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venerdì 24 maggio 2013

La mafia come natura dell’agire quotidiano



Quando a un siciliano chiedono di parlare di mafia, ha quasi sempre un’ istintiva duplice scossa in sè. Da un lato, sa di poterne parlare con altissima cognizione, dall'altro pensa: ma io, la mafia, l'ho capita davvero? Le immagini che evocano lupare, campagne, uomini a cavallo e spari, abbracciano un concetto di criminalità ampiamente superato, quasi romantico, da grande cinema. Quel tipo di mafia, quella del rispetto innalzato da gesti empi, dell'onore a ogni costo, ha garantito a registi e scrittori anni di lavoro, pensiero e sforzi e ancora oggi capita di accendere la tv e vedere muoversi sullo sfondo catodico attori scoordinati, con accenti palermitani malamente imitati, che avanzano irrifiutabili proposte a uomini disperati. E quella mafia lì è andata avanti per anni, ha funzionato per anni, coi suoi affari, i galantuomini, i Padrini, il pizzo. Il siciliano, davanti a quella mafia, è combattuto, le vuole quasi bene, la sente quasi dentro - con gravi sensi di colpa e non ammissioni pubbliche- ma la sente nella sua fibra. Come una Natura. Esistono uomini capaci di combattere la propria natura fino ad annientarla, ne esistono altri che la coltivano, la curano fino a farla divenire imperante, fino a divenire loro stessi quella Natura. Con gli anni, però, qualcosa è cambiato. I Capi non si interessano più solo di vendette, difese, favori e anche -perché no- piccole giustizie a torti personali; i Capi cominciano a fare business con la droga e altre attività che, per essere sinceri, non tutte le Famiglie accettano di trattare, perché paradossalmente anche i criminali hanno un'etica interna, del tutto aliena alle normali logiche della civiltà, ma comunque un'etica. Negli anni '90 le strade si tingono di rosso, il sangue è un fiume dal letto larghissimo che attraversa i paesini di provincia, le donne urlano al killer, i parenti alla trasversalità. E' la guerra. Quella guerra è uno dei vermi più scuri che abitano la mela della nostra memoria isolana, una storia torbidissima che -per citare De Andrè, fu: una storia sbagliata. Da insabbiare, modificare, edulcorare. Ma la Memoria è Natura, e come dicevo, non sempre la Natura si può combattere. Moltissimi, senza saperlo, sono portatori sani del gene mafioso, il quale non si esplica con gesti manifestamente criminali ma con singoli atteggiamenti quotidiani che lasciano trasparire la patologia latente. La Mafia è anche questo: clientelismo, favoritismi, inciviltà. L'illegale che oggi è sempre più radicato nel terreno istituzionale e politico è divenuto, in linea di massima, un regolare modo di pensare e vivere. Pensare che tutto ci sia dovuto, pensare che non si debba dover aspettare mai troppo tempo per qualcuno o qualcosa, pensare che le file in Banca o alla Posta sono un'inutile perdita di tempo facilmente eliminabile, pensare che la raccomandazione sia la via più giusta per trovare lavoro o superare un esame, pensare che se conosci un "pezzo grosso" sei sistemato, pensare che conti più tu che il tuo amico, pensare che la tua auto è bella e ha tutto il diritto di essere parcheggiata in tripla fila e tu non hai minimamente il dovere di pagare la multa che un Vigile ti farà, fare una telefonata per non pagare la multa, per non farti togliere i punti dalla patente, per farti ridare la patente, per ottenere un finanziamento in giornata senza troppe grane, per il rinnovo della carta d'identità negli uffici del Comune. Fare una telefonata per tutto quello che ci meritiamo, per tutti i servizi che acquistiamo tramite le tasse e che ci vengono sistematicamente negati, fare una telefonata per lamentarsi. Infine, lamentarsi che la burocrazia non funzioni, che tutto sia troppo lento, che gli impiegati siano inetti e la tua macchina sia bloccata su tre lati perchè qualcuno ha parcheggiato in terza fila. Non pensare che l'impiegato inetto è identico al figlio a cui hai trovato lavoro tramite tuo cugino assessore, negli uffici si procede a rilento perchè qualcuno come te ha un cognato impiegato, e sta passando per prima anche se non è il suo turno, e la macchina, nella quale oggi sudi sbraitando e suonando con veemenza il clacson perchè qualcuno arrivi a liberarti lo scarrozzo, è la stessa che ieri hai lasciato ferma al centro della strada, con le quattro frecce d'emergenza accese, solo per non pagare il parchimetro delle strisce blu. Pensare che con la telefonata giusta, al momento giusto, alla giusta persona, la tua vita è comodamente salva. La tua vita è facilmente comoda. Rendersi conto che la Mafia non è solo quella degli spari e del racket, ma un pensiero connaturato, una propensione dell'agire. Scrivo da un posto maledetto, che mi ha allevato con storie come questa, ho giocato su asfalti ancora chiazzati di sangue e non lavabili, ho guidato su strade ricostruite dopo il tritolo, e ho pianto –anche io e con dolore- le vittime di Mafia; i Giudici, i papà come il mio, le mamme come la mia, i lavoratori sfruttati, le mogli costrette a lunghi viaggi verso i mariti al 41 bis, ho pianto per i figli gravati da un cognome e per la libertà a loro negata. Per tutto questo, e per tanto altro, scelgo di fare la fila, scelgo di leggere un libro, scelgo di alzare la voce quando subisco un torto, scelgo di pagare, scelgo di spegnere la tv, scelgo di votare bene, scelgo di convincere gli altri che questo posto è vivo e guarda in alto senza vergogne. Per tutto questo, io scelgo di non telefonare a nessuno e scelgo di credere che la Mafia non vince sul nostro intelletto e credo nel cambiamento della Sicilia, terra di eroi non dimenticati e famiglie che, giorno per giorno, scelgono con coraggio e sudore, l’onestà.  

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