E tu sei il numero:

sabato 21 febbraio 2015

Perchè la guerra non mi fa paura.

Tempo fa, in uno dei miei luoghi del cuore, Farm Cultural Park, delle persone a me care costruirono una casetta. La casetta era fatta di materiali molto semplici. Il suo prospetto esterno era decorato con riquadri dalle tinte pastello, a tonalità graduali, affiancati a creare un arcobaleno di sfumature, pieno di vita. All'interno dell'unica stanza del micro-edificio, poltriva un grande coniglio di stoffa arancione, ripieno - credo - di polistirolo. I bambini potevano entrare nella casetta, giocare col coniglio e farsi scattare una foto da mamma e papà. Poche settimane dopo, sulle pareti interne della casetta comparvero delle scritte fatte a pennarello blu e a penna nera, perchè qualcuno aveva sentito la necessità di comunicare amori e saluti sul candore del muro della piccola casetta. Non un bambino, probabilmente degli adolescenti della stessa categoria di quelli che incidono cuori sulla corteccia degli alberi, o fanno i murales sulle mattonelle di ceramica dei bagni della scuola, e poi fanno occupazione perchè i bagni fanno schifo. I giorni passavano, e una mattina la casetta si svegliò con la porta sfondata. Un enorme buco sulla porta d'ingresso di quel nido fatto di materiali molto semplici, da persone a me care, così, senza motivo, credo solo per il gusto di farlo. Fui triste nel vedere la casetta deturpata e chiesi ad Andrea: ma perchè l'hanno fatto? 
In quei giorni circolava la notizia di una serie di opere di Banksy ch'erano state distrutte in qualche punto del mondo lontano da Favara. In un articolo, in parte condivisibile che non riesco più a trovare, si tirava in ballo la fruibilità dell'arte e come questa include anche il non rispetto dell'opera. In sintesi, anche gli atti di vandalismo, da parte di fruitori non troppo educati, fanno parte del processo di vita di un'opera, come pure della sua funzione comunicativa. Un'opera d'arte ha, come tutto, un inizio e una fine, e ciò che avviene in mezzo - stupri compresi - dev'essere accettato, in quanto definizione della sua stessa esistenza. Non condiviso, non digerito, ma accettato come storia.
Andrea mi rispose che se avevano distrutto la casetta, vuol dire che l'avevano vissuta e quindi aveva compiuto la sua missione comunicativa verso la gente. Avevamo tutto il diritto di rimanerci male, ma non era colpa nostra e aveva più senso adoperarsi per riparare il danno, invece di continuare a rattristarci per il gesto di quattro cretini. Gli leggevo l'incazzatura in faccia, ma non è il tipo da farsi mettere k.o. dalla rabbia. Si andò avanti.

Quest'episodio m'è tornato più volte alla memoria, e in molti casi - anche lontani dal mondo dell'arte - in cui ho dovuto metter da parte le delusioni, a favore delle ricostruzioni positive di uno o più elementi della mia vita. Però l'altroieri, quando al tg è passata la notizia che un gruppo di hooligans olandesi - ultrà del Feyenoord, squadra di calcio impegnata contro la Roma - ha invaso il centro storico della Capitale, devastando la celebre Barcaccia del Bernini, io sinceramente un poco i coglioni triturati li ho avuti. Vedere l'opera ridotta ad una piscina post pool-party, piena di bottiglie di vetro e zozzerie d'ogni forma e misura, m'ha spaccato il cuore in quattro, tanto che ancora - ch'è stata quasi del tutto ripristinata - non mi riesce di reincollarlo. E no, non l'accetto la tesi secondo cui l'Italiano in vacanza all'estero fa il vandalo in ogniddove che tanto non lo conosce nessuno, quindi ce lo meritiamo. Non l'accetto perchè l'Italiano in vacanza sa bene che appena sgarra - specie nei confronti dei patrimoni artistici del Paese - può pure prepararsi a restarci, in quel Paese, e dietro le sbarre. Ma a loro niente, anzi credo che qualcuno si sia preso una stretta di mano e un caffè gentilmente offerto da parte di chi avrebbe dovuto fermarli. E non l'ha fatto.

Comunque, al di là della rabbia che muove la distruzione di un pezzo di storia importante e del patriottismo naturale e sano che questo comporta, mi fa paura il fatto che in Italia si possa essere attaccati e sopraffatti, nel quotidiano delle nostre strade, da un gruppo di giovani sbrigliati carichi di furore etilico condiviso e lasciati correre liberi nel Paese in cui tutto è possibile, in cui se uccidi un ragazzo di 25 anni, all'uscita di una discoteca, prendendogli a calci la testa per una banale querelle, puoi cavartela con poco o niente; se lasci che una bambina appena nata e con problemi respiratori venga trasportata all'ospedale di una città lontana più di cento chilometri - da autisti che sconoscono il percorso - solo perchè non si trova un centimetro vicino per salvarle la vita, puoi cavartela con poco o niente; se sei un medico del pronto soccorso e ad un bambino di neppure due anni curi come influenza un attacco di meningite,  puoi cavartela con poco o niente; se puoi far frodi per miliardi di euro e nel frattempo essere ai vertici del Governo,  puoi cavartela con sicuramente niente. Se vivi in un Paese che garantisce un'anarchia, nuda di responsabilità o sensi di colpa o amore civico, puoi aspettarti che un gruppo non gestito di barbari possa arrivarti a centro città, e distruggerla, senza che nessuno paghi, se non la coscienza collettiva degli abitanti, che possono solo fare i conti con l'amarezza e andare avanti, come il tempo. Se nel posto in cui vivi, puoi aspettarti di dare alla luce una bambina e che ti sia strappata senza amore nè interesse, e puoi aspettarti di uscire un venerdì sera da casa con gli amici e non farne ritorno mai, per un parola detta male o per molto meno, te lo devi aspettare. In un Paese che non salvaguarda, non solo il patrimonio artistico, bellezza storica di borghi e città, ma neppure l'unica vera grande opera d'arte ch'è la vita umana, la guerra non può farmi paura. Perchè se arriva, ci trova già pronti a mollare. Già pronti a pagare per cattiverie fatte da altri, a nostre spese.

E non c'è ricostruzione positiva, non c'è fruibilità esterna, non c'è funzione comunicativa, se non quella del dolore.

giovedì 19 febbraio 2015

#igersinfiore: Il racconto e le foto del primo instameet agrigentino

Ho chiesto a Monica (della quale si legge qui http://semilascinonvaleblog.blogspot.it/2015/02/a-fior-di-social-la-prima-instawalk-ad.html ) di raccontarmi il successo della prima instawalk nel centro storico di Agrigento. Come immaginavo, è stato un racconto carico d'entusiasmo che presenta l'evento come un interessante focus sulla città, dal punto di vista urbanistico e storico-artistico. Non posso aggiungere nessuna parola alle parole che qui di seguito riporto, insieme a qualche scatto rubato su Instagram agli hashtag #igersagrigento #igersinfiore. Ringrazio preventivamente tutti gli igers che vedranno le loro foto pubblicate in questo post, sono proprio belle e raccontano Agrigento nelle sue sfaccettature più caratteristiche, in primis quelle del Mandorlo in Fiore.


  • Beh intanto prima cosa, quando sono arrivata all'appuntamento ho pensato: come ci riconosceremo? Semplice, fotocamere reflex ecc. Infatti cosi fu, e poi i volti bene o male degli "amici" di instagram li ricordi. Abbiam visto qualche gruppo, non tutti, diciamo la maggior parte, e fatto qualche foto alla sfilata. Dopo di che, verso la salita Madonna degli Angeli, abbiamo distribuito un piccolo kit di benvenuto, uno di Instagram con torroncino, spilletta e un piccolo pieghevole con le immagini delle cose principali che avremmo visto, più uno offerto da Bottega Verde, la negoziante di via Atenea che si è entusiasmata e ci ha fatto questo omaggio. Gioele Farruggia, di Laboratorio Vallicaldi, ci ha fatto da guida per il centro storico. Salendo da salita Madonna degli Angeli abbiamo proseguito per i vicoletti del centro storico ch io da agrigentina sconoscevo. Gradini, vicoli stretti tipicamente arabeggianti...la prima cosa che abbiamo visto una specie di clinica dove venivano curati i malati di tracoma, in linea d'aria proprio sotto santo spirito, edificio dall esterno molto bello in totale stato di abbandono ( ovviamente). Anche questo ignoravo esistesse. Abbiamo proseguito fino a Santo Spirito, che abbiamo visto solo dall'esterno perchè chiuso, e poi Santa Maria dei Greci: all' esterno della struttura ci ha parlato Gioele , invece dentro abbiamo avuto le spiegazioni su struttura, tempio, affreschi, da Marcella dell'associazione Ecclesia Viva. Da lì, stotto la pioggia, ci siamo spostati alla Cattedrale: abbiamo visto la parte visitabile perchè, come ben sai, sta sciddicannu, quindi ci sono delle impalcature che non consentono di vederla in tutta la sua magnificenza e il suo splendore; ma abbiamo potuto vedere da vicino l'altare davvero maestoso - rimango sempre a bocca aperta - e il soffitto a cassettoni stra-bello. Diciamo che per un Agrigentino ca s'ha vistu quattru venerdi santi na so vita, sono cose che conosciamo benissimo anche se non le apprezziamo molto, forse. E poi, dulcis in fundo, torre campanaria, siamo saliti, panorama mozzafiato e possibilità di vedere anche l'interno della Cattedrale dall'alto delle navate. All'interno della torre, in una stanza, è esposta la lettera del diavolo, il manoscritto orignale: l'unica cosa che non abbiamo potuto fotografare. Dopo una suonatina di campane ( i sunamu veru) siamo tornati giù, sotto la pioggia battente, e con non poche difficoltà visto che in via Bac Bac imperversa il posteggio selvaggio, direi quasi vandalico, ncapu o marciapedi cu du roti. Quindi slalom tra le macchine posteggiate , e pensavo: già Agrigento è tutta acchiana e scinni e non è il massimo, ma un disabile in carrozzina, perdire, chi fa le va u frenu e si va sdirrupa? Non vedo altre soluzioni, viva le barriere archiettoniche! Che amarezza! Questo il tour fisicamente, poi guarda è un'occasione d'incontro magnifica, sono convinta che se il tempo fosse stato migliore sarebbe stato un laboratorio di idee a cielo aperto. Ragazzi felici, ingredienti a km zero e di qualità. Appena finito già si pensava alla prossima passeggiata ,si sono creati dei contatti che coprono mezza provincia , scambi tra le varie associazioni che io non conoscevo, sorrisi e battute. E la fortuna di vivere in Sicilia, ad Agrigento, la trovi nella signora che cucina la pasta con il sugo e le polpette, che sente rumore e si affaccia, u ciavuru inebriante, il rumore in lontananza della tv accesa, avrà avuto 70 anni ma accogliente, e col sorriso pure lei. Comunque guarda abbiamo visto tante cose bellissime , ma un po' di rabbia ti viene, perchè accanto a un fiorire di attività, b&b essenzialmente, c'è un centro storico abbandonato a se stesso. In futuro, penso saranno previste altre passeggiate in paesi limitrofi.

















mercoledì 18 febbraio 2015

Colori ed ospiti al San Giovanni di Dio

Qualche giorno fa m'ha svegliata una telefonata. Era il mio inviato speciale al San Giovanni di Dio di Agrigento che mi pregava di raggiungerlo per registrare insieme dei dati inerenti la sanità malauguratamente pubblica dalle nostre parti.
Mio cugino Luigi, corrispondente eccezionale per la sezione "ospedali terribili", si trovava nel reparto Astanteria, che fa rima con lurdia e anche con mamma mia, mamma mia. E' un reparto retrostante al pronto soccorso, una cosa provvisoria, dove ti mettono quando devono capire che hai e dove mandarti. Non solo. E' un reparto dove ti mettono quando magari non hai niente e nel frattempo che ci stai ti viene qualcosa, così poi è sicuro che sanno dove metterti: alla morgue.

Il mio inviato speciale presso il nosocomio, mio cugino Luigi, a parte gli scherzi, stava male per davvero, e quando sono corsa a trovarlo al reparto Astanlurdìa, l'ho trovato nel corridoio che - con tutti gli stracazzi suoi - rincorreva il dottor medico di turno per denunciare i suoi compagni di stanza, che no, non erano dei poveri malati in attesa di cure, ma una cinquanta formiche. Formica più, formica meno. Tant'è che prima di dirmi ciao, l'ho sentito sbottare un per niente pacato: "Dottore, non ci tengo a dormire con le formiche sul letto stanotte!".
Entriamo in camera e mi mostra gli insetti della discordia che nel frattempo s'erano chiamati gli amici per fare un rave sul marmo della finestra, dunque anche le zzzaanzare erano venute a trovare mio cugino che, a quanto pare, c'è rimasto male perchè non si erano premurate di portare neanche una guantiera di ciambelle e anisette, dalle nostre parti di rito per gli ammalati.
Luigi, che poi è un tipo sveglio al punto che non si direbbe proprio che abbiamo metà DNA uguale, mi fa notare una serie di chiazze rosse sul pavimento. M'ha detto che, chiedendo all'infermiera informazioni circa la loro natura,  lei ha risposto - verosimilmente e credibilmente - ch'era ducotone.
In una stanza gialla e azzurra - giustamente, è normale, lapalissiano che - uno può trovarci delle macchie di ducotone rosso.
Che c'hai pitturato? Ti sei smaltata le unghie con la vernice rossa mentre rifacevi i letti? O hai organizzato un'estemporanea di pittura con Jackson Pollock che ha schizzato rosso ovunque? Che c'hai fatto col ducotone rosso in una stanza gialla e azzurra del reparto di Astanteria dell'Ospedale San Giovanni di Dio di Agrigento?
Ora, se uno fosse poco poco cattivo, penserebbe che ci fosse ancora del sangue schizzato sul pavimento e che nessuno si fosse preoccupato di rimuoverlo, che oltre a fare schifo, è anche pericoloso. Ma siccome noi siamo buoni come il panettone Balocco la vigilia di Natale, ci accolliamo ch'era ducotone rosso utilizzato per cromare una collezione di Ferrari in scala 1:18, che - si sa - è un'attività frequente per ammazzare il tempo al pronto soccorso, prima che il tempo ammazzi te.

Fra l'altro, quando siamo arrivati, mio padre ed io, ci è toccato percorrere un corridoio all'ingresso tempestato di bicchieri di plastica ricolmi di sigarette e un pavimento di mozziconi che neanche  dopo un sit-in di operai della Fiat Mirafiori. Un lungo nastro bicolore, rosso e bianco,  a chiudere una delle due entrate del pronto soccorso con tanto di panca biposto appoggiata alle vetrate d'ingresso, qualora il solo nastro non fosse sufficientemente d'impatto.
Allora, a uno, che è là perchè sta male sul serio - altrimenti non ci sarebbe andato proprio mai in quel covo di pavimenti divelti e munnizza vagante - gli viene da pensare: ma come minchia si fa così? E se questo è il modo con cui accogliete la gente che arriva sciolta su una barella in ambulanza, chissà com'è quello con cui la trattenete per curarla.

Mio cugino Luigi, ch'è ancora là dentro per sfortuna e spero ne esca presto, mi ha chiesto di scriverne sul mio blog. E m'ha inviato un corredo fotografico, anche della condizione dei cessi - già il termine bagno sarebbe un complimento - che, solo a guardarli, vengono sette tipi di malattie diverse, tra epatiti e situazioni veneree a caso.
Il corredo fotografico - che non allego per intero causa bassa risoluzione delle immagini - però non testimonia il fatto che l'Ospedale San Giovanni di Dio di Agrigento è paragonabile al dedalo del Minotauro, al punto che un mese fa circa, accompagnando mio suocero non vedente per una visita, ho sbagliato ascensore quattro volte, una delle quali  siamo pure rimasti dentro bloccati per mezz'ora, con una grande cesta a rotelle piena di rifiuti.
Oltre tutto, quando ho beccato in un corridoio  una donna che avrebbe potuto essere un'infermiera o una portantina - perdonate l'ignoranza nella non distinzione - e le ho chiesto: mi scusi dov'è l'ascensore per Oculistica? M'ha risposto, nel dialetto dei pastori tedeschi (e chiedo scusa alla nobile razza canina per il paragone): "Non sono di questo reparto, non sono tenuta a darle informazioni".
Ah, grazie al cazzo signora. Lei non è di questo reparto quindi non è tenuta a dirmi dove devo andare. E vabbè, allora resto qua con mio suocero, accendo un fuoco, mettiamo ad arrostire marshmallow e ci raccontiamo storie di paura, una delle quali parla proprio di lei, signora. Fino a quando non arriva un'anima pia che ci dice dove, come, quando e perchè possiamo uscire da questo budello di vergogne.

Con questo intendo raccontare ciò che ho vissuto personalmente in occasioni recenti, e che mi sembra corretto raccontare per giustizia nei confronti delle persone a cui voglio bene. Mi dispiace che, stando male, debbano essere curati in un posto che tiene la gente sulle barelle nei corridoi, non è in grado di fornire lenzuola e coperte pulite, non è in grado di garantire la massima igiene degli spazi interni ed esterni - in special modo dei sanitari - e che debba far passare come un favore ciò che è nostro diritto naturale - oltre ciò per cui sono da noi pagati - ovvero: la salute.
Con questo ci tengo anche a dire che all'Ospedale San Giovanni di Dio di Agrigento lavorano moltissime persone qualificate e corrette che si adoperano per salvare la vita alla gente ma non possono fare comunque miracoli, data la struttura e i mezzi. Con questo intendo dire che se dovete curare la gente, però, preoccupatevi di farlo in ambienti sterili, non sui pavimenti divelti, sulle carcasse degli insetti e sui mozziconi delle sigarette, e soprattutto se uno strumento d'analisi importante non funziona, fatelo aggiustare, non mandate la gente a casa perchè s'è rotta la risonanza magnetica e quindi tocca farla privatamente alla modica cifra di trecento euro e quando lo studio c'ha spazio libero per ricevere. Perchè il tempo è vita, e di tempo perso si muore.
Auguro a tutti di non aver mai bisogno del San Giovanni di Dio ma, qualora ne abbiate, non dimenticate di portarvi una bussola, le lenzuola da casa, uno spray anti-insetti e un copri water di carta, magari corredato da un container di Amuchina, tipo i tir che s'incontrano in autostrada con la scritta Trasporto Latte. Non sia mai che entrate buoni, e uscite lunghi.

Ringrazio anche il mio amico Gabriele che aveva parlato delle condizioni dell'ospedale di Agrigento qualche settimana fa, caricando su Facebook delle foto che raccontavano le illegibili insegne e la fatiscenza della struttura; due delle immagini si trovano qui di seguito.



A fior di social, la prima instawalk ad Agrigento

Quando Monica m'ha chiamato un mese fa, la conoscevo appena. E' seguito un caffè, poi un cappuccino e un maritozzo diviso a metà, perchè era la seconda settimana della mia finta dieta, prevedibilmente presto fallita come tutte le altre. Monica Brancato studia Medicina, ha 30 anni, e un piercing sulla lingua che ogni volta che le parlo mi distrae, mi fa pensare che lo vorrei fare anch'io, prima di stramazzare al suolo svenuta e lunga lunga, spalmata come uno sgombro sottolio, al solo pensiero. 

Tra un morso e l'altro - lo zucchero che mi resta sul muso - Monica mi parla di un'iniziativa, e lo fa col sorriso bello che hanno le persone quando un'idea gli piace assai: "Vale, facciamo l'Instawalk!". Mi pulisco le dita caramellate, mando giù un goccio d'acqua per schiarirmi la gola edulcorata, e le chiedo: "Monì, ma che è l'Instawalk?". E lei, sorriso fisso, mi spiega.

Una passeggiata nel centro storico delle nostre città, per riscoprire gli angoli perduti, gli anfratti ignorati, i palazzi crollati e pavimenti dislocati su macerie di soffitti, dimenticati da tanto di quel tempo da non saperne l'esistenza. Però anche  - mica solo cose brutte - le pareti rinnovate, l'arte antica e quella antichissima, i tesori da preservare, la natura prepotente e i colori della stagione che arriva. Il tutto attraverso la fotocamera di un cellulare, caricando ogni click su Instagram sarà possibile mandare nell'immenso web la nostra città, coi suoi aspetti più detestabili contrastati da quelli più grandemente amabili.

L'idea trova culla nel canale IgersAgrigento (@igers_agrigento), ovvero la community Instagram che raccoglie nel suo spazio le immagini più rappresentative del nostro territorio, en plein air: al mare, per strada, mangiando ravioli fritti e impastando pane sul tavolo di casa; insomma racconta tutta la nostra sicilianità estrema, in riquadri ad effetto o brevi clip da 30 secondi.

IgersAgrigento è gestito da Antonella Giovinco, una ragazza di Menfi che ho chiamato dopo la colazione con Monica, e anche se non l'ho vista, dalla voce ho capito che dietro alla cornetta c'era lo stesso sorriso. Dunque, la prima insta-passeggiata sarà ad Agrigento, il 15 febbraio alle 10 del mattino, ci si vede tutti a Porta di Ponte e poi giù, lungo tutta la via Atenea seguendo la sfilata della sessantesima Sagra del Mandorlo in fiore. Bimbi, musica, strade, colore, folklore.

Ed è subito primavera anche negli hashtag suggeriti da Antonella e Monica da inserire nelle foto: #igersinfiore oltre che naturalmente #igersagrigento , per raggruppare tutti gli scatti all'interno di un solo ambito. Igers sta per instagramers, ovvero utenti del social più utilizzato per la modifica e la condivisione dei propri rullini digitali.

Da utilizzatrice, l'ho usato anche per imparare a cucinare prendendo spunto dai canali in cui la gente condivide ricette e piatti, serviti su vassoi e insalatiere domestiche che Carlo Cracco in confronto c'ha quelli di plastica Dacca che si aprono a metà al primo colpo di coltello; dal canto mio amo ricambiare le offerte del photo food sharing - che in inglese fa tanto figo e international, ma vuol dire solo condivisione di foto di roba da mangiare - inviando le mie parmigiane di melanzane e pesce spada e i miei tortini al cioccolato preferiti nei dintorni, e di cui vi parlerò meglio in futuro. Ovviamente non fatti da me, che mi limito comunque al risotto Star. Con o senza Instagram.

Comunque, quando ho chiesto a Monica il perchè di in fiore, oltre all'ovvio richiamo alla Sagra folkloristica e alla bella stagione incipiente, m'ha detto che sperano che da questo momento - storico, sociale, agitato - possa fiorire una nuova primavera per Agrigento, rimasta coperta da foglie secche e brutti rami troppo a lungo. Spera che l'Instawalk sia un modo efficace di condividere con la community la nostra tradizione e le nostre innegabili bellezze.

Io sono d'accordo e credo che mostrare la variegata quantità - e qualità - di elementi che compongono il complesso quadro urbanistico, passato e presente, dei nostri luoghi, possa servir da monito ad una ripresa. Un po' come tirar su il tappeto sotto il quale s'è nascosta la polvere molto a lungo, e una volta presa coscienza che la polvere ci sta, ripulire bene con la scopa di lana antistatica con cui mia madre mi obbliga a raccogliere i coniglietti da sotto il letto.

Ridare voce ad un circolo di imprenditorialità giovane, che tanto sta facendo per ripopolare le nostre piccole città, è ciò che va raccontato parallelamente a dei luoghi che il cittadino - nel suo piccolo - ha il preciso dovere morale di custodire e promuovere al meglio, con gli strumenti a sua disposizione e con tutta la meridionale energia che sempre ci accompagna.

Quindi vi invito tutti ad esserci, cellulari alla mano, caffettino e si va. Prima tappa: Agrigento. Non saremo Cartier Bresson, ma in qualche modo la cuntamu.

giovedì 5 febbraio 2015

#agrigentomanifesta - La lettera di Erika Gallo Carrabba

Agrigento è la città che m'ha accolto appena quattordicenne, fra le braccia di un ginnasio dislocato in una contrada di periferia. Quando facevamo luna a scuola, e dovevamo raggiungere il centro, il Viale della Vittoria, per fare colazione nei bar fighi di cui eravamo sprovvisti in periferia, ci toccava fare l'autostop, rischiando di salire sull'auto del Charles Manson di turno, chissà quante volte. In quella città ho i primi e più bei ricordi della mia adolescenza, i primi amori a Villa Bonfiglio, tutti i miei compagni di scuola, la Via Atenea, le scalinate, l'odore di panelle alle nove del mattino, gli infiniti autobus che ci riportavano in paese, la Sagra e le esposizioni fotografiche, Palazzo dei Filippini, e le fughe a ricreazione per raggiungere la mia libreria del cuore e spendere la paghetta di una settimana seguendo i consigli di Amedeo. La Città per me è stata l'opportunità di accedere ad un fermento di eventi e scambi di idee, una cultura che il paese m'avrebbe negato, perchè, sebbene disti pochi chilometri, la mentalità - adesso quasi omogenea fra le due realtà urbane - dieci anni fa, faceva la differenza. Con tutti i problemi strutturali ed interni che Agrigento già presentava, scegliere di alzarmi alle sei e trenta tutte le mattine per raggiungerla e andare a scuola, ha fatto la differenza. Ecco perchè occupa un posto grande e particolare, tutto suo, nel mio cuore, per questo ho scelto di raccontare qui cosa sta succedendo in questi giorni. Con parole non mie, ma di chi sta vivendo questo Febbraio arrabbiato da lì, dalla Città dei Templi.

In questi giorni s'è parlato di Agrigento, non proprio bene, in tv. Si è raccontato di un gruppo di persone che amministra, lo fa male, per farlo male si è riunito spessissimo, e per ogni riunione ha preso dei soldi, che moltiplicati per spessissimo fanno tantissimo. I soldi erano degli Agrigentini, che speravano si utilizzassero per cose utili e buone, migliorative per il capoluogo, ma così non è stato e a loro - giustamente - la situazione, non è piaciuta. E hanno fatto casino, prima sul web, raccontandosi la rabbia su un gruppo di Facebook nato appositamente, #Agrigentomanifesta, e poi in strada, con un corteo. A questo punto vorrei citare un pezzo di un amico ch'è un bravo giornalista, Dario Piparo, il quale ha raccontato, essendo stato presente, la manifestazione del 3 febbraio: <<L'hashtag dell'iniziativa toglie il cancelletto, dalla tastiera si trasforma in slogan, prende vita nella voce metallica del megafono e rimbalza sulla folla: “Noi siamo altro”.[...] Agrigento oggi  si sveglia con un'altra consapevolezza. Probabilmente quella che da oggi forse niente sarà più come prima, certamente quella di poter fare qualcosa in più rispetto all'indignazione. Perché siamo in democrazia e il Comune è come un quadro, un dipinto sgradevole e malfunzionante. In quella folla, invece, ci sono i pittori. Pittori colpevoli di quella bruttura, ma con in mano un pennello – o una matita – da utilizzare a maggio, quando si tornerà alle urne. E questa volta, il dipinto, potrà migliorare. Insomma, servirà l'ispirazione, ma le premesse sembrano incoraggianti.>>
La protesta dunque, prima di scendere in strada, si muove su internet. Sui social ho letto moltissimi pareri di giovani e meno giovani; in moltissimi hanno difeso con grande verve i diritti dei cittadini, in particolare m'hanno colpito le parole di due amici: Erika e Alessandro. Oggi parlerò solo della prima, in attesa della voce del secondo. L'ho chiamata e le ho chiesto di raccontarmi i suoi sentimenti in merito, con l'energia comunicativa che la contraddistingue. Le ho dato un microfono ideale per urlare il suo pensiero. M'ha scritto una lettera, mentre era su un volo che la riportava nella città dove vive per studiare, Firenze, e qui la riporto come lei l'ha scritta, con tutte le maiuscole e i punti esclamativi al loro posto, altrimenti non renderebbe l'idea nello stesso modo.

Agrigento è la MIA terra! La MIA casa! La MIA mamma, il MIO papà, fratelli e sorelle, e mi piange il cuore a vederla pian piano colare a picco, proprio come il Titanic (cit. studente manifestante) così, solo perchè chi ha avuto la presunzione di rappresentarci, non è stato capace di farlo come meglio, Agrigento, avrebbe meritato! Io sono una studentessa fuori sede, e quando dico la parola "fuori sede" , aggiungo quasi sempre dopo un "per fortuna", seguito precipitosamente e precisamente da un "...o PURTROPPO!", che a quel "per fortuna" neanche lo vede! Quando giro per le strade di Firenze, mi guardo intorno. Una realtà a misura d'uomo, pulita, organizzata, ma non troppo (perchè non me ne vogliate, ma quando mia nonna dice "ognunu sapi quantu l'avi", ha una gran ragione!), "culla della cultura, dell'arte e della lingua italiana", monumenti maestosi, poeti, pittori, scultori...e chi più ne ha più ne metta...e TURISTI. Milioni di turisti, caterve di turisti provenienti da tutto il mondo. Turisti che rischiano di causare l'estinzione del fiorentino doc! Turisti sopra ogni cosa. Ecco, quando io cammino e percorro quelle strade io penso a Girgenti. Penso: cos'ha in meno la mia Girgenti? Firenze ha un GRAN DUOMO, Agrigento anche ma cade a pezzi, Firenze ha infiniti musei, Agrigento ne avrà di  meno di un numero infinito, ed anche se dentro non vi si troverà il David di Michelangelo, ahimè, vi si troveranno le nostre ORIGINI (quelle che spesso, purtroppo, dimentichiamo). A Firenze nacque Dante, a Girgenti Pirandello. A Firenze scorre un cazzo di fiume, ad Agrigento scorre un immenso Mediterraneo che Firenze se lo sogna, ragazzi! I Templi. Quella Valle incantata che fa innamorare tutti, eccetto noi, porcaccia di quella porcaccia! Potrei continuare a non finire, ma il mio obiettivo non è quello di paragonare la mia terra con un'altra, no! Se l'ho fatto (fino ad adesso) è solo per farvi capire che se vogliamo, anche noi possiamo! Agrigento può! Agrigento da ultima città in classifica, può scalare questa vetta! Perchè non dovrebbe? Perchè? Che limiti ha? Ebbene, NOI siamo il nostro stesso limite. Noi, quando entriamo in quel triste separé di compensato brutto e riciclato di tavole buttate così all'agnuni come si suole dire in francese dalle nostre parti, utilizzate - almeno così dovrebbe essere - per preservare la nostra privacy, stiamo per sottolineare ancora di più il nostro limite più grande. Smettiamola di dar fiducia a chi fa promesse da marinaio, smettiamola di prendercela con loro come se fossero caduti dal cielo per prendersi gioco di noi e derubarci, li abbiamo votati NOI, mentre loro mangiano a sbafo a spese nostre, smettiamola di buttare le carte per terra, di creare tappeti di bottiglie di vetro, smettiamola di provare invidia, di essere omertosi, lecca culo, bugiardi e corrotti, perchè se veramente questo siamo, allora credo fermamente che è proprio questo quello che meritiamo, ma siccome invece credo fermantissimamente che Agrigento sia ben altro, svegliamoci cazzo! Diamo davvero una svolta a questa terra meravigliosa e un calcio nel culo a chi per anni per il culo ci ha preso! Prima di pensare al futuro, miglioriamo, cambiamo il nostro presente, perchè è questo ed è marcio! Ad Agrigento urgono SERVIZI, PALAZZI, STRADE NUOVE, LAVORI IN CORSO PER PALAZZI CHE CROLLANO, PER SCUOLE CHE CADONO  PEZZI, PER MURI CHE SI SGRETOLANO, oppure aspettiamo che ne crollino ancora meravigliandoci poi dell tragedia che potrebbe accadere? Ad Agrigento NON DEVE CHIUDERE L'UNIVERSITA' perchè è un nostro diritto! Finiamola di lamentarci, e agiamo! Ma no a parole... Smettiamola di battere le mani in petto solo quando passa San Calò! Le mani sulla coscienza sbattiamole ORA. Mi fermo qua perchè potrei non smettere più e se non lo faccio subito rischio una perforazione dello stomaco immediata, però concludo dicendo che ieri alla manifestazione ero lì, presente col cuore, e di cuori sinceri, ieri ne ho visti tanti! Mi auguro con tutto il cuore che non smettano mai di pulsare così, per un Amore incondizionato e inspiegabile e grande, che altro non deve che essere salvato, nutrito e risollevato! Perciò che la smettessero, chi non c'era, di criticare e dire cose infondate, perchè a volte, prima di parlare bisognerebbe essere come san Tommaso: SE NON VEDO, NON CREDO!
Ritornando al paragone con Firenze, una cosa però ve la devo dire: U
Erika Gallo Carrabba, Agrigentina
FIAVURU, U SULI E U CORI C'AVEMU NANDRI, FIRENZE, ROMA, MILANO E CHISSA' QUANTE ALTRE CITTA', UNNU PONNU SENTIRI MANCU SI CI FA 'NA GRAZIA SAN CALO'!

E per stavolta non traduco, non renderebbe.