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martedì 17 dicembre 2019

Come gestire la casa in presenza di bambini e animali domestici: la convivenza semplice e felice di Antonio e Zenzero

L'arrivo del bambino, insieme a una grande ondata di gioia, ha portato con sé delle necessità  particolari, di tipo igienico e logistico. Soprattutto in relazione alla presenza di Zenzero, il nostro chihuahua di quasi quattro anni, che è per noi - non esagero nel dirlo e in molti comprenderanno - un altro figlio.

Sin dal primo momento del suo ingresso in casa, al ritorno dall'ospedale, Antonio ha avuto contatti col nostro cane, sviluppando con lui un legame fraterno che oggi è ancora più saldo. Tutto questo per me rappresenta un successo, se consideriamo che io da bambina ero terrorizzata da ogni forma di essere vivente che non fossero gli umani, probabilmente a causa di una mamma molto apprensiva che ha sempre relegato cani e gatti nella sfera delle cose pericolose.

Il fatto che Zenzero sia un ottimo compagno di giochi per il nostro bambino però comporta un piano strategico speciale per la cura della casa e l'organizzazione degli spazi, affinché nessuno dei due possa prevalere sull'altro e il loro rapporto possa essere ben equilibrato.

Spazio giochi di Antonio: abbiamo deciso di utilizzare una parte della casa, il salone che è posto all'ingresso, per creare un'area gioco libera, con tappetone in gommapiuma e tanti giocattoli. A questa zona il cane non ha accesso grazie all'utilizzo di un cancelletto Giordani regolabile, perché: il momento di gioco del bambino deve essere libero da interferenze esterne; il cane, giocando a sua volta, può prendere i giochi, mangiare i pastelli, saltare con dolce veemenza sul bambino, e questo non va bene. I primi passi sono importanti e hanno bisogno di stabilità. Un'altra motivazione fondamentale è che Zenzero è un chihuahua a pelo lungo e se questo si depositasse sul tappeto o sui giochi (che il bambino mette in bocca) non sarebbe il massimo. Questo spazio è di "proprietà" di Antonio e qua può dare libero sfogo alla sua creatività.

Oltretutto, è successo che il cane mangiasse uno dei pastelli con cui coloriamo e ha passato la notte a vomitare arcobaleni, quindi: ognuno gioca nello spazio suo. Per tutto il resto del tempo, in ogni caso, possono condividere i vari momenti della giornata: il pranzo, la ninna, i cartoni animati. 
Come?

Pranzo in cucina: Antonio mangia seduto nel suo seggiolone, che puliamo all'inizio e alla fine di ogni pasto, utilizzando le salviettine igienizzanti Napisan o lo spray igienizzante Napisan con l'aiuto di un panno. Le ciotole di Zenzero, contenenti croccantini e acqua, sono riparate da una porta e il bambino non può toccarle, ma il cane sa come comunicarci il bisogno di mangiare o bere. Abbiamo dovuto fare questa scelta perché Antonio spesso ci metteva le mani dentro. 
Per mia scelta personale, e non perché il cane ne faccia utilizzo ovviamente, sterilizzo le stoviglie di Antonio nello sterilizzatore Chicco alla fine del pranzo e della cena. Sì, ci metto anche i piatti. Perché? Perché qualche volta li lancia sul pavimento e della sola spugna non mi fido, anzi.

Non sono una maniaca dei germi, non sono ossessionata dalla saliva del cane ma credo che bisogna prestare attenzione e applicare alcune piccole regole, per una serena convivenza. Zenzero è parte della nostra famiglia e tutto questo è utile per lui, quanto per noi.

La nanna: Antonio ha sempre dormito in autonomia, prima nella cesta e poi, a tre mesi, nel lettino con le sbarre (comunemente noto come culla). Zenzero, sin da quando era un cucciolo, dorme nel nostro lettone, pertanto cambiamo le lenzuola ogni due giorni e, per facilitare il lavaggio del piumone abbiamo deciso di sostituirlo con due trapunte (lo so, sembra una cosa da pazzi, ma è tutto molto più semplice). Casa nostra è molto calda, quindi anche le trapunte si lavano due volte a settimana e si asciugano rapidamente. Non abbiamo l'asciugatrice e non ne abbiamo mai sentito la necessità, ma credo che questo metodo delle coperte a strati possa rendere la vita più semplice anche a chi non può stendere la biancheria all'esterno. O forse siamo matti e basta.

Argomento bisognini: Zenzero fa tutto all'esterno ma è pur sempre un maschio che sente il bisogno di marcare il territorio continuamente. Davvero, continuamente. Per questa ragione piazziamo sempre in un punto preciso una traversa per animali domestici e, da qualche giorno, abbiamo comprato una fascia per cagnolini maschi che lo inibisce dagli schizzi dentro casa e li contiene poiché al suo interno  si inserisce un pannolino o un assorbente. In caso di incidenti che possono pur sempre capitare, comunque, abbiamo un secchio e uno straccio utilizzati solo per queste evenienze. 
Puliamo i nostri pavimenti, normalmente, con Folletto Vorwerk e detersivo Amuchina. L'aspirapolvere è fondamentale per aspirare il pelo che inevitabilmente ci ritroviamo per casa e, con un attrezzo speciale (il Picchio) igienizziamo divani e materassi di tanto in tanto.

So che tutto questo può sembrare faticoso, non vi dirò una bugia: lo è. E' un lavoro in più per me e Gabriele, ma ci rende incredibilmente sereni anche perché i nostri bambini sono inseparabili e vederli così affiatati ci stupisce. Grazie al fatto che sta crescendo con Zenzero, Antonio ama tutti gli animali e non ha paura di niente. Un cane, un gatto o qualsiasi altro animale domestico non devono in nessun modo essere allontanati dalla loro casa solo perché sta arrivando un bambino, non mi stancherò mai di dire che lo trovo disumano. Basta solo organizzarsi e affrontare le problematiche igienico-logistiche con prontezza e tanta tanta pazienza.
Vedrete: ne vale la pena.


















mercoledì 8 maggio 2019

Parto naturale. Vi racconto il mio: facile, emozionante, supportato.

Una settimana fa, mi si sono rotte le acque. E lì è iniziato tutto.
In questi sei giorni mi è stato chiesto, naturalmente, più volte come fosse stato il mio parto. Depurando il pensiero dal normale dolore fisico che ho provato, l'ho definito: un'esperienza animalesca e liberatoria, emozionante e catartica.
Per nove mesi la paura di un cesareo o di un parto prematuro ci ha accompagnati. E invece Antonio, non solo ha raggiunto il termine, l'ha anche superato di otto giorni. Quarantuno settimane di gestazione: al limite dell'equino, in pratica. Poi martedì scorso, svegliarsi con l'idea di un'inspiegabile incontinenza: mi sono pisciata sotto, ho pensato. Invece no, con un asciugamano tra le gambe ho corso per casa, ridendo, per un'ora intera, felice che finalmente fosse arrivato il momento. Un'ora in cui ho fatto una doccia, ho messo il profumo e mi sono pettinata, e Gabriele anche, prima di andare al San Giovanni di Dio. Cinque piani a piedi, perché gli ascensori dell'ospedale non sembrano mai sicuri (non lo sono). E se partorisco sola in ascensore? Mezzo metro per mezzo metro? Su per le scale, dai. Ventiquattr'ore dopo le contrazioni, indotte con gel perché da sole non sono mai arrivate, e il dolore più intenso mai provato in ventinove anni. Badate bene, non a caso ho scelto di definirlo intenso, invece che il peggiore, perché, di fatto, è stato il migliore.
Pause di respiro di pochi minuti, sempre meno, e la schiena che sembra volersi aprire, lo stomaco venire fuori su per la gola, il pensiero costante che un essere umano, là dentro, sta lottando con Madre Natura per rompere le catene e abbandonare la piscina più stretta in cui nuoterà mai. Una guerra appassionata con e per la vita, il bisogno primordiale di spingere e lacerare le barriere di una morbidissima prigione. Vedere la luce e aggrapparsi con ogni forza a quello spiraglio, che è un anfratto di mamma, ma è una trasformazione, un nuovo inizio, anzi: l'inizio. Nel frattempo, fuori, io respiravo e urlavo, ma al contempo godevo di quello strazio che mi avrebbe condotto da mio figlio, come un braccio di ferro d'amore, per il quale la donna è stata perfettamente creata: macchina generativa ed orologio preciso di sensazioni ed istinti.
Le spinte. E la mano di Gabriele, verde in viso, sotto la mia testa, le sue carezze, i suoi baci sulla mia fronte bagnata, nello sforzo di regalargli un figlio.
«Fai la cacca, Valentina!»
Così consigliava il dottore, per spiegarmi la spinta. Trattieni il respiro, non urlare, senti il dolore e trasformalo in forza. Poi la spinta finale, quella giusta, indomabile e stremata, l'apice di un piacere che solo mettere al mondo una vita può regalare. Che beatitudine, che fortuna, che privilegio ho avuto.
Del parto si pensa che sia solo doloroso, ma è vero: il dolore si scorda, se lo si attraversa, lo si gusta, lo si decifra nel suo senso più puro: c'è Dio in quello sforzo, c'è tutta la creazione dell'Universo, tutta la perfezione di ciò che lui ha pensato e fatto.
Dio, amore, natura e forza: un miracolo attraversa il mio corpo, semplice mezzo, come una scossa elettrica, da capo a piedi, e si fa persona, si fa carne. Come può tutto questo mistico furore essere ricordato solo per il dolore fisico?
Dare alla luce Antonio, vederlo sul mio petto ancora sporco di sangue e resti del mio corpo, abbracciato dal mio grembo ancora per poco, e benedire quel cordone che per mesi l'ha nutrito, tramite la mia stessa nutrizione, è una cosa che ancora mi sconvolge di gioia. E che vorrei ripetere altre due, tre, dieci volte, perché il momento in cui sono diventata madre è stato l'unico in cui ho potuto vedere la perfezione divina agire in me, tramite me.
Per tutto questo, per la salute e la positività con cui ho affrontato l'attimo e ne conservo un così bel ricordo, è giusto che io ringrazi tutti gli Infermieri, le Ostetriche e i Medici del reparto di Ostetricia e Ginecologia dell'Ospedale San Giovanni di Dio di Agrigento, in particolare la dottoressa che ha permesso che Antonio crescesse sano e forte all'interno di un grembo materno scomodo.
Troppe volte ci soffermiamo a criticare questa struttura per la decadenza strutturale e igienica che presenta, tralasciando il capitale umano che vi opera con passione e maestria. Con professionalità.
A tutte le mamme in attesa: vi auguro di partorire così come io ho potuto, entrando con gioia in una stanza dove il tempo si è fermato, accecata dagli spasmi naturali, ma ricoperta di luce, e dalla quale sono uscita sorridendo, col mio gioiello più prezioso tra le braccia.