E tu sei il numero:

venerdì 31 maggio 2013

Fun Diary: vi racconto il countdown ( - 28 )

Oggi fu un giorno particolare, per la Squadra.
Con questo post inauguro una speciale sezione del mio blog: il FUN DIARY.
Mancano esattamente 28 giorni all'apertura del Castello, la stanchezza comincia a farsi sentire, ma noi siamo qua, forti, uniti, mai veramente stanchi.
Vi racconterò cosa succederà, cosa faremo, per tirarvi dentro il nostro sogno, farvelo vivere con noi.

Alle 15.00 ci vediamo al Castello. Fra un'ora abbiamo l'appuntamento alla Farm: giriamo lo spot di presentazione del progetto F.U.N. e di Farm Cultural Park.
Mi sono messa una maglia a fiorellini, ho pensato che è carino far vedere alla gente il colore, quello che abbiamo dentro e che proviamo a tirar fuori in tutti i modi.
Entro e ancora non c'è nessuno dei ragazzi; staranno ancora prendendo il caffè. C'è Andrea che lavora come sempre, e un formicolio di uomini intenti ad alzare, spostare oggetti, assi di legno, inchiodarle.
Hanno la fronte imperlata, ogni tanto tirano via un po' di sudore con l'avambraccio e ripigliano col loro lavoro. Chissà che vita hanno fuori dal Castello - mi chiedo. Chissà se porteranno i loro figli giorno 29.
Sono sola, scatto qualche foto, salgo due rampe di scale e dal primo piano padroneggio la vista di tutta la Corte, che mi si apre bella sotto gli occhi, luminosa e viva.

Il tempo è indeciso, i nuvoloni e il sole si giocano il posto nel cielo, con una danza allegra tutto sommato.
Lo scrivo sul profilo Facebook di Favara Urban Network, perchè sappiate tutto, tutto, anche il clima.
Ci state seguendo in tantissimi, sono felice.
Sapete, la mattina mi sveglio e mentre faccio colazione - con mezzo piede ancora sotto le lenzuola e mezza coscienza assonnata - io penso a voi, a voi che amate da lontano e da vicino le nostre idee e il modo di portarle avanti, voi che state dalla nostra parte con fiducia, voi che amate Favara senza condizioni e voi che avete programmato il vostro futuro in questo paese, per restarci e renderlo migliore.
Sapete, la mattina mi sveglio e sempre mentre faccio colazione penso all'America. Poi ridimensiono, scendo d'importanza e chilometri, penso alla Spagna, alla Francia, all'Inghilterra. Mi chiedo se sanno che esistiamo, se sanno che ogni giorno svegliandoci li pensiamo, se ci ispiriamo a loro per certi versi e che ci sforziamo di mettere da parte la nostra lingua per vestire la loro e comunicare.
Magari lo sanno - mi dico fra un cucchiaino di Nutella e un sorso di caffè - sanno di Farm. Sapranno di F.U.N., sicuramente.

Scrivo e mi guardo il polso destro contornato dall'Happiness Flag, simbolo del nostro anno, della nostra rinascita, la bandiera di F.U.N. che sventola fiera e alta su Favara, sui ruderi del centro, sulle case semi-tristi e getta la sua ombra benevola anche sullo spartitraffico arcobaleno che abbiamo ridipinto.
Oggi alla Farm, nella saletta nera, abbiamo ascoltato Francesco Gatti: architetto romano residente a Shangai. Ha proiettato le sue creazioni, aprendo una finestra orientale sul nostro piccolo mondo provinciale, fatto di bagarre e piccole vittorie sorridenti. Materiali low cost, verde pubblico, inventiva.
Wow! - penso, mentre davanti allo sgrano pazzesco dei miei occhi scorrono i suoi progetti, ben fotografati e dallo stile audace, futuristico.

Alle quattro e mezzo c'è vento al giardino Farm, le foglie scrosciano al passaggio degli aliti violenti, il microfono è piazzato, la telecamera di Salvo è puntata dopo un'indagine attenta della migliore fotografia.
E' un tour tra Farm e terrazza del Castello, alla ricerca del momento, del suono giusto - o meglio del silenzio giusto - è un rintocco di campane inaspettato, è uno slogan studiato per impatto e simpatia, è un capello aggiustato, è un rossetto leggermente sbavato, è un 'aspetta rifacciamola', è un abbraccio di coraggio, è uno sguardo su Favara, è una risata incontrollata, è uno scoppio di magia, è una nuvola che passa.
E' una Famiglia, compatta, energica, pronta. E prestissimo vedrete il risultato.

Detto ciò, è notte, fuori solo il rumore delle macchine in corsa sul Viale Aldo Moro, il buio strappato dai lampioni gialli. Prima di tornare a casa ho salutato il Castello, l'orologio blu, la piazza in festa, penso alla catasta di legno giallo dentro la corte, le sale piene di cartone e colla, penso ai disegni, ai progetti, penso agli architetti, alla nostra fatica. Penso che domani è un altro giorno anche a Favara, e Rossella O'Hara non può saperne niente, ma voi sì. E io...io vi terrò aggiornati, anche domani.

Buonanotte.

lunedì 27 maggio 2013

Se sei FUN, I vidè.

Bene, questo più che un post di racconto, è un post di resoconto.
Manca poco più di un mese all'apertura del Castello, che il F.U.N. vestirà a festa e di nuovo. All'abito si sta già lavorando da un pezzo, siamo una squadra di sarti indaffarati e stressati, ma sempre sorridenti.
Per chi non sapesse cos'è F.U.N. - invece che fare uno schema riassuntivo e raffazzonato - vi reindirizzo all'articolo che scrissi un mese fa circa per spiegare gli scopi, la natura e le aspettative di Favara Urban Network : http://www.agrigentotg24.it/news/15393/castello-chiaramonte-vi-racconto-il-progetto-f-u-n/

E quindi ci fu una gran festa alla Farm. Una di quelle feste per la quale si corse, si chiamarono dj, il cantante e si montarono mobili  e mobiletti. La raccolta fondi, per cui abbiamo trovato il nome di I VIDE' ("anch'io" in favarese, ndr) ha portato più di seicento persone ai Sette Cortili. La Squadra - appellativo che nella mia sfera affettiva ho dato ai volontari del Castello - ha fatto su e giù, avanti e indietro, in lungo e in largo, per tutta la serata, con rischio per chi - come me - ha tirato fuori il tacco da evento, miglior nemico delle basule do Curtigliu.
Il cantante è Mimì Sterrantino, cantautore di Taormina, che dal balconcino bianco di uno dei dammusi ha schitarrato note sorridenti per tutta la serata. Io, per il represso spirito da groupie che sempre mi accompagna latente, mi sono piazzata sotto il suddetto balconcino dal quale il mio Giulietto musicante si esibiva e sorseggiando un allegro pesca lemon - con ciliegina fresca annessa - ho dondolato da ferma, per compostezza e decoro, godendomi lo spettacolo. Ecco, questa la dedico ai lettori di questo blog, che in questi ultimi giorni si sgasò, e che adesso si rigasa: http://www.youtube.com/watch?v=KwN4EdK-ilk

Quando sono arrivata alla Farm Cultural Park, primo sponsor tecnico ed affettivo del progetto F.U.N., c'era ancora luce. Le anziane abitanti delle casette in alto stavano sedute a cerchio davanti la porta di una, a chiacchierare proprio di fronte all'orticello abbracciato dal fiore di lana rosa che sta creando Vanessa (https://www.facebook.com/pages/Vane-Made/590927410920971?fref=ts), con amore e pazienza. Da buona e noiosa studentessa di Lettere, non ho potuto fare a meno di pensare a quei versi Leopardi, da "Il sabato del villaggio": Siede con le vicine/ Su la scala a filar la vecchierella,/ Incontro là dove si perde il giorno;/ E novellando vien del suo buon tempo, / Quando ai dì della festa ella si ornava,/ Ed ancor sana e snella/ Solea danzar la sera intra di quei/ Ch'ebbe compagni dell'età più bella.

Che poi penso che sì, guarda caso è sabato, e la Farm mi sta sembrando proprio un bel villaggio. Chissà di che parlano le vecchine, nei loro abiti neri e seriosi, nei loro lutti infiniti e convinti, sentiti. Hanno idea di quel che stiamo facendo? O gli sembriamo solo tanti giovani ottimisti solo perchè ancora non hanno vissuto abbastanza da vedere le bruttezze del mondo? Non so se lo pensano, ma se avessi la certezza che lo pensassero, andrei da loro e direi che mezza idea sulle bruttezze del mondo - e di Favara - ce la siamo fatta, ed è proprio per questo che organizziamo serate di raccolta fondi per colorare le brutte pietre di questo paese, e anche qualcosa di più serio e corposo.
Ma loro secondo me non lo pensano, no. La loro espressione di tenerezza e stima sincera quando ci guardano, cancella ogni tipo di dubbio. Forse stanno proiettando su di noi e sulle nostre forze, la vita che avrebbero voluto, l'energia che adesso vorrebbero.
Comunque, la serata fu un gran successo. C'erano tutti: i credenti, i miscredenti, i simpatizzanti, gli architetti, gli ospiti, i vicini. C'era Fausta Occhipinti - l'architetto che si sta occupando del giardino chiaramontano, con la sua squadra di giovani aspiranti architetti. Li ho incontrati una settimana fa, durante uno dei loro incontri organizzativi. Quante idee, quanta forza, quanto ingegno, quanta bellezza. Sono uscita dal Castello felice. I Favaresi, tutta la provincia vicina a noi, con entusiasmo e partecipazione. E così abbiamo messo un altro sostanzioso mattoncino in questo muretto che con fatica tiriamo ogni giorno su. Favara Urban Network, ho capito, piace perchè porta speranza e voglia di mettersi in gioco, in primissima persona e sporcandosi le mani. 
Oggi, la Squadra si riunisce, mette da parte i libri, il lavoro, il fidanzato, la moglie, e si riunisce al Castello per il Castello, perchè il 29 Giugno è vicinissimo, e tutto quello che vogliamo è tirarvi un portentoso WOW!

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venerdì 24 maggio 2013

La mafia come natura dell’agire quotidiano



Quando a un siciliano chiedono di parlare di mafia, ha quasi sempre un’ istintiva duplice scossa in sè. Da un lato, sa di poterne parlare con altissima cognizione, dall'altro pensa: ma io, la mafia, l'ho capita davvero? Le immagini che evocano lupare, campagne, uomini a cavallo e spari, abbracciano un concetto di criminalità ampiamente superato, quasi romantico, da grande cinema. Quel tipo di mafia, quella del rispetto innalzato da gesti empi, dell'onore a ogni costo, ha garantito a registi e scrittori anni di lavoro, pensiero e sforzi e ancora oggi capita di accendere la tv e vedere muoversi sullo sfondo catodico attori scoordinati, con accenti palermitani malamente imitati, che avanzano irrifiutabili proposte a uomini disperati. E quella mafia lì è andata avanti per anni, ha funzionato per anni, coi suoi affari, i galantuomini, i Padrini, il pizzo. Il siciliano, davanti a quella mafia, è combattuto, le vuole quasi bene, la sente quasi dentro - con gravi sensi di colpa e non ammissioni pubbliche- ma la sente nella sua fibra. Come una Natura. Esistono uomini capaci di combattere la propria natura fino ad annientarla, ne esistono altri che la coltivano, la curano fino a farla divenire imperante, fino a divenire loro stessi quella Natura. Con gli anni, però, qualcosa è cambiato. I Capi non si interessano più solo di vendette, difese, favori e anche -perché no- piccole giustizie a torti personali; i Capi cominciano a fare business con la droga e altre attività che, per essere sinceri, non tutte le Famiglie accettano di trattare, perché paradossalmente anche i criminali hanno un'etica interna, del tutto aliena alle normali logiche della civiltà, ma comunque un'etica. Negli anni '90 le strade si tingono di rosso, il sangue è un fiume dal letto larghissimo che attraversa i paesini di provincia, le donne urlano al killer, i parenti alla trasversalità. E' la guerra. Quella guerra è uno dei vermi più scuri che abitano la mela della nostra memoria isolana, una storia torbidissima che -per citare De Andrè, fu: una storia sbagliata. Da insabbiare, modificare, edulcorare. Ma la Memoria è Natura, e come dicevo, non sempre la Natura si può combattere. Moltissimi, senza saperlo, sono portatori sani del gene mafioso, il quale non si esplica con gesti manifestamente criminali ma con singoli atteggiamenti quotidiani che lasciano trasparire la patologia latente. La Mafia è anche questo: clientelismo, favoritismi, inciviltà. L'illegale che oggi è sempre più radicato nel terreno istituzionale e politico è divenuto, in linea di massima, un regolare modo di pensare e vivere. Pensare che tutto ci sia dovuto, pensare che non si debba dover aspettare mai troppo tempo per qualcuno o qualcosa, pensare che le file in Banca o alla Posta sono un'inutile perdita di tempo facilmente eliminabile, pensare che la raccomandazione sia la via più giusta per trovare lavoro o superare un esame, pensare che se conosci un "pezzo grosso" sei sistemato, pensare che conti più tu che il tuo amico, pensare che la tua auto è bella e ha tutto il diritto di essere parcheggiata in tripla fila e tu non hai minimamente il dovere di pagare la multa che un Vigile ti farà, fare una telefonata per non pagare la multa, per non farti togliere i punti dalla patente, per farti ridare la patente, per ottenere un finanziamento in giornata senza troppe grane, per il rinnovo della carta d'identità negli uffici del Comune. Fare una telefonata per tutto quello che ci meritiamo, per tutti i servizi che acquistiamo tramite le tasse e che ci vengono sistematicamente negati, fare una telefonata per lamentarsi. Infine, lamentarsi che la burocrazia non funzioni, che tutto sia troppo lento, che gli impiegati siano inetti e la tua macchina sia bloccata su tre lati perchè qualcuno ha parcheggiato in terza fila. Non pensare che l'impiegato inetto è identico al figlio a cui hai trovato lavoro tramite tuo cugino assessore, negli uffici si procede a rilento perchè qualcuno come te ha un cognato impiegato, e sta passando per prima anche se non è il suo turno, e la macchina, nella quale oggi sudi sbraitando e suonando con veemenza il clacson perchè qualcuno arrivi a liberarti lo scarrozzo, è la stessa che ieri hai lasciato ferma al centro della strada, con le quattro frecce d'emergenza accese, solo per non pagare il parchimetro delle strisce blu. Pensare che con la telefonata giusta, al momento giusto, alla giusta persona, la tua vita è comodamente salva. La tua vita è facilmente comoda. Rendersi conto che la Mafia non è solo quella degli spari e del racket, ma un pensiero connaturato, una propensione dell'agire. Scrivo da un posto maledetto, che mi ha allevato con storie come questa, ho giocato su asfalti ancora chiazzati di sangue e non lavabili, ho guidato su strade ricostruite dopo il tritolo, e ho pianto –anche io e con dolore- le vittime di Mafia; i Giudici, i papà come il mio, le mamme come la mia, i lavoratori sfruttati, le mogli costrette a lunghi viaggi verso i mariti al 41 bis, ho pianto per i figli gravati da un cognome e per la libertà a loro negata. Per tutto questo, e per tanto altro, scelgo di fare la fila, scelgo di leggere un libro, scelgo di alzare la voce quando subisco un torto, scelgo di pagare, scelgo di spegnere la tv, scelgo di votare bene, scelgo di convincere gli altri che questo posto è vivo e guarda in alto senza vergogne. Per tutto questo, io scelgo di non telefonare a nessuno e scelgo di credere che la Mafia non vince sul nostro intelletto e credo nel cambiamento della Sicilia, terra di eroi non dimenticati e famiglie che, giorno per giorno, scelgono con coraggio e sudore, l’onestà.  

giovedì 23 maggio 2013

Caro Andrea Bartoli. Lettera di una Favarese senza lavoro.

Caro Andrea Bartoli,

ormai siamo amici, ma qui mi urge di chiamarti così, per nome e cognome. Come fanno in molti.
Oggi ti scrivo pubblicamente perchè, a parte gli attestati di stima pubblici e noti da parte mia, mi sento chiamata a farlo, in quanto cittadina prima d'ogni altra cosa.
Adesso dirò delle cose che sai, e altre che non sai: ho 23 anni, sto per laurearmi ed aspiro a diventare una giornalista, sto studiando per farlo. Fino ad un anno fa conducevo una vita economicamente tranquilla, sono figlia unica, avevo qualche vestito firmato e l'arte per me era una passione, un interesse carico d'amore e condivisione. Fino ad un anno fa, venivo a visitare Farm, ci portavo gli amici e gli offrivo da bere qualche calice di buon vino, mentre tutti insieme si apprezzava le bellezze di Richardson.
Poi un giorno, che non definirei esattamente il più bello della mia vita, mio padre ha perso il lavoro. Ho dovuto smetterla di offrire da bere ai miei amici e sono andata a servire io i calici di vino agli altri - lavoro che  ho potuto svolgere solo per una settimana perchè a quanto pare la gente non ama i Crodini sui pantaloni. Non era cosa mia. Come molte altre famiglie, il mio papà e la mia mamma pagano un mutuo, non abbiamo neppure uno stipendio e Dio solo sa se quando ci alziamo tutti quanti la mattina non abbiamo voglia di spaccare il mondo. I nostri risparmi, che ci avrebbero permesso di vivere bene oggi, il mio papà e la mia mamma li hanno investiti totalmente per la cura di un tumore che ho avuto nel 2011. Non abbiamo un euro, ma ogni giorno ci svegliamo col sorriso perchè sono ancora tra di loro e tra di voi, senza neppure un raffreddore. Adesso ci tocca guardare le offerte al supermercato, mentre prima si ficcava tutto nel carrello solo per la confezione più simpatica o il marchio più noto, ci tocca eliminare il superfluo, il poco utile, tenerci il necessario, e sappiamo che anche quello fra poco dovremmo dimezzarlo. Come tante altre famiglie Favaresi, Italiane. Non voglio dilungarmi su quest'excursus di tristezza che come sai non mi caratterizza ma che è stato necessario per introdurre il discorso che vado a fare nella mia lettera di ringraziamento, a tua moglie, te, e le persone che gravitano intorno ai vostri progetti.
Non siamo ancora di quelle famiglie che piangono davanti alle Chiese,ma solo perchè non sappiamo piangere e non perchè non ne avremmo motivo. Siamo di quelle famiglie che amano attivarsi per trovare una soluzione.
Quando sto per cedere all'angoscia, io  leggo il tuo decalogo, l'Anno dell'Arcobaleno, "FUTTITINNI" mi dice la tua faccia cartonizzata. Io sorrido, pensando alla tua risata e dico: ma sì, ma chi se ne fotte. Che i soldi non fanno la felicità non è vero che possono dirlo solo i ricchi, te lo posso dire anch'io, che sono povera. Quando entro al Castello, quando arrivo in Farm, io sono ricca di voglia di cambiare la mia condizione, la nostra, quella di tutta Favara e sono convinta che questo può farsi solo con la Bellezza che ogni giorno cerchiamo di portare. Chi critica te e i nostri progetti, non ha capito che la nostra voglia di rivoluzione parte proprio dalla stanchezza di vedere fame e bruttezza d'animo in giro. Noi vogliamo dire alla gente, di avere coraggio, di tenere duro perchè i tempi son duri ma se si lascia andare cade il singolo, cade la comunità.
Il mio papà era triste, spento, perchè è un uomo buono e onesto. Non aveva più voglia di far nulla, perchè togliere il lavoro ad un uomo significa privarlo della sua dignità. Oltre che del modo di mandare avanti una famiglia.
Adesso anche lui fa parte di Favara Urban Network, <Ho un po' di tempo libero per ora.>, così si è presentato durante una delle nostre riunioni. Tu gli hai sorriso, non sapevi, nessuno ne sapeva. E adesso ha trasformato la mia stanza in uno studio d'arte: ricicla carta, crea oggetti. Da quella riunione papà è rinato.
Non so che fine faranno le cose che crea, non ci sfameranno di certo ma io lo vedo felice, positivo, ottimista.
Lo vedo credere in qualcosa, lo vedo pronto a lottare per riavere il suo lavoro.
Ora, di storie come questa ne avrai sentite a centinaia e io che ti conosco e so quanto cuore hai - avete tu e Flo - so bene che ogni tuo sforzo non è mai vuoto d'attenzione o affetto. Posso solo dirti grazie, con la rabbia di chi legge certa roba e vuole sfogarsi. Non so se è questo il luogo e il modo adatto, ma lo sai sono felice di natura, il piagnisteo non è per me. Parlare con tristezza di ciò che succede ed è già ampiamente sotto i nostri occhi, la povertà che si taglia a fette in ogni angolo di questo sciagurato paese, non cambierà le cose. Le cose cambieranno solo quando si capirà che bisogna volersi più bene, produrre insieme, condividere. Il coraggio non nasce dal disfattismo, il coraggio nasce dal coraggio, dal colore che portiamo per le strade, dai giardini che facciamo rifiorire, da tutto quello che ci riempie il cuore. Anche se non ci sfama.
Caro Andrea Bartoli, le parole son parole e se le porta il vento di questa rumorosa giornata favarese. Anche le mie forse, ma il fatto è che io ti scrivo col sorriso - il sorriso che ho sempre, anche grazie a te, Favara Urban Network, DinamicaMente, i miei amici, mamma e papà. Grazie per avermi ricordato che l'arte è vita, solo così ho potuto far della mia vita un'opera d'arte.

Ti voglio bene, Vale.

martedì 21 maggio 2013

Un bellissimo scempio urbano.


Ci sono cose che sono cose per le quali ho effettivamente deciso di aprire un blog.
Quella che mi accingo a raccontarvi, mi ha lasciato la schiena a pezzi, i pantaloni maculati e le mani arancioni.
Non posso aspettarmi che i miei lettori escano fuori dal confine provinciale, ma ad onor di cronaca due indicazioni su cosa, come, chi e quando, devo pur darvele.
Il luogo è Favara. Quarantamila abitanti circa, tante buche nell'asfalto, e molto grigio su, molto grigio giù.
E' un paesone, un agglomerato urbano carico d'abusivismo, bruttezze architettoniche e mentali e case che vengono giù come neve a Natale - anche se da noi la neve a Natale, veramente, non c'è mai stata.
A Favara non era mai successo niente di bello. O comunque niente di molto molto bello.
Ma quest'anno, eh quest'anno, sta succedendo tantissima roba. Una roba che vuole solo renderla vivibile e vuole farla uscire da questo spietato provincialismo che si riflette così forte nell'arredamento urbano disperatamente kitsch e trasandato. E portare Bellezza. Straordinaria, inaspettata, smisurata bellezza.
Allora prendete una ventina di secchi di vernice colorata, pennelli, rulli, manici macchiati, cartoni allungati sull'asfalto, e un arcobaleno di riferimento. Prendete un gruppo di una settantina di persone circa, che non vogliono più vedere cemento, muschi e licheni, erbetta spontanea e un po' bruttina, sporcizia e tristezza infinita, passando ogni giorno e più volte al giorno su una delle vie principali di Favara, divisa perfettamente a metà da un anonimo - seppur notissimo - spartitraffico che si allunga per qualche chilometro, sulla via che porta a quella zona di Favara detta Itria.
La colonna sonora con cui scrivo questo post, e col quale vi consiglio di leggerlo da questo punto in poi è 'The times they are a changin' di Bob Dylan. (http://www.youtube.com/watch?v=sbMlHGEICuY)
L'appuntamento è alle 20.30. Una specie di piccolo flash-mob cittadino, carico di entusiasmo e magliette o felpe rosse. Ci procuriamo qualche segnale stradale, giubbini catarifrangenti e STOP. Blocchiamo il passaggio delle auto per qualche ora, facciamo squadre di quattro/cinque persone e si comincia.
Lo spartitraffico, che abbiamo dipinto coi famosi sette colori, oggi è rinato. Un concerto di pennellate, sorrisi, <compà!>, urla organizzative, e seconde mani di colore, e nell'arco di un paio d'ore s'è fatto un gran bel lavoro.
Nell'attesa di iniziare i lavori c'è ancora luce e ci mettiamo a parlare con gruppo di uomini sulla sessantina (magari anche settantina, ma per simpatia gli faccio lo sconto). <Che state facendo?>
E già mi aspetto la non comprensione causata da uno scarto generazionale così netto; sono prevenuta sulla loro reazione, eppure col sorriso annuncio: <Stiamo dipingendo lo spartitraffico!>
E lì avviene il miracolo. I signori ci ringraziano, qualcuno apre la bocca in un sorriso arioso per la mancanza di qualche dente, hanno le mani dalla pelle spessa e bruna, di chi ha lavorato tanto, i pantaloni alti con la cintura quasi in vita, le camicie stirate da brave mogli che immagino a casa a guardare Gerry Scotti, e loro lì, all'Itria, a farci i complimenti e dirci quanto siamo belli e bravi. Hanno dei nipoti, dicono che li manderanno da noi. S'informano, sono curiosi, di quella curiosità benevola dei nonni. Totò fa le riprese - fa un video ricordo, anche se non so come potremmo dimenticare - ne intervisto qualcuno. Si incartano nell'italiano vagamente forzato e si fermano a cercare la variante giusta delle parole. Io vorrei abbracciarli e dirgli: sono qua anche per te.
I negozi sono aperti, uno ci ha dedicato la vetrina calando giù dei drappi arcobaleno lungo tutta l'esposizione. I bambini sgranano gli occhi dai balconi e dalle auto in corsa dei papà. I miei genitori sono lì, anche quelli di Armando. Dipingono con noi e anche lui è con noi.
Mentre dipingiamo, qualche macchina comincia a passare. I ventenni ci guardano male, gli adulti così così, qualcuno sorride per le nostre condizioni. Si fermano, abbassano il finestrino con la bocca già semi-aperta per lo stupore e ci chiedono che sta succedendo.  <Pensavo un incidente!>, dice preoccupata una mamma.
Siamo sporchi, stanchi ma esaltati, felici. L'architetto e l'impiegato, l'imbianchino e il professore, il papà e il salumiere, il pensionato e lo studente, il colore e un po' di grigio, il sorriso ed il non gusto, gruppi di amici e singoli: una miscellanea sociale emozionata e partecipe dello stesso obiettivo comune, in un pentolone di emozioni che ribolle colorato ed energico.
Con le nostre pennellate stiamo scrivendo una pagina di storia, lo sappiamo mentre immergiamo con decisione i pennelli nei secchielli colorati carichi di vernice cremosa e ridente, facendo attenzione a non far gocciolare sull'asfalto. Facciamo presto, lavoriamo di buona lena, sempre col sorriso e pensiamo alla mattina che verrà.
Oggi è già la mattina dopo. Questa notte è piovuto ma i colori sono vivi e splendenti.
Io sono felice, perchè credo che da qua ripartiamo. Col colore stiamo ridisegnando la Favara che Armando vuole e che noi vogliamo con lui. Qualcuno potrebbe anche non condividere, attaccarsi all'estetica, alle scelte cromatiche ma io ieri ho visto bellezza. Bellezza nello scambio, nella compartecipazione e nella condivisione materiale di spazi e cose. Ho visto comunità e rinascita. Ho visto la gente volersi e volerci bene, e questo è un piccolo grande successo. Un bellissimo scempio urbano.
Stanotte, ai primi scrosci di pioggia, s'è avuto tutti lo stesso pensiero: la vernice fresca.
Per fortuna ha resistito, e noi resistiamo con lei. A Favara, provincia di Agrigento, oggi c'è il sole anche se non c'è il sole, perchè abbiamo portato l'arcobaleno, di cui il 2013 è l'anno principe.
Grazie Favaresi, e due volte grazie a chi crede da lontano, a loro regalo questo video dimostrativo, guardate un po': http://www.youtube.com/watch?NR=1&v=LnLUE4dijHo&feature=endscreen
Qual è la vera vittoria? Quella che fa battere le mani o battere i cuori? (Pasolini)



Special thanks to: Andrea Bartoli, F.U.N. Favara Urban Network, l'architetto Lillo Giglia, DinamicaMente, i ragazzi di Fra Giuseppe e la Tenda di Abramo, le associazioni presenti e attive, Emanuele Vita, Leonardo Pitruzzella e tanti tanti altri che con amore hanno aderito e supportato l'iniziativa.

















domenica 19 maggio 2013

Un (molto poco) aperto post d'apertura.

Apro un blog. Finalmente, per me, e per la home dei miei amici di Facebook.
Apro un blog perchè molte cose, intorno a me, succedono perchè qualcuno le racconti. Ebbene, ve le racconterò. Non so di cosa parlerò, con precisione. Per grandi linee posso anticipare che la parola 'Favara' avrà un'altissima ricorrenza, perchè è il posto in cui vivo e che è teatro di meravigliose pièce naturali, cariche di colore a contrasto, fatti risibili e prettamente isolani, caratteri mediterranei, filmici. Vi racconterò una zolletta di Sicilia, una pennellata a punta fina d'Italia, l'ultima virgola dello stivale.
Potrei spolverare questa torta di agrodolci emozioni provinciali, con uno zucchero corposo di viaggi, visioni, spostamenti, dislocazioni, fatti, cronaca, mondo, rabbia. Mai questo posto vi darà l'aria d'essere un diario, se ve la darà vi prego d'avvisarmi; non rientra nelle aspettative dell' utilizzo che voglio farne.
Lo faccio per liberare la home, l'ho detto. E siccome m'è capitato che un paio di persone m'hanno detto: Vai, fallo., Dico: lo faccio.
Detesto i post d'apertura, più di così non riesco, quindi...
sì, sarete aggiornati su eventuali prossimi post.

Ho aperto un blog, finalmente.