ci sentiamo dopo. Fine dei giochi.
E no, non ho scoperto l'acqua calda, perchè per me - ad esempio - che gli uomini li sto conoscendo adesso, è tutto nuovo nuovo.
Una delle cose che ho capito è che le cose le devi pretendere, ti devi imporre, devi essere proprio fiera col pettaccio di fuori. E se non gli sta bene quello che vuoi e desideri e ordini, ciao. Io, e questa è la cifra personale di quanto appena detto, c'è una cosa che ho sempre pensato di voler pretendere e non ho mai preteso: un mazzo di rose. Rosse. Belle grosse, aperte, profumate. Senza minchiate, del tipo brillantini, spray glitterato, veli colorati e fiorellini in aggiunta, soltanto un gran mazzo di rose rosse che mi viene recapitato a casa dal papà di Carla, con un biglietto possibilmente firmato. La verità è che non l'ho mai preteso, anzi ho sempre fatto la superiore a riguardo: i fiori? perfavore, che regalo inutile. E adesso, all'improvviso invece mi sembrano un regalo intelligente e anche parecchio romantico. Dev'essere successo qualcosa, nel frattempo, e probabilmente è anche comprensibile cosa, ma la situazione s'è ribaltata.

Quando faccio riflessioni di questo tipo, è inevitabile che mi torni in testa Teorema di Marco Ferradini. Pezzo unico - anche nella produzione del cantautore, a quanto pare - che ci scartavetra la minchia per svariati minuti, raccontandoci l'esperienza tripla sull'amore che non si capisce se narrata da uno stesso uomo con polipersonalità o da tre uomini differenti. Insomma, c'è questo interrogativo pendente, questa spada di Damocle sul come una donna va trattata, e in sostanza può riassumersi nelle seguenti equazioni: se la tratti male ti manda affanculo, se la tratti bene non ti s'incula, se cerchi di bilanciare la situazione con bastone e carota (che a pensarci vanno bene tutte e due, uguale) allora fila tutto liscio.
Magari. Magari i rapporti fossero così semplici, facili, immediati, schematici. Io non ci riesco, non sono mai stata brava con la matematica, e sono pronta ad ammettere un deficit d'attenzione su certe cose, non indifferente. La verità è che gli uomini funzionano come le macchine, bisogna saperli guidare.
Se t'hanno rimandato tre volte all'esame della patente, fatti qualche domanda. A me, stavano per bocciarmi perchè non mi sono fermata ad uno che sia uno stop, e questo avrebbe dovuto dirla lunga anche sui miei futuri risvolti amorosi.

Non lo so, forse - come ho letto da qualche parte tempo fa, non me ne abbiate se non mi vado a cercare la citazione - le donne e gli uomini sono le persone meno indicate ad innamorarsi tra di loro. Purtroppo, questo, inesorabilmente, catastroficamente succede. E quando succede a me è un delirio, è una fagiolata prima di un appuntamento, è un'acqua tonica prima di un discorso pubblico, è una cosa che quando succede non so dove mettere le mani, dove iniziare, dove finire e mi sento tanto come uno di quei tre uomini di Teorema, oppure tutti e tre, e sono sicura che nessuno di loro stesse parlando di una donna semplice. Sono sicura che tutti e tre, nelle varie ipotesi delle loro tecniche da sfigati, stessero parlando di una di quelle donne giuste, gagliarde, che hanno le palle per pretendere tempo attenzioni e mazzi di rose. E che a me, da uomo, non m'attizzerebbero poi così tanto. Uomini, ma che volete, che vi schiaccio il naso con un tacco dodici?
Neppure ci so camminare.

Oggi mi sono svegliata che volevo scrivere qualcosa, e avrei dovuto trovare un mazzo di rose rosse.
Cazzo.

lunedì 4 novembre 2013

Mamma, c'è l'amica tua.

Una delle cose belle di Favara, come di tutti i buchi di culo d'Italia, sono le amiche delle madri.
Quelle che di solito ti piombano in casa intorno alle undici del mattino, orario morto, nel quale hanno già accompagnato i figli a scuola da un bel pezzo, hanno fatto la spesa e non hanno nulla da fare fino a mezzogiorno, ora X nella quale si corre a casa a preparare il pranzo per il marito e i suddetti figli, di ritorno dalle loro dure mattinate e affamati come le belve.
Di certo si tratta di casalinghe, perchè le mamme che lavorano non hanno il tempo di fare il giro delle case altrui a prendere caffè, e l'unico giorno libero che hanno lo dedicano alle pulizie della loro casa, che definiscono sempre un gran porcile. E in effetti, di solito, lo è per davvero.

Le madri casalinghe, invece, hanno molto tempo per pulire casa, rifare i letti, stirare e lavare e stendere e stressarsi. Ecco perchè lo fanno di continuo, e in maniera ossessivo-compulsiva, lamentando sempre una sporcizia congenita e una famiglia troppo disordinata. Così un bel giorno, a forza di passare folletti e spruzzare Vetril, impazziscono. Impazziscono e devono uscire di casa, scappare, e correre a raccontare il loro esaurimento ad altre amiche - anche loro sull'orlo del mollo tutto - e sfogarsi.
A casa mia delle volte capita che stazionino per qualche ora.
Nelle giornate fortunate me le scanso, perchè sono fuori o sto ancora dormendo, e posso sapere del loro passaggio in casa solo dalla testimonianza di qualche tazzina macchiata di rossetto sul bordo, ancora sul tavolo - e quindi m'è andata di culo, perchè le ho scansate per poco - o nel lavandino, a lavare.

Mia madre è una casalinga.
E quando le dico: se tu lavorassi, non avresti questa mania per la casa. Lei fa appello al Sindacato delle Casalinghe Unite, che non ha una sede ma è un tacito patto comune che hanno fatto tra di loro, portando alta la filosofia del: noi casalinghe lavoriamo il doppio di quelle che lavorano in ufficio, solo che a noi non ci paga nessuno. 
Ragionamento del tutto discutibile e facile da smontare con una semplice argomentazione su come le donne che lavorano non abbiano tutte la donna delle pulizie o la babysitter, e quindi risulta anche naturale che finito il loro lavoro dietro una scrivania o in qualsiasi altro posto, poi tornino a casa a fare le stesse identiche cose, cioè dedicarsi alla cura della casa e della famiglia, solo in uno spazio di tempo più concentrato.
Loro non vogliono saperne e difendono la loro causa a spada tratta, simulando delle arringhe da tribunale che neppure nelle migliori puntate di Law and Order.

Comunque, le amiche di mia madre, quando non ho culo e mi beccano, sciorinando il loro copione di domande tipico, trito, ritrito, cotto a fuoco lento, immangiabile:
- sei fidanzata?
- quando ti laurei?
intervallato da qualche affermazione del tipo:
- mia figlia ora si sposa, a Giugno (si sposano tutte a Giugno poi, oh)
- che lavoro fa il tuo fidanzato?
- e tu dopo che vuoi fare?

e via discorrendo, ripercorrere tutto il Pantheon del Fastidio che a ogni donna tra i venti e i trent'anni, senz'alcuna sicurezza personale ed esistenziale, è ben noto.
Il segreto è rispondere con delle bugie e fingere entusiasmo, sorridere molto. Perchè l'evitare o sviare una domanda apre l'avvio ad una serie di altri infiniti fastidi, che scendono nel dettaglio, cercando di snocciolare la natura del visibile disagio che alberga nei nostri: ehm, mah, boh.
Senza contare poi i commenti su eventuali chili di troppo o perdite di peso: non vai bene mai. Ma loro non te lo faranno pesare sul serio perchè accompagneranno il commento con un sorrisetto come per dire: dai, sei bella uguale.

Invece no, signora. Mi hai appena fatto sentire una merda e ti odio.
Ma questo sentimento si esaurirà nell'arco di un secondo, perchè io sono buona e voglio bene a tutti.
Il supplizio si concluderà quando lei, guardando l'orologio, si accorgerà ch'è tardi e che deve scappare a comprare il pane - finalmente - ringrazierà per il caffè e imboccherà la via dell'uscita, lasciando dietro di se una nube tossica di nicotina e tabagismo incallito nebulizzato.

Le conclusioni che mi lasciano i loro passaggi in casa mia sono i seguenti:
- gli uomini vanno odiati, sempre e comunque. Anche se da fidanzati sembrano perfetti, arriverà un momento della vostra vita insieme da sposati, che faranno schifo e si comporteranno come dei perfetti porci senza rispetto, che insozzano casa e non vi si cagano di striscio;
- non importa quale sia il tuo problema reale, il Lexotan risolve tutto;
- l'eleganza è una borsa di Alviero Martini, anche tarocca;
- le calze color carne non sono un insulto a nessuno, specie se in tonalità champagne. Sicuramente meglio del nero, che una sembra vedova allegra;
-
se non sai cosa cucinare a pranzo, scongela il sugo che hai fatto a luglio;
- una figlia che sa stirare le camicie non è una figlia, è un gioiello.

E qui termino.

venerdì 1 novembre 2013

Se mi lasci non vale: un racconto su Favara

<...e se la trovi povera non per questo Itaca ti avrà deluso.>
Questo trovai scritto, su un muro di una casa, al ritorno in paese. C'era questa scritta nera su un cartello bianco rettangolare, dentro una cornice di travi bianche a delimitare uno spazio, in realtà aperto su tutti i lati, di giardino illuminato. Un minuscolo angolo di poesia, nel quale dal primo momento ho desiderato portarti.
L'aria è ferma stasera, mossa solo da un fischio, un sibilato di vento che mi passa fra le gambe e fa tremare la balza centrale della mia gonna rossa. Non si sta male.
L'autunno da queste parti non è freddo, poche foglie lastricano il pavimento nero della piazza, solcato dalle luci circolari che ne disegnano tutto il perimetro. Alberi, panchine, da sempre la tarda età che ivi staziona, dipendenti comunali e bambini che giocano a pallone. Qualcuno ha la maglia dell'Inter, attrae la mia spontanea simpatia calcistica e umana; gli interisti è bene che si vogliano del bene, almeno tra di loro.

Un gruppo di uomini chiacchiera ad alta voce al centro della piazza; qualcuno ha la cravatta.
Li riconosco, qualcuno lo saluto. Ricambiano con un gesto della mano e un sorriso. Un sorriso.

Non so cosa mi abbia spinto a tornare qua. Credo il bisogno di calore, calore di casa.
Mi hanno detto che la casa è dove si trova il tuo cuore, e il mio cuore è esattamente dove ha battuto fuori dal ventre materno, i primi giorni, poi sulla panchina dove due labbra l'hanno fatto tremare, ed è ancora qui, dove cammino sconosciuta tra volti sconosciuti, e nessuno pare ricordarsi di me.
Torno indietro alla prima elementare, alla mia compagna di banco. Non l'avevo mai vista prima, mi colpì il suo caschetto: tondo, liscio, marrone. La sua pettinatura perfetta, luminosa, aveva fatto ricadere la mia scelta su di lei: ti vuoi sedere con me? Lei, ovviamente disse sì, perchè avevo lo zaino di Sailor Moon, che poi scoprì essere il suo cartone preferito.
Pensai che non ci voleva niente a ritrovare degli amici, qui in paese. Alcuni, del resto, li avevo già. Altri erano rimasti un dolce ma diverso cammeo di vita catanese, un grumo d'affetto che presto si sarebbe esaurito negli impegni che di lì a poco avrei preso. Ma ancora non potevo saperlo.
Notai, su una stradina poco distante dalla piazza, un uomo. Un giovane ragazzo, con le spalle larghe, e un'ombra di barba a chiazzargli le gote, beveva una birra in compagnia d'altri suoi coetanei. In lui riconobbi il fratello minore di una mia compagna delle medie, ricordai il suo primo giorno d'asilo - di cui ero stata partecipe, per caso - e lo stomaco si strinse in un sentimento agrodolce di tempo passato e cambiamenti avvenuti e adolescenza perduta. La mia che andava via per lasciare spazio alla sua. Il mio corpo e i miei ricordi ch'erano ormai quelli di una donna, e lui che pensavo ancora bimbo coi Lego sul tappeto del salone, ch'era ormai uomo.

Salii in macchina, avevo scordato quanto stressante fosse guidare a Favara. Arrivai sotto casa con la maglia attaccata alla schiena sudata. Nessuno stop, nessuna freccia, nessun segnale stradale che fosse lì a fare il dovere per cui era nato. Nessuno che facesse quello che qualcuno gli aveva insegnato nelle tante autoscuole sparse per la città; tutto dimenticato il giorno dell'esame della patente. Ricordai com'è facile sentirsi in un autoscontro della Fiera d'Ottobre, quando si guida qua. Pensai alle castagne. Ai cartocci arrotolati e ripieni di castagne bollenti, e alla nebbia di cottura che copriva l'Itria e mi comunicava l'arrivo della Fiera, da bambina, e con lei: mele candite, giostre, il piumone nuovo. E qualcosa extra riuscivo sempre a procacciarla. Era sempre un gran momento, quello della Fiera. Chissà se la facevano ancora.

Le cose erano diverse, adesso. Per me e anche per lei, la città.
Eppure ero tornata, e la storia inizia esattamente da qui. Dall'autunno di un anno fa. Quando ancora non sapevo quanto l'avrei amata e quante soddisfazioni m'avrebbe dato, la mia città. Non sapevo neppure a chi appartenesse, la mia città. Adesso lo so, ed è quello che proverò a raccontare.