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mercoledì 22 gennaio 2014

Chefare per Favara. A Strata Nova come la Quinta Strada.

Da casa mia al mio posto di lavoro ho contato un chilometro e mezzo.
Percorrendo un chilometro e mezzo in un quarto d'ora circa, mi capita di fare il conto delle calorie che ho bruciato, e di guardare le facce che incontro per strada.  Le conosco tutte, non me ne sfugge una. Sono più uomini che donne, le donne usano molto le automobili per accompagnare i bambini a scuola, gli uomini stazionano davanti ai bar, prendono un caffè con gli amici e poi vanno a lavoro. O a casa. O in un altro bar.
Non è la prima volta che scrivo di quel percorso giornaliero, la Strata Nova. Non è enorme e neppure larghissima, ma nella mia fantasia è grande e trafficata e piena di uomini in giacca e cravatta che corrono con in mano un bicchierone di caffè annacquato e bollente, e nella realtà parallela che spesso mi creo per mettere su prospettive e desideri per Favara, a Strata Nova somiglia tanto alla 5th Avenue di New York, anche se la realtà è una vena di negozietti e piccoli bar che porta dritta al centro di Favara, trentatre mila abitanti in provincia di Agrigento, sud Sicilia.
L'estate scorsa, quando lavoravamo al Castello, la percorrevo subito dopo pranzo, ora la percorro ogni mattina, salvo pioggia, caso in cui becco un passaggio. E' un'eventualità che non mi aggrada, sono meteoropatica, mi piace il sole.

Ho scritto così tante volte di Farm che ogni volta mi sembra di ripetere le stesse cose, con la stessa intensità, e lo stesso bacillo di felicità che annienta la mia noia provinciale. Ogni volta, però, quello che racconto è diverso, una micro-storia fatta di una giornata o una settimana o un mese, che si riempiono di facce, mani, menti e colori sempre differenti: questa è Farm.
In questi giorni è stata definita miracolo italiano nell'articolo di Francesca Cavallo su Chefuturo! (http://www.chefuturo.it/2014/01/francesca-cavallo-il-nuovo-miracolo-italiano-e-gia-iniziato-a-sud), che ha inondato le home dei nostri social, con commenti compiaciuti e soddisfazione da ogni parte dello stivale, ed oltre. Se mi stai leggendo, grazie Francesca e grazie a tutti voi che avete spammato col cuore.

La mattina, alle otto e quarantacinque circa, quando guardo i volti a me noti dei Favaresi, mi chiedo se mai e quante volte siano stati dentro Farm Cultural Park. Mi chiedo se ne abbiano sentito parlare e se la sua esitenza abbia avuto un qualche tipo d'impatto nella loro vita. Cerco di immaginare le risposte, dall'espressione della mattina mentre vanno a lavoro, qualcuna non è un sì, ma non mi aspetto neppure che lo sia in quel frastuono di inflazioni e disastri economici infrasettimanali mattutini. La sera pare che non ci si pensi, alla crisi: si va a bere con gli amici, si va a cenare, si fa il pieno, talvolta anche con un mezzo sorriso rilassato sul volto. La mattina no, la mattina è grigia anche se c'è il sole, soprattutto se vivi in un paese senza colore, le mattine sono grigie come il cemento e il non intonaco dei palazzi. A far da contrasto solo la ruggine di qualche tubo in metallo esposto alle intemperie e la muffa che si forma negli interstizi sotto i balconi.

Se non sei mai stato a Favara, io ti dico che viverci non è facile per niente.
La scorsa settimana ho preso una buca e ho perso il copri-cerchione, ma a chi lo vado a dire? Tu, lettore, mi diresti: all'Amministrazione lo devi dire, Vale. E io ti risponderei: non ne vale la pena, Lettore. Me lo tengo per me. Posso dirti però che non ho rabbia e neppure voglia d'andarmene in un posto dove le buche non esistono o se esistono le coprono nell'arco di ventiquattr'ore e nottetempo per non creare disagi ai guidatori. Non ho voglia d'andarmene per poche cose, una di quelle è Farm Cultural Park. Realtà parallela che non ho bisogno di immaginare, basta andarci e lei è là.

Quando arrivo a lavoro, un salone di parrucchieria, all'apertura preparo due o tre caffè, uno lo bevo io.
Attorno alle chiavi della porta d'ingresso abbiamo legato un nastro rosso coi pois bianchi, è l'Happiness  Flag, la bandiera che si vede sventolare sui Sette Cortili e cerchiare i nostri polsi. Io ne vado fiera, pare dirmi: qualsiasi cosa stai facendo e ovunque tu la stia facendo, Farm è con te. Quando prendo un appuntamento, quando vi vesto per un colore, quando vi fotografo dopo un bel taglio e quando ordino il pranzo, l'energia dell'Happiness Flag è con me, perchè è il simbolo di chi crede in ciò che fa e lo fa con amore, anche se è l'ultima cosa che pensava avrebbe fatto nella sua vita.

Sono sincera: a me, il mio lavoro in parrucchieria, m'ha travolta.
All'inizio mi prendevo male perchè la gente non mi conosceva e mi chiedeva di farle lo shampoo oppure m'ignorava completamente all'ingresso, quando cercavo di accoglierla o prepararle un caffè. Per loro ero una novità e i Favaresi non si fidano quasi mai delle novità; c'è sempre qualcosa che non li convince, pensano che dietro ci sia qualcos'altro, e invece dietro la mia gentilezza c'era solo la mia gentilezza. Nient'altro.
Allora ho lavorato di pazienza e dolcezza e adesso, dopo quasi due mesi, mi danno perfino il cappotto senza ch'io debba chiederglielo, e io - dal mio canto - mi ricordo ormai chi prende il caffè amaro e chi zuccherato. Tradizionaliste. I rappresentanti delle piastre e dei prodotti, quando rispondo al telefono, ormai dicono: Oh, buongiorno Valentina, come sta? E anch'io li chiamo per nome, ma sempre dando loro del lei. Sono professionale. Ogni novità, come me, ha solo bisogno di tempo per essere compresa ed assimilata, è un po' come il cibo, la digestione richiede tempo e quando il pasto è abbondante possono volerci anche delle ore, ma non per questo rinunciamo a mangiare o mandiamo giù sempre e solo spinaci lessati.

Anche per Farm è stato così. Ci sono voluti tre anni, di lavoro duro e progettazione, ma adesso eccoci qui.
E per qui intendo un punto di raccolta di collaborazioni e assi creati da Favara verso Ovunque, interazioni ed idee atte a migliorare l'aspetto interno ed esterno del territorio, una rete di energie infinita che si ricarica ogni mattina, e che non ha il tempo di conoscere la stanchezza perchè ne è proprio l'antidoto. Un'isola felice.
Oggi Farm partecipa al concorso Chefare2, promosso dall'Associazione Culturale Doppiozero con una serie di altri partner, ed è uno strumento di ricerca sui nuovi modi di fare cultura oggi in Italia. Il concorso mette in palio 100.000 euro per il progetto vincitore; premio per la cultura che andrà re-investito in pratiche legate allo sviluppo del territorio, a partire dal progetto stesso. FARM REGENERATION è il nome del nostro e se volete votarlo è possibile qui: http://www.che-fare.com/progetti-approvati/farm-regeneration/

Mi aspetto che fra altri tre anni, la mattina, quando percorro la Quinta Strada di Favara per andare a lavoro - che magari sarà ancora lo stesso - ci siano più macchine con un adesivo CHE BELLO sul paraurti, che gli spartitraffici siano meno grigi e le buche forse saranno ancora lì, ma Favara intorno sarà così bella e rinata che saranno il nostro ultimo pensiero. Poi vorrei vedere più dammusi bianchi sorgere sulle macerie del centro storico, e vorrei vederli abitati dalle famiglie che vivono in sei sette otto in uno stanzino umido e fatiscente. Mi piacerebbe che il nostro lavoro fatto d'arte e passioni, sia la scintilla di una luce accesa sulle difficoltà di un posto che non vuole più essere un triste agglomerato di case, ma un nucleo effervescente di entusiasmo e lavoro.
Di una cosa sono sicura: fra tre anni sarò ancora qui a godermi lo spettacolo, fra un pettine e una riunione nella sala Nzemmula, fra uno spruzzo di lacca e un corriere esaurito, fra una mail di lavoro e una foto nel giardino, io saro qui a raccontarvelo e voi sarete con me, a Farm Cultural Park, Cortile Bentivegna, 92026, Favara, Ag.

(Votateci, grazie. <3 )

martedì 7 gennaio 2014

Io, l'influenza, l'America.

Ce ne hanno dette tante su come buttar giù i chili di troppo che ci farciscono il culo dopo le feste.
Bere tanta acqua, mangiare verdure, fare movimento e dormire bene. Insomma una vita sana garantisce un corpo sano e snello, e questa non è una novità. Richiede qualche sacrificio, è vero, ma ne vale la pena al momento dei conti sul quadrato dalla lancetta maledetta meglio noto come: bilancia.
E poi ci siamo noi, quelli che per salutare quei due chiletti di Pandoro e fritti misti, hanno scelto di ammalarsi, di prendersi la consueta febbre stagionale che ci attanaglia annualmente proprio sul finire delle vacanze.

Io sono particolarmente cagionevole. Lo so io, e lo sappiamo tutti.
Questa volta però mi pare che ce la siamo beccata in tanti, e l'ho capito da due cose:
- questa nuova modalità di Facebook grazie alla quale possiamo impostare il nostro umore allegando una faccina correlata, ecco: otto amici su dieci ci hanno comunicato con la faccina verde che sono malati di bastarda influenza, maledetta febbre e cazzo la gola; - la pubblicità di centinaia di farmaci diversi per mal di gola, tosse secca, tosse grassa, febbre e dolori articolari. I principi attivi sono sempre gli stessi e curano tutti allo stesso modo. Vince però lo sciroppo con lo spot più accattivante, anche se generalmente la storia è sempre quella di una coppia di sposi, lei che struscia un pochettino la patatina sulla gamba di lui infermo che continua a starnutire sotto mille plaid grigi e a cercare fazzoletti per il naso che cola, e non se la caca di striscio, allora lei si rompe i coglioni va in farmacia e compra le bustine da sciogliere in acqua calda e il Durex massage per quando il marito si riprenderà (ma questo è quello che non ci fanno vedere), ripresa che avviene per altro immediatamente dopo l'assunzione della bustina miracolosa, anzi proprio durante, mentre la manda giù dalla tazzona ancora fumante.
Questa è la triste e nota storia dei farmaci anti-influenzali italiani, un bellissimo show soft-core, come tutto il resto.

Ma non è questo il luogo e non è l'argomento di cui voglio parlare.
L'argomento di cui voglio parlare invece è: l'America.
Non l'America in generale, ma una precisa fetta di quel gran ciambellone variegato che è il Continente. La mia influenza, o dieta naturale post-feste, chiamatela come volete, mi ha costretta a letto a guardare la tv per ben quattro giorni, senza smettere mai. L'unico canale che riesco a guardare, se proprio devo, è MTV, ma da adesso sarebbe più appropriato utilizzare l'indicativo imperfetto voce del verbo riuscire: riuscivo.
Ho visto a rotazione repliche su repliche di: Sixteen and pregnant, Teen mom, Plain Jane, Friend Zone, Catfish e Adolescenti XXL, e ne ho conseguentemente dedotto che gli adolescenti del Broccolino:
- a soli 14 anni hanno una vita sessuale da fare arrossire Rocco;
- hanno genitori troppo accollativi che accettano di buon grado le loro precoci gravidanze e gli mettono a disposizione mezza villa per sposarsi e crescere the baby;
- se si vedono grassi fanno due cose: o cercano l'amore sui social network usando le foto di altre persone o si rivolgono ad un programma che gli garantisce un personal trainer;

Il punto è questo: sono insicuri.
E se lo stereotipo dell'italiano è quello dell'omino con spaghetti, baffi neri e mandolino, quello degli Americani sono quei begli omaccioni alti e palestrati che masticano chewing gum e mangiano pancake e guidano auto grosse che i nostri SUV in confronto sono delle Smart. La tv, però, ci dice altro, ci smonta completamente quell'ideale di forza e sicurezza che gli States da sempre accendono in noi, piccoli uomini del Sud del Mondo in via di sottosviluppo. I reality ce li mostrano sotto un'altra luce, quella che in genere ci arriva spenta, quella della totale ignoranza sulla contraccezione, dell'essere impacciati nei confronti dell'altro sesso, e del vivere male il confronto con lo specchio. Quello che succede esattamente a noi. Forse perchè la geografia c'entra ben poco, forse perchè tutto questo è prerogativa dell'essere umano occidentale che può permettersi tutta questa serie di piccole e grandi grane quotidiane. Del resto, i nostri reality non fanno altro che inviare al mondo intero un aspetto del tutto deteriore del ragazzo medio italiano: cafoni, ignoranti, venali e svogliati. Quello che solo una parte è, quello che per fortuna non siamo tutti.

Che dire, ho fatto overdose di rigurgiti di bimbi e mini-mamme in sala parto, e di ragazze cicciotte che sudano un mese prima di andare al college, adesso mi alzo dal letto, mi faccio una bella spremuta d'arancia e fanculizzo tutti gli spray rinfrescanti per la mia gola, sperando di uscire di casa domani e di non rimanere incinta per i prossimi due anni.