E tu sei il numero:

martedì 31 dicembre 2013

Un bilancio e un paio d'auguri.

Oggi ho mangiato una mozzarella e sessanta grammi di prosciutto crudo, un mandarino e un cioccolatino con cinquanta calorie attestate. Questo è stato il mio pranzo in visione della palata di roba che manderò giù questa sera, perchè stasera è l'ultima dell'anno ed è obbligo morale sfondarsi di cardi fritti fino a divenir pastella.

Un mese fa ho fatto shopping. Facendo shopping, ho notato un vestito al limite tra un film di Rocco Siffredi e una velina ospite di Barbara D'Urso alle tre del pomeriggio. Non so se Barbara D'Urso conduce qualcosa alle tre del pomeriggio ma per grazia del buon Dio sconosco il palinsesto televisivo, quindi datemela per buona. Il vestito in questione è così sexy e trash che non potevo non acquistarlo, e adesso abita il primo cassetto del mio armadio. La storia di questa tutina nera - sì, ho detto proprio tutina - è quella di una cosa provata per ridere, così, giusto per levarsi lo sfizio di sapere come mi sta, e secondo me, nella mia visione distorta dell'eleganza e della sobrietà, mi stava bene. Per questo l'ho comprata.
All'acquisto azzardato, data la taglia fasciante, è seguita una dieta ferrea e attenta che per l'occasione è stata denominata per l'appunto La fame della tutina. Già dal minuto dello scontrino sapevo che probabilmente non l'avrei mai indossata, se non nella mia camera per fare sfilate solitarie davanti allo specchio, ma sono stati i quaranta euro più compiaciuti e meritati della storia del nuovo conio europeo. Un investimento di vanità.

La fame della tutina non è servita a niente, perchè la tutina rimarrà nel primo cassetto del mio armadio ad infinito tempore: stasera lavoro. Non posso andare dietro un bancone con quel vestito, a meno che non si tratti di un party Playboy con velleità morbidose, ma non è questo il caso perchè il caso è quello di un Capodanno alla Farm.

Sì, passerò anche l'ultimo e il primo dell'anno nello stesso posto che è stato il simbolo di quello in chiusura, e questo blog ne è la testimonianza, ma chi mi legge sa quindi non riprenderò il noto topos dell'Anno dell'Arcobaleno che alla fine lo fu per davvero. Voglio ricordare però dei momenti che hanno rappresentato il meglio del meglio di quest'anno, non in ordine cronologico e neppure d'importanza, ma come mi tornano alla memoria: il discorso di Annibale D'Elia al Castello Chiaramonte il giorno dell'inaugurazione, il taglio dei capelli dei Porka's, l'arrivo di BR1 alla fermata degli autobus con le sue opere arrotolate nello zainetto da viaggio, il brindisi con Massimo Mion, la prima cena con Peppe Sirchia e Antonio Perdichizzi al Caffè Italia, le interviste e i racconti su Favara, la pagina di Repubblica tutta dedicata a Farm e la giornalista bionda, il vestito bianco e i pantaloni di lino di Filippo comprati insieme la mattina del 29 giugno, il mio viaggio al WCAP e le tagliatelle alla zucca rossa con gli startuppers, il Canciamula Day con tutta la squadra, Riccardo Luna che mi son persa per i miei calcoli operati, tutti i Second Life e i pancake nello Spazio Nero, la sediona, il coniglione, i palloncini rossi e il frigorifero pieno di terra, il viaggio a Roma e il premio ARS, Andrea e Florinda che ringrazierò fino allo sfinimento, il momento della firma e la nascita di FUN nello studio di Andrea a Gela, le beghe consiliari, le lotte personali e tutta la fatica che c'è voluta e per cui n'è valsa la pena.

Questa la mia carrellata professionale su un anno agrodolce, che sarà difficile da confondere nella mambassa degli anni, che non si perderà in mezzo agli altri. Stasera dunque, la tutina di Rocco rimarrà a casa e io metterò qualcosa di più comodo, stapperò con la mia mamma e il mio papà e  un altro po' di famiglia e ringrazierò per quello che ho avuto, e se perfavore ci arriva qualcosina in più io non ci sputo, ah.
Però non mi lamento, sono felice. Se stasera un petardo mi colpisse il cranio e io dimenticassi tutto, ditemi solo: eri felice. E io mi ricorderò tutto il resto, un resto non indifferente se consideriamo il suo nome: Gabriele, ovvero quell'uomo meraviglioso che sopporta la mia logorrea e i miei stress lavorativi ed esistenziali, mettendo sempre in secondo piano i suoi, ed essendo complice di infiniti peccati di gola di cui non mi pento mai, se fatti con lui. L'uomo che alimenta la mia ambizione, e mi sprona negli insuccessi, che
annulla ogni stanchezza e mi fa sentire come ogni donna dovrebbe: bella.
In una sola, bellissima e abusata, vera e potente parola: l'amore.

Non vestirò una tigre e non farò un trenino a Brigitte Bardot questa notte, ma lavorerò in un posto che è casa ed è sorriso ed è il posto del mio anno. Ringrazio i miei amici per essere amici, e ringrazio Calogero per l'opportunità lavorativa che mi ha dato nell'ultimo mese, facendomi entrare nelle teste delle donne tramite i loro capelli e per avermi fatta - e chi l'avrebbe mai detto - bionda.
Dedico questo mio post a due persone che l'Anno dell'Arcobaleno, spegnendosi per ben due volte, m'ha portato via: nonna Mela e Armando. La mia super nonna e il mio super eroe.

Ed infine un grazie ai miei lettori, tanti, troppi, infiniti. Rinnovo l'augurio fattovi a Natale, e che sia un anno pieno di creatività, finanziamenti europei, caffè da Gianco e clamorose notti hard.
L'ormai inaspettatamente bionda e sempre affettuosamente vostra,

Vale.

giovedì 26 dicembre 2013

Vado a lavoro, buon Natale.

Negli ultimi venti giorni ho scritto tre romanzi.
Certo, tutti nella mia testa, mica per davvero. Intanto li ho scritti e se avessi tempo e volontà per trasferirli su carta, diventerebbero dei volumetti a metà tra Fabio Volo e una qualsiasi scrittrice americana con un nome abbastanza comune tipo Joan o Kim, la quale ha scritto la storia di un amorazzo a caso tormentato ma a lieto fine, e gli è andata di culo che è finita nella collana Harmony. Ecco, questo sarebbero quei tre romanzi. Una piombata sulle palle.

L'interrogativo più frequente che ha addobbato questo mio mese natalizio è stato quello circa il mio lavoro all'interno di una parrucchieria. Io lo so, lo so, il mio ruolo non vi è ancora chiaro, e forse non mi va tanto di chiarirlo ulteriormente, perchè è divertente sapere che mi immaginate a lavare teste e  phonare chiome. No, io prendo gli appuntamenti, rispondo al telefono, vi poso il cappotto e vi faccio il caffè, vi coccolo se avete bisogno di coccole, vi consiglio sul biondo se necessitate di un consiglio sul biondo, e parlo con le nonne se hanno bisogno di parlare. Alla fine, non volendo, vi ho chiarito il mio ruolo che, per dirla in termini magri magri, è quello della segretaria. Io faccio la segretaria in un salone di bellezza, e certe volte non ho il tempo di farmi lo shampoo e neppure di truccarmi, quindi non sono il top del marketing a livello di esempio reclame, ma quando mi piazzano il mosso ondulato e una striscia di rosso Kate, non dico Belen ma quasi.

Quello che amo del mio lavoro sono le vostre teste.
Ci arrivano scapigliate, fuori posto, crespe, sfibrate e stanche, proprio come i vostri pensieri e i vostri affanni di donne e mamme, e vi mandiamo via luminose, in ordine, a posto dentro e fuori. Perchè quando lo shampoo ce lo fanno gli altri, con annesso massaggino e piega conseguente, fuori può essere Sarajevo bombardata e noi non ce ne rendiamo conto. Ci abbandoniamo molli molli tra le mani di chi ci pettina e spalma cremine ristrutturanti ed è l'amore, la quintessenza dell'armonia. Ci concediamo questo momento una volta ogni due settimane in media e ci ricarica così tanto che il coniglietto rosa Duracell in confronto è un uomo con disfunzioni erettili.

La categoria delle frequentatrici del salone che preferisco sono le nonne. Perchè mi manca la mia, in primis, e la cerco sempre nei loro occhi illuminati che parlano dei nipoti. Per le nonne i nipoti sono sempre persone ampiamente migliori di come sono in realtà: più bravi, più belli, più onesti, più intelligenti, più simpatici e più affettuosi del vero. Credo che i nonni abbiano nella percezione dei nipoti questa distorsione positiva che amplifica ogni qualità, cosa che nei genitori di verifica specularmente coi difetti: per loro facciamo sempre più schifo. E' per questo che io per le signore mature ho un riguardo in più: le accompagno al posto offrendogli il mio braccio, gli zucchero la tisana con calma e quando vanno via gli metto il cappotto, perchè a qualcuna fa male una spalla oppure un gomito - ah, sti dulura! - e cerco così di riparare alle mancanze avute con la mia, di nonna, sperando che dal posto dove si trova gradisca. Oppure magari s'ingelosisce e m'insulta.

Comunque tra nonne, signore, giovani shatush, ormai è passato quasi un mese dal primo giorno che ho posato il culo davanti a quel Mac. Un mese di appuntamenti verdi su iCal, un mese di playlist di Michael Bublè intervallati da qualche discone hip hop di gradimento del mio capo, un mese di roller, un mese di trattamenti Nioxin per la cute e per la corposità del capello, un mese di Color id e Illumina, e un mese di:
ma l'hai mollata l'università? Vuoi fare la parrucchiera?

No, ormai la finisco l'università e poi potrò divertirmi a fare l'intellettualoide disoccupata che parla di Sartre e denigra Manzoni davanti ad un buon calice di vino bianco, fregiandomi del mio essere dottoressa in Lettere Moderne, ma - onestamente - se potessi tornare indietro un phon e una spazzola imparerei a prenderli in mano e due pennellate sulle radici ci proverei a darvele, almeno un futuro assicurato, dico, l'avrei.
Ma adesso è così, faccio la visual. La visual merchandiser di Mimì Hair Fashion, Piazza dei Vespri, 92026 Favara, e vi inondo la home di caschetti e riflessi, e sapete una cosa? Mi piace.
Mi piace anche quando smadonnate al telefono perchè non conoscete nessuna Valentina e mi trattate come se fossi un operatore Telecom (non l'hanno ancora capito che non ci interessano le loro cazzo di nuove tariffe, lo so) e poi buttate giù, e mi piace anche quando siete corrieri esauriti che lasciano pacchi e mi prendono per rincoglionita, chè fondamentalmente lo sono, ma voi non siete da meno.
E poi questo lavoro mi piace perchè posso dire ogni mattina: io vado a lavoro. E non c'è sensazione migliore al mondo. Dopo il sesso e il tiramisù alla ricotta.

Come ho passato il mio Natale? Ho fatto quello che non posso fare mai, per dirla come una nota canzoncina triturapalle da pubblicità natalizia: ho mangiato e ho dormito, entrambe azioni annoverate nel mio pacchetto Luxury, inaccessibile per tutto il resto dell'anno. E fra qualche giorno mi toccherà raccontarvi dello stappo più figo e glamour e animalier dell'anno: la mezzanotte del trentuno.
Ci penserò. Nel frattempo vi auguro tanti panettoni al pistacchio e una discreta dose di Plasil a chi me vole male. A chi mi vuole bene una fornitura di Durex dodicimestrale e tanti dindini al tavolo verde.
Buone vacanze.

lunedì 9 dicembre 2013

Il ragazzo delle scale.

Stamattina ero sola a casa. E hanno suonato alla porta.
Ogni volta che sono sola a casa e suonano alla porta per me è una piccola tragedia personale. Specie se sono appena sveglia e in pigiama, che sono solita portare spaiato tra sotto e sopra, e dentro i calzettoni di lana (piccolo dettaglio atto a decapitare ogni testosteronica tendenza del lettore uomo).
Hanno suonato alla porta ed era il ragazzo che lava le scale. Ora, se c'è una cosa che le madri insegnano alle figlie femmine è che quando sono sole a casa non devono aprire a nessuno di cui non conoscano il nome, il viso, la paternità, il conto corrente, il numero di targa, la misura delle scarpe, la data di nascita e il gruppo sanguigno. Ancora prima di spiegarci cosa sono le mestruazioni, come ci si depila, che le donne non devono portare i baffi anche se Madre Natura puntualmente glieli regala, che dopo aver lavato le ascelle il deodorante è d'obbligo (concetto non sempre assimilato del tutto), che gli uomini sono tutti stronzi nati per cornificarci e fare regali scadenti per anniversari che in genere dimenticano, prima ancora di tutto questo: se io non sono in casa, non aprire a nessuno.

E io ho aperto. Anche se ero brutta e spettinata, tanto ormai il fidanzato ce l'ho e non devo preoccuparmi di essere perfetta pure al cesso, chè non si sa  mai quando arriva il Principe Azzurro.
Era il ragazzo delle scale che mi chiedeva se potessi riempirgli i secchi con l'acqua pulita per lavare, per l'appunto, le scale. Dice che aveva suonato a tutti nel palazzo e nessuno gli aveva dato conto, anche se sentiva i passi delle persone dentro. Dammi ci penso io, gli ho detto sorridendogli, perchè l'ho visto ch'era demotivato. Già lavare le scale degli sconosciuti e staccare le chewing gum solidificate sul pavimento non dev'essere esattamente come fare il manager di una multinazionale, poi se la gente non ti caga di striscio immagino che l'autoaffermazione professionale è ad un passo dallo schizzare alle stelle.
Poi, egregi signori inquilini, secondo voi questo signore come dovrebbe pulire gli spazi che voi insozzate se nessuno gli dà, non dico tanto, ma quantomeno l'acqua per riempire 'sti benedetti secchi?
E' come dire ad un cuoco giapponese: vieni a casa mia a preparare il sushi, e io ti metto a disposizione un pentolino bolli-latte e i coltelli di plastica della mensa della scuola.
O no?

Quand'ero piccola, volevo bene al signore che puliva gli spazi del condominio.
Arrivavo davanti casa con mamma, parcheggiavamo la 127 bianca, e se c'era il portone con entrambe le ante aperte e bloccate, voleva dire che c'era lui. L'androne era tutto lucido e ancora bagnato, con qualche chiazza asciutta, e un gran profumo di Fabuloso alla Lavanda. Ricordo ancora la bottiglia viola senza tappo, che usava come misurino per diluire il sapone nell'acqua. Entravo e lui mi sorrideva, aggiungendo qualche frase carina su come sono belli i bambini fino ad una certa età, o qualche simpatico commento sul mio riccio ribelle miseramente decaduto nel corso degli anni a cause di piastre Bellissime che di bello non hanno un cazzo.
Lo guardavo passare il mocio con forza, gli si gonfiavano tutte le vene degli avambracci e qualche goccia di sudore gli imperlava la fronte. Sapevo che faceva anche un altro lavoro e che aveva due bambini. Prima di conoscerlo ero convinta che tutti i papà andassero a lavorare in ufficio la mattina, che avessero una scrivania con un sacco di penne Bic nere e dei computer con Windows 95 coi quali i figli disegnavano i cani storpi con Paint e poi salvavano il file chiamandolo "auajsaaiaihalaf".
Mi spiegarono, i miei, che no, c'erano anche dei papà che per comprare le scarpe di Barbie con le lucine e il panino col prosciutto la mattina prima di andare a scuola, di lavoro tenevano pulite le cose che altre persone sporcano senza rispetto per gli altri. Alcuni, per esempio, si alzano la notte ancora col buio per raccogliere le cartacce che facciamo volare dai finestrini delle nostre auto in corsa e i pacchetti di patatine San Carlo ai bordi delle strade. E qualche volta non li pagano neppure per farlo. Il pensiero di quei papà che di notte si alzavano per raccogliere la mia spazzatura dalla strada, e pure a gratis, mi ha rubato qualche notte di sonno. E' da quel momento che la mia macchina è piena di cartacce e scontrini e giornali, che dopo un tot di tempo raccolgo e butto nei cassonetti. E' da quel momento che per terra, per strada, in giro, non butto neppure l'acqua.

Poi non l'ho più visto, il signore delle scale di quand'ero bambina. Mi piace fantasticare che quell'altro lavoro che faceva per arrotondare sia andato alla grande, gli abbia fruttato un sacco di soldi e adesso lui se ne sta comodamente seduto su un divano Frau nel salotto di casa sua, mentre qualcuno gli spiccia casa e sua moglie deve solo preoccuparsi di fare shopping o chiamarmi per prendere un appuntamento al salone.
Adesso, da noi, è stato rimpiazzato dal ragazzo delle scale, che ha due orecchini ma non è tamarro, che mi ha scaricato una quantità di scusa e grazie e buona giornata che neppure a Windsor la Vigilia di Natale, e a casa avrà una fidanzata che è fiera di lui e gli scrive messaggi su Whatsapp a cui lui risponderà quando avrà finito di profumarci il palazzo. E stasera mangeranno una pizza, coi soldini che lui s'è sudato, e guardandola si scorderà di quanto è stato brutto aver bussato a delle porte che sono rimaste chiuse.
E si scorderà anche di me, che la porta gliel'ho aperta ed era anche il minimo. Ma io non mi scorderò di lui perchè è finito in questo post senza saperlo ed è un modo come un altro per dirgli:

grazie.

mercoledì 4 dicembre 2013

#BeGoodini - Primo giorno di lavoro, lezioni sull'amarsi.

Inauguro oggi questa sezione del blog, in diretta dal mio nuovo posto di lavoro.
Quando il tuo amico-parrucchiere richiede la tua collaborazione  comunicativa non puoi fare altro che dirgli sì, dopo anni di collaborazione sua nei confronti di quella palla informe che erano i miei capelli, prima del suo ingresso nella mia vita. Adesso sono la visual merchandiser di Mimì Hair Fashion, un celebre salone di bellezza di Favara.

Ieri era martedì, il primo giorno lavorativo della settimana per questo salone e il primo per me,  sono arrivata alle nove, mi sono seduta alla scrivania - che Calogero ha appositamente allestito per me  e per la mission affidatami - e ho pensato:
ok, e ora da dove comincio?
Ma le cose, diciamo così, si sono cominciate da sole. La prima metà della giornata l'ho impiegata per imparare ad aprire e chiudere la porta, e ancora stamattina ho avuto qualche problema, fra l'altro.
Poi è arrivata Martina, nel pomeriggio. Martina che aveva i capelli chiari, ma li voleva chiarissimi e splendenti e Calogero glieli ha fatti chiarissimi e splendenti. E anche boccolosi, perchè Martina li voleva anche boccolosi, ma con gusto mica Shirley Temple. Ha impiegato qualche ora per fare tutto, ma alla fine lei aveva gli occhi sorridenti tipici delle ragazze che si guardano allo specchio e pensano: minchia, che sono figa.
E figa lo era sul serio.

Ora, a me è venuta voglia di farmi i riflessi biondi pure io con la tecnica roller, ma ci devo pensare.
Che poi vorrei anche sfatare questo mito per cui le ragazze cambiano capelli solo quando c'hanno l'iper delusione della vita e allora fanno la rivoluzione tagliando il capello cortissimo e sparandoselo rosso o biondo per regalarsi una new life, new boy, new tutto. No, non è vero.
Perchè Martina, per esempio, ieri aveva il suo fidanzato a farle compagnia, dal primo minuto di posa all'ultimo risciacquo. E lui la guardava pure con gli occhi innamorati, ve lo giuro, tutto il tempo.
Che poi uno pensa: ma che bravo, ma che paziente. E invece chi ama fa proprio così. Non sempre ma in teoria sì. Ma non era questo quello che volevo dire. Il punto è che le ragazze cambiano anche quando  hanno un uomo adorabile al loro fianco, perchè lo stesso la mattina quando si svegliano e si guardano allo specchio desiderano vedersi belle, perchè prima di amare qualcun altro è fondamentale amare se stessi. Sorridersi allo specchio e piacersi, di vero cuore.
Ecco, io questo l'ho capito col tempo, e quest'avventura me ne darà ulteriore conferma.

Stamattina una signora, non abituata ancora alla mia presenza, s'è fermata alla reception a fare due chiacchiere e conoscerci. Mi ha raccontato che domani saranno trentatrè anni ch'è sposata col marito. Io le ho fatto la domanda un po' prevedibile che si fa a tutti quelli che sono sposati da svariati tot di anni, e che non scade mai nel banale perchè, alla fine, ognuno ti dà una risposta diversa, dando origine a miliardi di riflessioni sull'amore e i rapporti di coppia: ma come avete fatto?
Lei m'ha detto che ogni tanto ha voglia di spaccargli la testa contro uno spigolo, specie quando lui esce per comprare il pane e si dimentica di andarla a prendere dal parrucchiere (un posto a caso), ma che poi lui si fa perdonare. mi duna na vasateddra e passanu tutti i cosi.
E credo che sì, l'amore fa anche questo, perdona, passa oltre, dimentica, resiste. E quindi il segreto dell'amore vero è solo l'amore, niente di più niente di meno.

Sapete cosa? Mi piace.
Mi piace questo modo che avete di guardarmi con aria interrogativa al vostro arrivo e uscire salutandomi col sorriso e per nome, perchè vuol dire che nel frattempo qualcosa ve l'ho data, seppur piccolissima, anche se lo fate solo per cortesia e buone maniere. Mi piace pensare che dopo un'ora insieme non sono più un'estranea ma una faccia della vostra giornata, e magari racconterete a pranzo al vostro marito che oggi da Mimì c'era una ragazza nuova con gli occhiali e che forse non è di Favara ma lo è proprio tanto.

Qui concludo il mio primo racconto, dal mio nuovo lavoro, che mi piace tanto perchè qua entrate belle ed uscite bellissime.
E siete solo un piacere per gli occhi di un uomo, ma soprattutto di una donna.

lunedì 2 dicembre 2013

La dura vita della PR donna.

Sì, perchè chi fa public relation c'ha la vita dura.
Ho provato ad analizzare un campione della specie, con cui mi trovo a stretto contatto e alla fine, sabato sera, durante uno dei picchi massimi del suo business, ho pensato: devo scriverlo.
La mia amica Carla - e a questo punto io farei una breve pausa per consigliarvi di leggere il resto di questo post con il seguente sottofondo http://www.youtube.com/watch?v=9Wmf_APgxkg- dunque dicevo, la mia amica Carla in genere si muove in coppia del suo socio, il mio amico Gioacchino, ma questo sabato sera era lavorativamente single, ergo sono stata la sua assistente, e considerato il risultato del mio lavoro, un'assistente veramente di merda. Però l'ho studiata, questa figura che incarna, la PR donna e devo dire che ha un appeal non indifferente.

La PR donna non ha due mani: ha una mano sinistra e a destra un prolungamento Nokia che le permette di parlare con chiunque e con più persone contemporaneamente nello stesso identico momento. La sua Cinquecento è considerata il salotto buono del sabato, nel quale ci si riunisce per: bere vino, ascoltare musica sobria tipo i Gogol Bordello, rispondere alle sue telefonate mentre lei conta gli euri, sclerare al posto suo, truccarsi, pianificare la domenica, e qualche sabato fa l'ho vista perfino preparare le lasagne pronte da infornare per il pranzo del giorno dopo, sempre con una mano sola, l'altra atta alla comunicazione as usual.
Sì, perchè la PR donna non ha tempo da perdere. Ed esce di casa struccata.

Esce di casa struccata, tanto lo sa che tra tutti i bar di Favara nei quali entrerà prima della serata, ce n'è sempre uno col bagno libero nel quale rintanarsi per il make up. L'ho vista entrare dentro un wc per truccarsi, io nel frattempo ho bevuto socializzato parlato di Natale comprato prenotato un volo per Parigi ma sempre nei miei sogni, e alla fine è uscita. Ancora struccata. <Non ho avuto tempo, ho parlato al telefono.>
E così la Cinquecento salotto buono della città s'è trasformato veloce veloce in uno studio d'estetica rapido.

La PR donna non teme nessuno, è spietata.
Può entrare a testa alta e in perfetta solitudine nei peggiori bar di Caracas, frequentati da pirati con una gamba di legno e sette casse di rum, non importa. Lei ne uscirà fiera, col rossetto intatto, e la faccia che dice: <Me la sento sucata.> , e altri euri da aggiungere al portafogli che obiettivamente è sul punto di strabordare.
Perchè la PR donna sa come si fa. Mantiene la calma, la simpatia, la disponibilità ma:
 <Biglietti senza grana nenti. Prima i grana, poi i biglietti.> 
E vi giuro, l'ho vista tenere letteralmente in ostaggio della gente nel sedile posteriore, fino all'arrivo del cash.

Però, c'è anche da dire che non ho visto mai nessuno col suo cuore.
Sì, perchè se la PR donna ti vuole bene il suo business non è mai solo suo, è divertimento condiviso. Ha un codice tutto suo, fatto di rispetto e generosità, che non tutti hanno nel suo ambiente. E le piace la gente per bene, ecco perchè stai sereno se c'è lei a portarti le persone nei locali.  Ogni sabato promette che è l'ultimo, che si ritira, che è stressata, ma il sabato successivo è di nuovo lì col salotto a quattro ruote pronta a girare, correre, truccarsi in giro, perchè in fondo le piace e si diverte. E si vede.

Alla PR donna, i PR uomini vogliono bene e anche chi mette su tutto, perchè è onesta. E si fa rispettare come se avesse un paio di noci di cocco fra le gambe, perchè è così, ha il cuore di una donna ma i coglioni di un uomo. E quando passi e le fai un sorriso, lei risponde con una consumazione.
Ma se passi e le stai sul cazzo, sei consumato.

<Chi vita marturiata>, quella della PR.

giovedì 28 novembre 2013

Un post su niente o se preferite Stanley Kubrick

Sono giorni che guardo questa pagina bianca e desidero che si riempia da sola.
Non è successo.

Ecco perchè questa mattina, reduce da una notte non brava ma bravina, mi affido alla mia fedele tastiera per raccontare il nulla che sta albergando tra i miei neuroni.
Ho aperto gli occhi che erano le nove. Programma regolare: occhio a Facebook, a Instagram, pipì, colazione e via dicendo. Il primo step è sempre la home del social blu, e questa mattina ad aprirmi ai pensieri della giornata è stato Christian Done, con un pezzo che è una pietra miliare del mio breve corso accelerato sull'hip-hop siciliano: Quando un giorno tornerai, di Stokka&MadBuddy. E ho fatto play, mettendo in moto un lenzuolo di pensieri da qui a Nuova York, circa la mia vita attuale futura passata e devo dire che c'ho capito meno di Flavia Vento con un tomo di Hegel in mano. Innanzitutto mi scuso con degli amici ai quali avevo promesso che avrei scritto di cose bellissime che stanno facendo in giro per l'Italia, ma oggi non ho cuore di trattare tematiche di ordine creativo e serio e intelligente. Vi voglio bene, non me ne abbiate.

Oggi voglio parlare di tutto e di niente, una rassegna di tutto quello che mi sta passando per la testa, così. Un post random su una mattina di pioggia.
Avete presente quei romanzi scarsi che iniziano con: lei guardava fuori dalla finestra la pioggia battente sulla Fiat Panda bianca della madre e il parchimetro ricordava un uomo anziano chino per la stanchezza?
Avete presente quei romanzi scarsi che iniziano tipo così? Ecco. Secondo me cominciano a scriverli in mattinate come questa, che non hanno un cazzo da fare come me e si mettono in testa di buttar giù due righe e poi si cercano su Google le liste delle case editrici per giovani emergenti, non appena mettono il punto a pagina uno che verosimilmente coincide con Capitolo 1, destinato a rimanere figlio unico.
Non ci ho messo la pioggia e le finestre, ma qualche volta di troppo l'ho fatto anch'io.

Sto pensando al Pandoro. Il Pandoro è un'invenzione di Gesù, peccato che è pieno di burro.
L'anno scorso ho preso quindici chili in una settimana mangiando a tutte le ore della notte e del dì Pandoro piastrato nella piastra dei panini e poi spalmato di Nutella. Allora, no, a parte che non sapeva di prosciutto se ve lo state chiedendo, ma non è consigliabile in quanto annoverabile nella categoria: droga.

Ora è Natale, sto facendo finta di non pensarci perchè il Natale è sempre una lama a doppio taglio, un misto di sentimenti agrodolci alimenta i miei scazzi riguardanti questo meraviglioso giorno che, ora è facile tirare fuori la citazione cinematografica, ma sarebbe anche il compleanno del Gesù di cui sopra. E' il giorno in cui tutti riscoprono Kubrick e cominciano a postare senza inibizioni né freni la scena di Full Metal Jacket in cui il sergente Hartman fa cantare Tanti auguri a te ai militari. Seguono ovazioni per Palla di Merda che alla fine si spara e qualcuno sostiene che è la cifra del film, la scena portante, il picco, che da lì si ridiscende in un secondo tempo pastoso e lento, un po' prevedibile e agglomerato di clichè sul Vietnam distorti dalla visione del regista che fra l'altro ma sai Kubrick è uno di quelli che lo ami o no cioè non c'è una via di mezzo se ti piace il genere è cioè è comunque abbastanza introspettivo nell'apparente chiave splatter che connota la sua filmografia cioè capisci. Suca. Preferisco, a 'sto punto, quelli che cominciano a taggarti nelle classiche foto di un albero di Natale stilizzato con uno scintillio innaturale di palle e palline rigorosamente dorate perchè, si sa, l'oro fa festa e fa figo, fa più figo che festa, fa benessere, fa regali, fa baccalà e cardi fritti a tavola, fa pandori da piastrare all'infinito e panettoni con l'uvetta passa che in genere piacciono ai padri e pacchi coi fiocchi veri non come quelli di polistirolo che mettono per finta sotto gli alberi dei centri commerciali, io da piccola me li fottevo e poi ci restavo di merda, naturalmente.
Ma questo non è un post sul Natale, quindi eviterò di continuare a snocciolare la questione, però ci ritornerò.

Ma perchè la gente quando va a ballare prima non si lava? Io ieri sera, veramente, ho pensato ci fosse un angolo friggitoria cipolle in un noto locale della costa agrigentina, però non faccio nomi che poi mi dicono sempre che cerco di screditare le cose e i posti perchè sono di parte e lavoro per la concorrenza. Ma no, capita ovunque tranquillo signor proprietario non è colpa tua. Questa cosa della scarsa igiene personale è peggio che essere interisti negli ultimi anni, e io lo sono, però profumo. Poi un'altra cosa, ma che va di moda procreare bambini sulla pista da ballo come se noi intorno fossimo fantasmini Casper? C'era una coppia ieri che a momenti a lei davamo i risultati del pap test instantaneo o come ha detto Laura: <Le vedo pure le grandi labbra>. Vero è ragazzi, contenetevi o figliate altrove, tipo nei motel sanpietri sparsi per la provincia.

Ah, stiamo lavorando a un progetto nuovo, e per stiamo non posso dirvi chi e neppure cosa, però è una cosa bella con delle persone che mi piacciono tanto e alimentano il mio egocentrismo con vermetti di amore tipo mamma uccello che imbocca i figli ingrati.

Basta ho finito.

domenica 17 novembre 2013

#semilasciconlarte - Fabrizio Silvestre e IMT Festival di Video Arte

Ho conosciuto Fabrizio una domenica pomeriggio, ed è di domenica che vi racconto di lui.
Galeotto fu un mercatino vintage The second life di Farm, Andrea mi aveva già parlato di lui e, non ricordo precisamente come, abbiamo fatto amicizia. Mi ha detto chi era e cos'avrebbe portato di lì a poco a Favara, a me sono brillati gli occhi e qualche giorno dopo ci siamo rivisti davanti ad un bicchiere di vino al Caffè Italia, in compagnia del nostro amico comune Simone Bruno e alcuni funners.

Fabrizio Silvestre, empedoclino di nascita, ha scelto Favara e i Sette Cortili come sede unica italiana della quarta edizione di InMediTerraneum, Festival di Video Arte che si svolge simultaneamente in 6 città di 6 paesi dell'America Latina e del Mediterraneo, il 28/29/30 novembre 2013. E' incentrato sullo sviluppo di nuove tematiche connesse con le possibilità creative relative alla video arte. Il Festival ha come scopo il cambio di marcia nel flusso abituale dei circuiti artistici attraverso una rivalutazione di ciò che viene definito centro e ciò che viene definito periferia.

Le sei città che ospiteranno in contemporanea IMT sono Bogotà, Madrid, Montevideo, Atene, Cordoba e Favara. Un progetto dunque di internazionalizzazione delle idee, di cooperazione fra i Paesi, ed ennesima occasione di rilancio sociale e culturale per le realtà urbane in via di sviluppo. Mi sembra un'ottima occasione per Favara, e gli spazi di Farm Cultural Park mi sembrano perfetti per accogliere il tema principale del festival di quest'anno: il fuori luogo. Un invito alla riflessione sul senso d'inadeguatezza e di disagio nel sentire che la realtà circostante non ci appartiene. Qui il video di presentazione di #IMT4 al Farm Cultural Park : http://www.youtube.com/watch?v=wAgeZXUebZ8
Quando ho chiesto a Fabrizio perchè proprio Favara, lui mi ha detto che aveva voglia di investire le sue energie sul territorio in cui è nato, dargli una chance e Farm rappresenta il fuori luogo per eccellenza, rappresentando un punto di rottura totale col contesto stilistico - sopratutto architettonico - circostante.
E così, a pochi giorni dall'evento, gli ho chiesto di parlarmi di lui, del suo percorso e di quello che il Festival IMT rappresenta.

Sono Fabrizio Silvestre, co-fondatore del FESTIVAL INTERNAZIONALE SIMULTANEO DI VIDEO ARTE INMEDITERRANEUM, il festival è sorto nel 2010 da un'idea del sottoscritto e di altri due amici e colleghi; un pomeriggio durante una visita ad un'ennesima fiera d'arte contemporanea a Madrid, dove ho vissuto e lavorato per diversi anni, abbiamo tutti e tre maturato l'idea della mancanza di un evento legato all'arte contemporanea che si rivolgesse a quelle realtà che giacevano al di fuori dell'orbita dominante e che indagasse queste realtà attraverso le possibilità creative offerte dalla video arte e dai nuovi media in generale. Da questa riflessione abbiamo costruito il festival dandogli fin dall'inizio una vocazione internazionale e siamo riusciti a coinvolgere altri professionisti e a farli innamorare di questo progetto. Siamo una squadra internazionale e multidisciplinare, attenti alle possibili ibridazioni tra arte e tecnologia. Rivalutiamo gli stereotipi e proponiamo una rivisitazione dei concetti di centro e periferia. Siamo il ponte culturale vivente tra America Latina ed il Mediterraneo.
Siamo una struttura orizzontale, dove la gerarchia lascia il posto al valore dell’individuo e alla distribuzione dei compiti in base alle proprie competenze
Ovviamente non è stato semplice dar vita a questo progetto e non lo è tuttora. 
INMEDITERRANEUM, Imt d’ora in poi, attualmente coinvolge sei paesi tra mediterraneo ed America latina, specificatamente Italia Spagna Grecia argentina Colombia Uruguay. Il festival è quest'anno alla sua quarta edizione e per la prima volta sarà ospitato da Farm Cultural Park, la collaborazione mi rende particolarmente felice da una parte perché abbiamo portato IMT in territorio agrigentino dall'altra perché il Festival e la Farm condividono un obiettivo: puntare i riflettori su quella che è considerata periferia dal mondo dell'arte contemporanea, superare i circuiti mainstream e risuscitare l'interesse del pubblico.

Come ogni anno, attraverso un bando pubblico, indirizzato ad artisti e collettivi provenienti dai sei paesi coinvolti, proponiamo un tema da sviluppare ed interpretare. La tematica scelta quest'anno è il concetto di fuori luogo: Affermando che qualcosa è fuori luogo diamo per scontato che vi sia un posto idoneo, adeguato per ogni cosa, per ogni azione. Chi decide, però, la linea divisoria?
Tramite questa tematica invitiamo a riflettere su ciò che significa essere fuori luogo e avvertire un senso di disagio e inadeguatezza nel sentire che la realtà che ci circonda non ci appartiene. Essere fuori luogo ha anche una valenza positiva e carica di creatività perché circoscrive un “non luogo” libero dagli schemi e dalle gabbie precostituite che ci permette di agire in piena libertà e ci stimola a ridefinire le categorie senza subirne il peso. Questa tematica si sposa totalmente con la nostra nuova sede italiana ossia FARM CULTURAL PARK a Favara.

Favara è stata una scoperta quest’anno, pur essendo agrigentino, non ho mai frequentato Favara né  minimamente pensato che tanti eventi culturali e tanto interesse potessero sorgere grazie alla creazione di questo polo catalizzatore che è FARM CULTURAL PARK.

Ovviamente come quasi in tutta la regione uno degli ostacoli principali all’incremento del turismo è la carenza dei mezzi di trasporto adeguati! Ma più in generale manca, soprattutto da parte degli amministratori locali, la valorizzazione del territorio e del patrimonio culturale e umano.

Per seguire il progetto basta visitare il sito, ricco d'informazioni e programmi dettagliati, nonchè la pagina Facebook:


http://it.inmediterraneum.com/
https://www.facebook.com/inmediterraneumitalia?fref=ts

sabato 9 novembre 2013

Una foto per amare Agrigento

Ieri ho assistito alla premiazione del concorso fotografico Fotografa il territorio, indetto dal Distretto Turistico Valle dei Templi. E sì, merita una pagina intera di blog. Almeno.
La premiazione si è svolta nella sala Nzemmula di Farm Cultural Park, meglio nota come Spazio Nero, lo stesso delle presentazioni dei libri che vi ho raccontato ed altri eventi culturali, per intenderci.

Ok, sono sincera: non riesco a proseguire nel racconto, perché quando una cosa è molto bella ed emoziona tanto poi è difficile da trasferire su carta - o chi per lei - con delle parole che risultino adeguate. Io ci provo.

Ho ricevuto l'invito qualche giorno fa da Adriana, la mia amica funner e compagna di viaggio romana, che lavora al Distretto ed una degli organizzatori del concorso. E' una tipa sveglia, ma questo forse l'avevo già scritto. Adriana è iperattiva, stacanovista e sempre sorridente. E' poco più grande di me, ma è comunque un idolo, e non solo perchè le voglio un gran bene.
Ha preparato grafiche, video - non tutto da sola, ma la immagino sveglia la notte per inviare comunicati e fare telefonate impossibili - ed è proprio questo, questa passione che lei mette nel lavoro e in ogni altra attività che sceglie di portare avanti nella sua vita, che fa riuscire le cose divinamente. Ieri, infatti, è stata una bella cerimonia.

Quando sono entrata in quel salotto così familiare ch'è ormai per me lo Spazio Nero, ho trovato lei seduta in postazione computer a controllare le ultime cose prima della proiezione delle foto, e Gaetano Pendolino, presidente del Consorzio Turistico Valle dei Templi. Un uomo alto e sorridente che ha aperto l'incontro con un bel discorso, che m'ha tirato la prima ondata di pelle d'oca. Se avrà modo di leggere questo post, come spero, vorrei dirgli: Ciao signor Pendolino, scusa se ti do del tu ma dentro questo blog si parla di persone con le persone, in maniera del tutto easy e friendly, quindi concedimi la confidenza di dirti che sei stato proprio bravo, e che sono cose di questo tipo che rilanciano l'economia turistica del nostro territorio. Sai, io penso che il segreto della riuscita della piccola rivoluzione che stiamo provando a fare, stia nell'innamorarsi ogni giorno di un dettaglio dei nostri posti. Qualche volta, quando ho gli scazzi - sì, in questo blog mi scappano anche le parolacce qualche volta, ma non posso definirli diversamente - dicevo quando ho i pensieri  mi metto sulla mia macchinetta blu e vado al mare, anche d'inverno, soprattutto d'inverno. Poi quando devo risalire a Favara, faccio la strada che costeggia i Templi, e la vedo libera. Libera nelle grandi zolle verdi che incorniciano mirabilmente le grandi opere greche, libera nelle colline chiazzate di marrone scuro sulla sommità e che schiariscono verso i piedi, libera nell'aria che passa attraverso quelle colonne così alte, così antiche, così naturalmente illuminate dal loro colore forte e positivo, come tante spighe che oscillano al vento, ma loro stanno ferme e immobili, da secoli, e ci guardano dall'alto combinare il delirio là sotto, in città. Ci guardano distruggere Agrigento e tutto il suo contorno di paesi, come la mia Favara, e chi lo sa, la notte parlano fra di loro o col Gigante, e non riposano mai pensando a noi. Ecco, io passo con la mia auto rallentando, e ho qualche cd buono che gira sotto, ed è il mio momento preferito. Caro signor Pendolino, mi piace il tuo lavoro e mi piace come lo fai e ti ringrazio, perchè ieri è stato proprio bello parlare di Sicilia così, con le immagini, alla Farm. E poi con una come Adriana nella tua squadra, sai, io t'invidio. Adesso che ti ho scritto così, easy e friendly e funzionale al racconto, facciamo finta che non l'ho mai fatto e quando ci rincontreremo io ti darò del lei, com'è giusto che sia, come fanno le donnine a modo.

E' stato dedicato un premio speciale ad Armando. E questo è quello a cui penso dalla prima parola del primo rigo, e da un po' prima, a dire la verità. Ha vinto una foto di Laura, una bella foto di un mare rosa con un solo scoglio solitario perso in lontananza e un orizzonte perfetto. Un premio meritato, senza dubbio. Una targa in plexiglas a forma di macchina fotografica, coi loro nomi scritti sopra. Bella, come la foto di Laura e come il mare di Armando, quello delle sue foto trafitte da fasci di luce fortissimi, gli stessi coi quali ogni giorno ci invia energia a dosi massicce. Grazie.

Un momento particolare è stato anche la premiazione di Valentina, ch'era lì con la sua mamma, Giusi. Non posso assolutamente descrivere l'espressione di fierezza sul suo volto, quando la figlia s'è alzata per ritirare il primo premio per una foto dei Templi. Giusi, in attesa della premiazione, ci ha raccontato di come loro siano stati costretti a trasferirsi a Mantova per lavoro e di quanto spesso tornino in Sicilia, ad Agrigento, perchè ne soffrono la mancanza più d'ogni altra cosa. Le ho detto che avrei scritto di lei, perchè più SemilascinonVale di questo non c'è nulla. Non so se potranno mai leggere ma le ringrazio, mamma figlia zia e cugina, per averci fatto sentire parte integrante del loro vissuto, del passato che non dimenticano pur essendo geograficamente lontane. Un amore viscerale, come il mio, come il nostro.

Perchè noi siamo quegli ottimisti che non hanno un euro in tasca ma siamo così innamorati del mare e dei nostri piccoli paesi ormai divenuti città, che crediamo non ci possano più deludere, che hanno ormai toccato il fondo e dunque non possono far altro che ripartire, rialzarsi. Siamo quelli che vedono lungo su Agrigento, Favara, Canicattì, Porto Empedocle e su tutte le altre zone vicine e lontane, e ogni nostra proiezione ci appare possibile, anche se difficile. Siamo quelli che tengono duro, anche se l'amministrazione è scadente e piena di caproni, e ci affidiamo a quei pochi che fanno tanto e fanno bene, tipo Andrea e Florinda che fanno in modo, ogni giorno, che dai Sette Cortili di Favara parta energia propulsiva per tutto il territorio. Siamo quelli che sono ancora capaci di fermarsi a scattare una foto alla loro terra, come si fa con la donna amata, una donna un po' sofferente e malata, circondata da qualche buon dottore che fa i turni di notte pur di vederla continuare a respirare.

Questo concorso ne è stato la prova.

mercoledì 6 novembre 2013

Un mazzo di rose. Rosse, grazie.

Mi sono svegliata con la sensazione di aver qualcosa da scrivere. Ma non capivo precisamente cosa.
E così finalmente, dopo pranzo, è arrivata. Luce fu fatta, grazie ad una conversazione col mio uomo. Quindi è chiaro che oggi, per la prima volta, si parla di uomini.
Non avrei mai pensato che in questo blog prima o poi saremmo finiti a parlare di questo, ma ci siamo finiti e questo è quanto.

Sono settimane che analizzo, con ore ed ore di caffè prolungati ad aperitivi, i rapporti sentimentali delle mie amiche, delle mie conoscenti e anche un po' il mio, e si è giunte - tutte magicamente insieme - alla conclusione che: le donne bastarde tirano di più.
Ed è vero, è vero. L'uomo alfa ha la necessità naturale, fisiologica e congenita, d'essere trattato male per poter rispondere positivamente ad un qualsiasi impulso positivo femminile. Generalmente è considerato che il cervello degli uomini ragiona in maniera del tutto invidiabile, ovvero linearmente: sì corrisponde a sì, no corrisponde a no, ci sentiamo dopo corrisponde a ci sentiamo dopo. Fine dei giochi.
E no, non ho scoperto l'acqua calda, perchè per me - ad esempio - che gli uomini li sto conoscendo adesso, è tutto nuovo nuovo.
Una delle cose che ho capito è che le cose le devi pretendere, ti devi imporre, devi essere proprio fiera col pettaccio di fuori. E se non gli sta bene quello che vuoi e desideri e ordini, ciao. Io, e questa è la cifra personale di quanto appena detto, c'è una cosa che ho sempre pensato di voler pretendere e non ho mai preteso: un mazzo di rose. Rosse. Belle grosse, aperte, profumate. Senza minchiate, del tipo brillantini, spray glitterato, veli colorati e fiorellini in aggiunta, soltanto un gran mazzo di rose rosse che mi viene recapitato a casa dal papà di Carla, con un biglietto possibilmente firmato. La verità è che non l'ho mai preteso, anzi ho sempre fatto la superiore a riguardo: i fiori? perfavore, che regalo inutile. E adesso, all'improvviso invece mi sembrano un regalo intelligente e anche parecchio romantico. Dev'essere successo qualcosa, nel frattempo, e probabilmente è anche comprensibile cosa, ma la situazione s'è ribaltata.

Quando faccio riflessioni di questo tipo, è inevitabile che mi torni in testa Teorema di Marco Ferradini. Pezzo unico - anche nella produzione del cantautore, a quanto pare - che ci scartavetra la minchia per svariati minuti, raccontandoci l'esperienza tripla sull'amore che non si capisce se narrata da uno stesso uomo con polipersonalità o da tre uomini differenti. Insomma, c'è questo interrogativo pendente, questa spada di Damocle sul come una donna va trattata, e in sostanza può riassumersi nelle seguenti equazioni: se la tratti male ti manda affanculo, se la tratti bene non ti s'incula, se cerchi di bilanciare la situazione con bastone e carota (che a pensarci vanno bene tutte e due, uguale) allora fila tutto liscio.
Magari. Magari i rapporti fossero così semplici, facili, immediati, schematici. Io non ci riesco, non sono mai stata brava con la matematica, e sono pronta ad ammettere un deficit d'attenzione su certe cose, non indifferente. La verità è che gli uomini funzionano come le macchine, bisogna saperli guidare.
Se t'hanno rimandato tre volte all'esame della patente, fatti qualche domanda. A me, stavano per bocciarmi perchè non mi sono fermata ad uno che sia uno stop, e questo avrebbe dovuto dirla lunga anche sui miei futuri risvolti amorosi.

Non lo so, forse - come ho letto da qualche parte tempo fa, non me ne abbiate se non mi vado a cercare la citazione - le donne e gli uomini sono le persone meno indicate ad innamorarsi tra di loro. Purtroppo, questo, inesorabilmente, catastroficamente succede. E quando succede a me è un delirio, è una fagiolata prima di un appuntamento, è un'acqua tonica prima di un discorso pubblico, è una cosa che quando succede non so dove mettere le mani, dove iniziare, dove finire e mi sento tanto come uno di quei tre uomini di Teorema, oppure tutti e tre, e sono sicura che nessuno di loro stesse parlando di una donna semplice. Sono sicura che tutti e tre, nelle varie ipotesi delle loro tecniche da sfigati, stessero parlando di una di quelle donne giuste, gagliarde, che hanno le palle per pretendere tempo attenzioni e mazzi di rose. E che a me, da uomo, non m'attizzerebbero poi così tanto. Uomini, ma che volete, che vi schiaccio il naso con un tacco dodici?
Neppure ci so camminare.

Oggi mi sono svegliata che volevo scrivere qualcosa, e avrei dovuto trovare un mazzo di rose rosse.
Cazzo.

lunedì 4 novembre 2013

Mamma, c'è l'amica tua.

Una delle cose belle di Favara, come di tutti i buchi di culo d'Italia, sono le amiche delle madri.
Quelle che di solito ti piombano in casa intorno alle undici del mattino, orario morto, nel quale hanno già accompagnato i figli a scuola da un bel pezzo, hanno fatto la spesa e non hanno nulla da fare fino a mezzogiorno, ora X nella quale si corre a casa a preparare il pranzo per il marito e i suddetti figli, di ritorno dalle loro dure mattinate e affamati come le belve.
Di certo si tratta di casalinghe, perchè le mamme che lavorano non hanno il tempo di fare il giro delle case altrui a prendere caffè, e l'unico giorno libero che hanno lo dedicano alle pulizie della loro casa, che definiscono sempre un gran porcile. E in effetti, di solito, lo è per davvero.

Le madri casalinghe, invece, hanno molto tempo per pulire casa, rifare i letti, stirare e lavare e stendere e stressarsi. Ecco perchè lo fanno di continuo, e in maniera ossessivo-compulsiva, lamentando sempre una sporcizia congenita e una famiglia troppo disordinata. Così un bel giorno, a forza di passare folletti e spruzzare Vetril, impazziscono. Impazziscono e devono uscire di casa, scappare, e correre a raccontare il loro esaurimento ad altre amiche - anche loro sull'orlo del mollo tutto - e sfogarsi.
A casa mia delle volte capita che stazionino per qualche ora.
Nelle giornate fortunate me le scanso, perchè sono fuori o sto ancora dormendo, e posso sapere del loro passaggio in casa solo dalla testimonianza di qualche tazzina macchiata di rossetto sul bordo, ancora sul tavolo - e quindi m'è andata di culo, perchè le ho scansate per poco - o nel lavandino, a lavare.

Mia madre è una casalinga.
E quando le dico: se tu lavorassi, non avresti questa mania per la casa. Lei fa appello al Sindacato delle Casalinghe Unite, che non ha una sede ma è un tacito patto comune che hanno fatto tra di loro, portando alta la filosofia del: noi casalinghe lavoriamo il doppio di quelle che lavorano in ufficio, solo che a noi non ci paga nessuno. 
Ragionamento del tutto discutibile e facile da smontare con una semplice argomentazione su come le donne che lavorano non abbiano tutte la donna delle pulizie o la babysitter, e quindi risulta anche naturale che finito il loro lavoro dietro una scrivania o in qualsiasi altro posto, poi tornino a casa a fare le stesse identiche cose, cioè dedicarsi alla cura della casa e della famiglia, solo in uno spazio di tempo più concentrato.
Loro non vogliono saperne e difendono la loro causa a spada tratta, simulando delle arringhe da tribunale che neppure nelle migliori puntate di Law and Order.

Comunque, le amiche di mia madre, quando non ho culo e mi beccano, sciorinando il loro copione di domande tipico, trito, ritrito, cotto a fuoco lento, immangiabile:
- sei fidanzata?
- quando ti laurei?
intervallato da qualche affermazione del tipo:
- mia figlia ora si sposa, a Giugno (si sposano tutte a Giugno poi, oh)
- che lavoro fa il tuo fidanzato?
- e tu dopo che vuoi fare?

e via discorrendo, ripercorrere tutto il Pantheon del Fastidio che a ogni donna tra i venti e i trent'anni, senz'alcuna sicurezza personale ed esistenziale, è ben noto.
Il segreto è rispondere con delle bugie e fingere entusiasmo, sorridere molto. Perchè l'evitare o sviare una domanda apre l'avvio ad una serie di altri infiniti fastidi, che scendono nel dettaglio, cercando di snocciolare la natura del visibile disagio che alberga nei nostri: ehm, mah, boh.
Senza contare poi i commenti su eventuali chili di troppo o perdite di peso: non vai bene mai. Ma loro non te lo faranno pesare sul serio perchè accompagneranno il commento con un sorrisetto come per dire: dai, sei bella uguale.

Invece no, signora. Mi hai appena fatto sentire una merda e ti odio.
Ma questo sentimento si esaurirà nell'arco di un secondo, perchè io sono buona e voglio bene a tutti.
Il supplizio si concluderà quando lei, guardando l'orologio, si accorgerà ch'è tardi e che deve scappare a comprare il pane - finalmente - ringrazierà per il caffè e imboccherà la via dell'uscita, lasciando dietro di se una nube tossica di nicotina e tabagismo incallito nebulizzato.

Le conclusioni che mi lasciano i loro passaggi in casa mia sono i seguenti:
- gli uomini vanno odiati, sempre e comunque. Anche se da fidanzati sembrano perfetti, arriverà un momento della vostra vita insieme da sposati, che faranno schifo e si comporteranno come dei perfetti porci senza rispetto, che insozzano casa e non vi si cagano di striscio;
- non importa quale sia il tuo problema reale, il Lexotan risolve tutto;
- l'eleganza è una borsa di Alviero Martini, anche tarocca;
- le calze color carne non sono un insulto a nessuno, specie se in tonalità champagne. Sicuramente meglio del nero, che una sembra vedova allegra;
-
se non sai cosa cucinare a pranzo, scongela il sugo che hai fatto a luglio;
- una figlia che sa stirare le camicie non è una figlia, è un gioiello.

E qui termino.

venerdì 1 novembre 2013

Se mi lasci non vale: un racconto su Favara

<...e se la trovi povera non per questo Itaca ti avrà deluso.>
Questo trovai scritto, su un muro di una casa, al ritorno in paese. C'era questa scritta nera su un cartello bianco rettangolare, dentro una cornice di travi bianche a delimitare uno spazio, in realtà aperto su tutti i lati, di giardino illuminato. Un minuscolo angolo di poesia, nel quale dal primo momento ho desiderato portarti.
L'aria è ferma stasera, mossa solo da un fischio, un sibilato di vento che mi passa fra le gambe e fa tremare la balza centrale della mia gonna rossa. Non si sta male.
L'autunno da queste parti non è freddo, poche foglie lastricano il pavimento nero della piazza, solcato dalle luci circolari che ne disegnano tutto il perimetro. Alberi, panchine, da sempre la tarda età che ivi staziona, dipendenti comunali e bambini che giocano a pallone. Qualcuno ha la maglia dell'Inter, attrae la mia spontanea simpatia calcistica e umana; gli interisti è bene che si vogliano del bene, almeno tra di loro.

Un gruppo di uomini chiacchiera ad alta voce al centro della piazza; qualcuno ha la cravatta.
Li riconosco, qualcuno lo saluto. Ricambiano con un gesto della mano e un sorriso. Un sorriso.

Non so cosa mi abbia spinto a tornare qua. Credo il bisogno di calore, calore di casa.
Mi hanno detto che la casa è dove si trova il tuo cuore, e il mio cuore è esattamente dove ha battuto fuori dal ventre materno, i primi giorni, poi sulla panchina dove due labbra l'hanno fatto tremare, ed è ancora qui, dove cammino sconosciuta tra volti sconosciuti, e nessuno pare ricordarsi di me.
Torno indietro alla prima elementare, alla mia compagna di banco. Non l'avevo mai vista prima, mi colpì il suo caschetto: tondo, liscio, marrone. La sua pettinatura perfetta, luminosa, aveva fatto ricadere la mia scelta su di lei: ti vuoi sedere con me? Lei, ovviamente disse sì, perchè avevo lo zaino di Sailor Moon, che poi scoprì essere il suo cartone preferito.
Pensai che non ci voleva niente a ritrovare degli amici, qui in paese. Alcuni, del resto, li avevo già. Altri erano rimasti un dolce ma diverso cammeo di vita catanese, un grumo d'affetto che presto si sarebbe esaurito negli impegni che di lì a poco avrei preso. Ma ancora non potevo saperlo.
Notai, su una stradina poco distante dalla piazza, un uomo. Un giovane ragazzo, con le spalle larghe, e un'ombra di barba a chiazzargli le gote, beveva una birra in compagnia d'altri suoi coetanei. In lui riconobbi il fratello minore di una mia compagna delle medie, ricordai il suo primo giorno d'asilo - di cui ero stata partecipe, per caso - e lo stomaco si strinse in un sentimento agrodolce di tempo passato e cambiamenti avvenuti e adolescenza perduta. La mia che andava via per lasciare spazio alla sua. Il mio corpo e i miei ricordi ch'erano ormai quelli di una donna, e lui che pensavo ancora bimbo coi Lego sul tappeto del salone, ch'era ormai uomo.

Salii in macchina, avevo scordato quanto stressante fosse guidare a Favara. Arrivai sotto casa con la maglia attaccata alla schiena sudata. Nessuno stop, nessuna freccia, nessun segnale stradale che fosse lì a fare il dovere per cui era nato. Nessuno che facesse quello che qualcuno gli aveva insegnato nelle tante autoscuole sparse per la città; tutto dimenticato il giorno dell'esame della patente. Ricordai com'è facile sentirsi in un autoscontro della Fiera d'Ottobre, quando si guida qua. Pensai alle castagne. Ai cartocci arrotolati e ripieni di castagne bollenti, e alla nebbia di cottura che copriva l'Itria e mi comunicava l'arrivo della Fiera, da bambina, e con lei: mele candite, giostre, il piumone nuovo. E qualcosa extra riuscivo sempre a procacciarla. Era sempre un gran momento, quello della Fiera. Chissà se la facevano ancora.

Le cose erano diverse, adesso. Per me e anche per lei, la città.
Eppure ero tornata, e la storia inizia esattamente da qui. Dall'autunno di un anno fa. Quando ancora non sapevo quanto l'avrei amata e quante soddisfazioni m'avrebbe dato, la mia città. Non sapevo neppure a chi appartenesse, la mia città. Adesso lo so, ed è quello che proverò a raccontare.

giovedì 31 ottobre 2013

#fundiary - Un fortunato viaggio nella Capitale.

Ci sono voluti un paio di giorni, e molte ore di sonno, prima io che riuscissi a scrivere qualcosa sul viaggio rapido dal quale torno.
Nei giorni che hanno preceduto la partenza avevo previsto che si sarebbe trattato dell'ennesima avventura, una di quelle che ti metti su un autobus con un programma che alla fine viene inevitabilmente arricchito da migliaia di piccole e piacevoli cose. Le cose dei viaggi.
E' giusto, prima di raccontarvi di Roma e della premiazione del Concorso ARS Idea360 indetto dalla Fondazione Italiana Accenture e al quale Favara Urban Network ha partecipato col progetto del Castello di Chiaramonte di Favara, che io dica due cose anche su Palermo, prima tappa della mia micro-fuga e che mi ha vista finire ad una festa di Laurea di una ragazza bellissima e sconosciuta, poi nel lettone di Raffa a commentare Miss Italia ed infine ad una fermata di un autobus sostituito da un taxi reso economico dal concetto di taxi sharing. Che culo.
Come ebbi la tempestività di postare sulla mia pagina di Facebook, qua ripeto, surrogando: la madre di Valeria - la neo-dottoressa alla quale laurea mi presentai come amica di Raffaella - cominciò a parlare di Favara, chè aveva visto Farm e il Castello l'estate scorsa. L'ho ringraziata per l'ospitalità e perchè ci ha riempiti di complimenti, e poi insomma - diciamocelo - sentire parlare di Farm in giro mi fa sentire sempre un po' a casa, anche se sono lontano da casa.
L'arrivo a Roma è stato rapido e indolore, un viaggio comodo e fortunato, di quelli perfetti e senza imprevisti. Taxi, volo, treno, metro. Tutto in perfetta coincidenza d'orari e luoghi. Vi racconterò quei giorni riportando le pagine del mio diario, buttato giù come e quando potevo:

28 Ottobre 2013, ore 10, camera d'albergo, Roma
Sono appena arrivata nella nostra stanza.
Oggi la Città è calda, trafficata come sempre, ma non ho avuto neppure il tempo di fermarmi a respirarla. Mi sto già cambiando d'abito, fra un'ora ci sono le prove della Cerimonia di premiazione. Adriana è venuta a prendermi a Tiburtina con Francesco, il suo fidanzato. Sta per arrivare anche Gianni, il nostro presidente. Lui salirà sul palco a parlare di FUN ancora una volta. Mi affaccio dalla finestra della mia stanza, finestre impolverate, altri alberghi, turisti cinesi carichi di valigie. Mi manca Gabriele, un po' casa. Adriana e Francesco, che mi aspettano alla hall. Devo fare una corsa. Bentornata a Roma, Vale. Questa volta ti giochi un sorriso.

ore 11, Palazzo Barberini
Siamo dentro. Ho buttato la testa indietro e il naso in aria, per guardare gli affreschi sul soffitto, poi l'ho riabbassato e l'ho spinto ai lati, dove stanno appesi dei Raffaello e un Caravaggio. E noi qua. Noi col Castello di Favara qua. In mezzo alla Bellezza che ha fatto la storia della bellezza italiana, noi qua. E mi pare incredibile che ci siamo riusciti. So che ce l'abbiamo fatta, in qualche modo, che è quello della passione, ma è davvero tutto troppo grande. Stanno allestendo il palco e molte file di sedie Kartell trasparenti. Gianni è emozionato e stanco, lo siamo anche noi. La Iena Laura Gauthier esce dal guardaroba con un vestito con la gonna ampia e il corpetto stretto, motivi geometrici rosa e neri, capelli in grandi onde grano. E' bellissima, e ha la "R" moscia, come piace a me nei cantanti e nei conduttori. Giri, guide, spille, hostess, buffet, vini pregiati, finger food, tutto solo per noi. I finalisti del Concorso.

ore 15.30
La cerimonia, la premiazione, eccoci.
Stacco il tablet dalla carica e via, parte il live streaming. I ragazzi ci seguono da Favara, ci scrivono di continuo, l'attesa è febbrile. Una lunga carrellata di progetti, video, dibattiti sull'arte italiana, e poi tocca a noi. Noi di Favara Urban Network, il presidente sale sul palco, ci presenta. Sul grande schermo alle sue spalle e di fronte a noi, scorrono le immagini di Farm Cultural Park e del Castello. Riconosco i miei spazi: lo shop di Farm, la Sala di Esterni del Castello, il Giardino, i Cortili, la Corte. E vedo Andrea, col suo grande sorriso mentre improvvisa un finto elevator pitch sulla nostra impresa. Ci classifichiamo quinti su cinque vincitori. Puntavamo al milione, è chiaro, ma questa è una gran vittoria. Aver portato Favara - città dell'Agnello Pasquale - ad un concorso nazionale di una big come Accenture, che mette in palio un milione di euro. Sono soddisfatta, sento che questa è la nostra rivalsa di cittadini impegnati per la rivalutazione artistica del paese. Qualcuno ci ha notati e ci ha anche premiati, ed è giusto. Bello e giusto.
Alla fine, Gianni regala alla conduttrice un mattoncino I VIDE' con la chiave del Castello e le spiega cosa vuol dire I vidè. <Vuol dire "anch'io" nel nostro dialetto.> Lei sorride e ringrazia. Ci danno il premio in plexiglas con la grande scritta arancione ARS, che a me ricorda tanto la Sicilia, ma è solo l'acronimo di Arte che Realizza occupazione Sociale. E noi l'abbiamo fatto. Noi, facendolo, abbiamo vinto.

E' importante, importantissimo, che io faccia dei ringraziamenti,
Andrea Bartoli e Florinda Saieva: per avermi dato affetto e fiducia e la possibilità di prendere parte a questa Cerimonia, nonchè per averci guidati e sostenuti su molti fronti nella messa in atto del progetto Castello, e per essere la prima fonte di entusiasmo e creatività per i giovani che amano Farm Cultural Park.
 Gianni Di Matteo: per essere un presidente savio, un uomo intelligente e ironico, e per averci portato su quel palco, facendo una gran bella figura con Accenture. Gianni, sei stato la voce dei nostri sforzi passati e futuri, e la medietas del nostro gruppo e questo premio è in gran parte merito tuo. Adriana e Francesco: i miei compagni di viaggio, attenti, spassosi e gentilissimi con me. Mi hanno accompagnato a comprare ballerine per liberarmi dai tacchi, a mangiare panzerotti pugliesi fatti a mano e in casa di loro amici pugliesi trapiantati a Roma, mi hanno guidato tra metro e autobus dell'Urbe, e sopportato nelle mie soste foto tipiche della turista terrona. Adriana, vice-presidente di Favara Urban Network, ha cercato di controllare l'emozione per tutto il tempo e mantenere il suo ruolo da frau piena di idee e lavoro e proposte e voglia di trasmetterci carica. Con scarsi risultati. Emozione 1 - 0 Adriana. Ma ci stava anche, eh.
E poi ringrazio chi ci ha seguito dalla Sicilia tutta, con grande affetto - e qua scusatemi ma uno special thanks a Peppe Sirchia e i ragazzi del WCAP CATANIA mi scappa facile facile - e chi mi ha ospitato nella sua casa palermitana prima della mia partenza, la mia amica Raffaella.
E poi i miei amici di Favara Urban Network, che mi hanno spedita in loro vece in quella platea dorata; ho cercato di essere i vostri occhi, come ho potuto. Vi voglio bene.

Comunque, ancora una volta ho pensato che se si ha un sogno - che può costare anche caro - bisogna ritenersi fortunati. Essere sognatori, oggi, è un duro mestiere che poche volte garantisce rendite o soddisfazioni, se non quella sicura di vivere in una realtà parallela nella quale tutto è possibile. Il nostro sogno, quello di un posto migliore che si risolleva solo con le sue forze, a Roma ha trovato uno spiraglio di possibilità, di concretezza e riconoscimento in un posto che accoglieva al suo interno il meglio dell'arte italiana e lo sforzo di una terra che ancora crede di poter puntare su quello per riprendersi. Non è stato solo un viaggio a Roma, il nostro è stato un viaggio in Italia, alla scoperta delle sue tradizioni, della sua volontà, del suo ottimismo ma soprattutto del suo talento, che va incoraggiato, rafforzato, elogiato come merita. Voglio fare i miei complimenti al progetto Trame di Lunigiana che si è aggiudicato il primo premio, e agli amici Pupari di Catania, la celebre famiglia Napoli che un gran premio l'avrebbe largamente meritato.
Ancora oggi, la gioia che mi ha pervaso dalla partenza al ritorno, è inquantificabile. Voglio dedicare questo grumo di gioia ancora pulsante, ad Armando.Il nostro super-eroe.

martedì 22 ottobre 2013

L'inverno in ritardo. Cronache sentimentali nei pressi del mare.

Ci sono dei posti nei quali è inevitabile che due donne - due donne amiche - rimangano in silenzio per più di dieci secondi. Specie se, in questo caso io, una delle due è logorroica. Uno di questi posti è in riva al mare, all'orario del tramonto, che adesso è sempre più presto, anche se un autunno così finto non l'avevo mai visto.

Vedo branchi di bikers e joggers e bagnanti tardivi, aggirarsi sui marciapiedi di San Leone, ancora con gli shorts e le canotte. A parte il cattivo gusto degli uomini che indossano le canotte, quello che mi chiedo è: arriverà mai davvero l'inverno? E a me, no, l'inverno non è mai piaciuto gli anni scorsi, quest'anno inspiegabilmente lo aspetto con ansia. Saranno queste ondate di romanticismo che pervadono la mia argillosa anima che pare finalmente sciogliersi in fanghiglia d'amore, che prima era pietra pomice per i calli dei piedi. Sì, adesso l'inverno lo penso come a quella cosa delle cioccolate calde, dei piumoni, delle coccole e del cinema. E sarà un gran bel casino se l'aspettativa sarà delusa, perchè io non c'avrò un cazzo da fare in alternativa. O comunque nessuna alternativa è allettante e profumata come la su citata.

Dicevo, due donne amiche non stanno zitte mai, men che meno in riva al mare all'ora del tramonto. Ed è inutile che ci raccontiamo minchiate sulle argomentazioni introspettive trattate dalle donne mediamente intelligenti quando passano del tempo tra di loro, minchiate. Le donne parlano di loro, degli uomini. E se li hanno, parlano dei loro uomini. Il che è anche peggio, a tratti letale.
A questo punto immagino una musica da documentario di Alberto Angela che parla dell'accoppiamento, quella musichetta rilassante che precede la trombata dei babbuini e che serve da sfondo alla descrizione del maschio alfa, con tutta la casistica che precede la cavalcata. La descrizione di un uomo, cosa più cose meno, individua delle caratteristiche comuni al genere maschile, imprescindibili, che si moltiplicano nel caso in cui gli uomini in questione siano amici tra di loro, quindi cresciuti nello stesso humus sociale e mentale che li predispone ad un certo tipo di approccio al sesso opposto.

Io e la mia amica, anzi la mia amica ed io, che è più affettivamente corretto e english, investiamo il nostro tempo a parlare di noi, delle nostre gioie, dei nostri dissapori e - per fortuna - siamo di quelle donne che gioiscono se gli altri sono felici, e sono tristi se qualcuno è triste, così per empatia. Ci piace un sacco l'Amore, anche. E non perchè ce ne sia mai mancato, anzi. E' che ci piace, e basta.

Guardo le famiglie, i bambini, osservo le loro gestualità, il normale corso del tempo e l'effetto che ha sulle cose, sulle persone. I sentimenti hanno un'azione fisica sulla gente, visibile al mondo intero: i sorrisi, i denti più o meno bianchi, le schiene dritte, le mani rugose, il sovrappeso, l'elasticità, il modo di mangiare o bere un caffè. Non è solo l'invecchiamento, il passare degli anni, che ci cambia. E' l'amore che modella il nostro corpo a seconda delle sue oscillazioni, e adesso che ne sono convinta nessuno può smontarmelo dal piedistallo del cervello.

Dottore, ma cos'è, tipo un piedistallo?
Tipo. Sul piedistallo del tuo cervello si appoggia una pallina bianca. Potrai viverci a lungo, insieme. Potrai viverci bene, o forse viverci male. Adesso come ci vivi?
Dottore, male.
E allora potremo tirarla fuori, che ne pensi?
Penso che mi fa paura, ma ne vale la pena.

Mi fa paura, ma ne vale la pena.
Quante volte ci siamo chiesti se rischiare il gioco valeva la candela? Quante volte avremmo voluto non dire o fare certe cose, per l'effetto che poi hanno prodotto? Eppure, ci sono cose che hanno bisogno - per loro stessa natura - d'essere fatte, dette, comunicate. Sarebbe un gran gesto d'egoismo, chiuderle nella gabbia toracica, nel silenzio di qualche sporadico tum tum.
Non so se l'inverno sarà fatto di coccole o vodka, come tutti gli inverni passati, so solo che è il 23 di ottobre e la gente fa ancora i bagni al mare. Forse quest'inverno si sta adeguando ai nostri tempi, miei e suoi, alle nostre modalità, alla nostra gradualità. Forse, chissà, non se la sente neppure lui di rischiare e arrivare con un cappotto sulle mie spalle più strette di qualche centimetro. Mi sta dando tempo.
Ed io, indubbiamente, lo ringrazio per lasciarmi ancora qualche chiacchierata in riva al mare, con la mia amica, all'orario del tramonto. E un caffè, chè non è mai troppo tardi.

lunedì 7 ottobre 2013

"Quanto il mondo" dentro Farm. Luana Licata, il mio felice incontro.

Sabato scorso, che era il 5 ottobre, la Farm mi ha regalato uno dei suoi momenti di bellezza. E l'intera giornata è stata per me particolare, sorridente, dopo una settimana di stress. Sabato è stato bello e il destino quando ci si mette è veramente pazzesco. Ma andiamo per ordine, partiamo dall'inizio.

Quella sera, lo spazio Nzemmula di Farm, meglio nota come sala nera, è stato casa di un bel momento: la presentazione del libro "Quanto il mondo" di Luana Licata. Quando sono arrivata ai Sette Cortili, lei era seduta con degli amici a fare quattro chiacchiere prima dell'inizio, ci siamo presentate e conosciute. Non riesco mai a scrivere di quello che fanno le persone, senza prima raccontare le persone stesse, come sono fatte e le impressioni che mi hanno lasciato. Luana è bella, di una bellezza composta, educata. Dai capelli alle scarpe, tutto è perfettamente armonico nella sua figura, e la sua gestualità, il modo calmo di parlare e il timbro della voce: tutto in equilibrio. Ecco, Luana mi ha calmata. E lei non può neppure immaginarlo, lo scopre adesso, leggendomi.
Ho assistito a qualche presentazione editoriale, ma raramente mi è capitato di sentirmi così compartecipe dell'opera e dello scrittore stesso. Quanto il mondo è una storia d'amore, senso di colpa, rimorso e coraggio. E' un romanzo intimista, in parte autobiografico per quanto riguarda la componente strettamente affettiva dell'opera, il resto l'ha immaginato Luana. E l'ha raccontato. Una bambina divenuta donna, una giovane donna con un segreto compromettente per l'equilibrio di un'intera famiglia, e il rapporto viscerale d'infinito amore fra una madre e una figlia (da cui il titolo del libro, espressione tipica per designare la quantità di affetto fra genitori e figli, spesso usata dalle mamme in risposta ad una richiesta d'amore).

Nei minuti appena precedenti l'inizio della presentazione guardo l'autrice seduta al tavolo nero, con il suo libro tra le mani e il microfono. Sfoglia il volume, lo guarda dentro, legge aguzzando la vista in certi passaggi, mostrando l'attenzione che un lettore avrebbe alla sua prima volta. Dimostrando la capacità di stupirsi ancora per le sue stesse parole. Pensavo: ma se il libro l'ha scritto lei, cos'altro vuole scoprirci? Lo saprà a memoria. Lì ho capito che uno scrittore stabilisce un rapporto quasi umanizzato con ciò che ha scritto, e forse continua a parlarci, anche quando lo conosce benissimo, per scoprirne cose nuove. Proprio come fa una madre con una figlia. In buona sostanza, Luana Licata nei minuti appena precedenti l'inizio della presentazione, Quanto il mondo ce lo stava già presentando. Florinda Saieva ha guidato sapientemente il dibattito nella Sala Nera, intervallato dalla proiezione del book trailer realizzato da Corrado Boschetti e del quale consiglio la visione. (http://www.youtube.com/watch?v=m9-nimznMYM). Mi piace guardare lei e Florinda che si sorridono complici e si scambiano opinioni e visioni sull'amore familiare e non. Quante volte eventi di questo genere mi hanno trasmesso solo un triste sapore asettico di formalità e cultura stantia. Stavolta no. Stavolta mi sento a casa, dentro il suo libro e respiro condivisione emozionale. Solo quella.
Le ho chiesto cos'ha fatto quando ha capito che la storia che aveva scritto sarebbe potuta diventare un libro,  M'ha risposto:
L'ho fatto leggere a uomini, non a donne. Gli uomini sono più sinceri, si commuovono meno.
La penso come lei, ma non glielo dico. Seconda cosa che scopre leggendomi. Potrei dire che è stata una bella presentazione, ma dirò che è stato un incontro fortunato perchè qualcosa mi dice che Luana la rivedrò, per un motivo o per un altro. Forse solo leggendola, forse sorseggiando del buon vino.
Quanto il mondo ve lo consiglio non già perchè io l'abbia letto, ma se il solo sentirne parlare m'ha dato i brividi, immagino il resto.
Brava Luana.

giovedì 3 ottobre 2013

Cerco un lavoro: il mio.

Dopo anni passati a fare la cosiddetta gavetta, stamane - fra un caffè iperattivo e un altro - mi viene in mente che quello che faccio, vorrei farlo proprio di lavoro. E per lavoro s'intenda quella cosa in cui uno fa delle cose, spesso anche con una certa passione che gli rende tutto più piacevole ma non per questo nullo, e poi qualcun altro gli dà dei soldi per quello che ha fatto. Non necessariamente tanti, ma comunque glieli dà.

Ora, potrei sciorinare una serie di luoghi comuni che includono la situazione economica italiana attuale e la crisi e una quantità infinita e spropositata di tristi bla bla bla, che andrebbero a giustificare del tutto la gente furbetta che sfrutta - e lo ripeto sfrutta - il nostro intelletto o qualsiasi nostro talento, con la motivazione dell'esperienza, del bagaglio, e così via discorrendo con una scelta di appellativi da fare invidia alla Treccani, utilizzati solo in funzione di edulcoranti ad una sola triste verità: non ci volete pagare. Nel novero delle persone  che mi hanno retribuito per la mia vera professione, posso collocare solo due persone, due persone che stimo e alle quali voglio bene. Poi basta.

L'altro giorno ero al bar con Monica, si beveva lei ed io un caffè macchiato e si mandavano giù a grandi bocconi le nostre confidenze degli ultimi mesi. Quando dalla scaletta principale che conduce all'ingresso del bar, ecco arriva una giovine riccia e rossa - per la verità di bell'impatto - che si ferma a salutare la mia compagna di colazione. Monica ci presenta, io adesso non ricordo il suo nome ma per convenienza al dialogo che vado a riportare la chiamerò Amica Riccia Rossa. Ecco qua:
Monica: Ciao Amica Riccia Rossa, come stai? Ti presento Valentina.
Amica Riccia Rossa: Sì, la conosco. Lei è quella che scrive su Facebook.


Ok, da lì parte la mia precisa volontà di non essere quella che scrive su Facebook. 
Mi piace quando si parli di questo blog, questo assolutamente sì, ma adesso voglio essere quella che scrive per un giornale. Un giornale di carta, che si sfogli la mattina mentre si addenta un croissant, o che si posi sul tavolo tornati da lavoro. Io ho voglia di raccontare la gente alla gente, le cose di ogni giorno e le cose di una volta a settimana, quelle straordinarie, quelle super ordinarie. E per farlo, per farlo di lavoro, sarebbe anche onesto se qualcuno mi retribuisse per farlo. Come fanno con gli altri, gli altri giornalisti, intendo. O siete tutti meglio di me, dunque a voi vi pagano e a me no? Non credo. E scusate se sto sgrammaticando in maniera piuttosto regionale e criticabile, ma stavolta ci stava. Anzi vi dirò di più, se ad ogni like che mi piazzate - graziosamente, affettuosamente, graditamente - su Facebook mi entrasse un euro, non avrei neppure bisogno di scrivere tutta questa boiata sulle mie disavventure lavorative e professionali.

Perchè non scrivi a qualcuno? Mandi il tuo curriculum? , mi ha chiesto l'altra sera Andrea, pragmatico.
Ha ragione, io ci ho provato, davvero. Il punto è che ho fatto così talmente tante cose gratis, a tempo perso, per hobby, per sport, per esperienza, per gavetta, per bagaglio, che adesso io neppure me le ricordo più. Una cosa è sicura: ho fatto di tutto. Dalle interviste ai panini, dagli articoli agli aperitivi e dalle trasmissioni radiofoniche a pulire i cessi nei quali qualcuno aveva ributtato l'anima de li mortacci sua dopo essersi preso una sbronza. Tutto. E al primo che mi chiede che tipo di esperienza ho, cosa dovrei dire? Che mi manca solo il dog-sitting e un Master in Galoppo Equino, e siamo a posto. Ragazzi, davvero, voi continuate a regalarmi Moleskine che rimangono vuote, penne il cui inchiostro si secca all'interno, e io continuerei volentieri a fare interviste al mondo intero, ma l'Università non si paga da sola. Ah, ecco, dimenticavo: sono una laureanda in Lettere. Lettere Moderne, per la precisione e sì, manca veramente poco e poi alloro, confetti rossi, mamme contente, feste e festini e alcool a volontà.
Ma adesso cerco un lavoro: il mio. E so che posso farlo bene qua, dal luogo geografico dal quale vi scrivo: Favara, provincia di Agrigento, luogo in rinascita artistica e culla di una nuova economia in crescita. Voglio fare la giornalista a Favara, o ad Agrigento, comunque quello che voglio sul serio e non dover per forza mettermi su un aereo e andare a raccontare i fatti di altri, di un'altra parte d'Italia, che di fatti nostri da raccontare ne abbiamo anche troppi. Troppi che non finiscono mai. Mi sono un po' stancata di servire caffè, o prendere ordinazioni o sturare cessi: io voglio scrivere. Raccontare. E basta.
Questo è il mio curriculum. In più ho anche una maturità classica che m'avevano detto che era la cosa più prestigiosa e invece sticazzi. Stigrancazzi.

Io ho un lavoro ce l'ho. Se qualcuno lo vuole, eccolo qua.

sabato 28 settembre 2013

#ioquamisentosprecata - Riflessione amorfa su Favara.

Io, in questo posto, mi sento sprecata.
E ci ho pensato l'altra sera, ch'era un lunedì sera e sentivo freddo ma non avevo voglia di stare in casa nè di studiare. Allora ho chiamato Laura, abbiamo fatto un giro Piazza ed essendo tutto chiuso, siamo rimaste sulla macchina, ferme, a chiacchierare. La Piazza è molto grande, illuminata quanto basta da farci vedere i punti cardine della nostra vita degli ultimi mesi. Il Comune, il Castello, il Caffè Italia, il Centro Storico: tutti con la 'C'. Ci siamo guardate intorno, in silenzio, e tutte e due - si capiva - pensavamo agli architetti, due in particolare: uno che ci chiude affettuosamente nel suo studio per ore a parlare del Centro Storico e noi lo ascoltiamo attenti, mentre ci fa scorrere slide di fotografie e planimetrie di Favara com'era un tempo e proiezioni  future di quanto bella potrebbe tornare ad essere, con uno sforzo collettivo. Le ore passate nel suo studio mi fanno crescere sempre di almeno un paio d'anni, e i miei sogni li fanno lievitare con una coerenza così bella che non profuma d'altro che di possibilità. I due architetti sono diventati miei amici. L'altro ci porta spesso a visitare i Palazzi abbandonati. Quando ci portò a vedere Palazzo Cafisi, ci raccontò anche un po' di storia, disse che il ragazzo Cafisi padrone (ora perdonatemi non ricordo il nome, ma va bene uguale) all'età di diciotto anni aveva già da un po' avviato i lavori di questa sua grande residenza. Mi ricordo precisamente le nostre espressioni, stavamo tutti pensando che in media siamo tutti trentenni che stanno a casa con mamma e papà. Neppure una casa in affitto solo nostra, figuriamoci. Adesso sto parlando di noi, sto parlando di una generazione figlia dei vostri sbagli, una generazione a cui dovete rendere conto, una generazione incazzata a morte con tutti voi. Di quella mattina in giro tra i Palazzi antichi che occupano lo spazio dietro la Chiesa Madre, uno spazio ignoto e inesistente, a me resta solo tanta tristezza. Le finestre aperte, i balconi sfondati, le lampade aguzze, i vetri incrostati, i marmi anneriti, pareti divelte, soffitti ammaccati, i muri segnati, sporcizia ovunque, gli angoli insicuri, un passato ch'è vivo e piange intristito, in attesa. In attesa. E la colpa è anche mia - o di chi per me - che vivo in periferia, la zona nuova di Favara, il nuovo cuore pulsante delle strade che precedono a Strata Nova, lontano dai vecchi ricordi, dalla precarietà delle forme, dal degrado sociale, dalle famiglie povere. E io adesso sono una di loro. Siamo tutti uno di loro. Da quando Michele quella domenica ci portò tra i Palazzi, io non guardo più la Piazza con l'occhio assente e divertito di prima, io la mia Piazza la soffro tutta, davanti e dietro. Mi immagino le famiglie che la vivevano cento, duecento, trecento anni fa: i galantuomini, le mogli affacciate dai balconi, la mafia del rispetto, mi immagino orologi e bastoni, la ricchezza e la povertà. Ci vedo Verga, Pirandello e Sciascia, ma anche Patti e il miglior Bonaviri. Ci vedo tutta la Sicilia che mi batte nel cuore, e che mi state costringendo a lasciare. Sì, perchè io ci ho pensato e l'altra volta ero col mio ragazzo, lui guidava, gli faccio: <Io, in questo posto, mi sento sprecata.>  M'ha chiesto perchè. E allora gli ho detto di Farm, di Fun, cose che lui già sapeva ma avevo bisogno di raccontare da capo e mentre le raccontavo quel pensiero è svanito. E' svanito perchè adesso a Favara molte cose sono possibili. <Sbrigati a laurearti>, mi dice lui da uomo saggio e come non dargli ragione. <Lo vuoi sapere cos'è un progetto genuino?>, lui continua a guidare e annuisce perchè io continui, <un progetto genuino è quando tutti si ha un obiettivo comune, uno ed uno solo, capisci?>
Ora, l'unica cosa che mi fa sentire sicura che questo esiste dalle mie parti, si chiama Farm Cultural Park -anche se il coniglio non c'è più adesso. Favara Urban Network in questo momento è finalista al concorso ARS Idea360 promosso dalla Fondazione Italiana Accenture.  Lo sapevi? Magari sì, però io farò tutto un post dedicato a questa cosa. E poi ne farò anche un altro  su Canciamula, altro argomento scottante e profumato. Comunque essere un favarese oggi è un' esperienza agrodolce, tipo quando metti la Nutella sui crackers salati. Sono buoni sì, ma senti che c'è anche qualcosa che stona. Noi siamo ancora quel posto dove i bambini disimparano l'italiano a scuola (fatta eccezione per qualche brava insegnante che si è sudata il titolo di studio), siamo quel posto che non ci sta bene niente, nessun progresso o iniziativa di promozione del luogo o miglioramento sociale è visto di buon occhio dall'80% della popolazione, perchè la popolazione è stata stuprata per troppi anni. E adesso vede il marcio ovunque, si lamenta per tutto, è petulante, attribuisce colpe e responsabilità a casaccio, è disinformata, soffre. Riporto una riflessione del mio amico Salvatore Matina, dalla sua pagina Facebook di oggi, m'ha fatto sorridere e pensare:

Problema per Psichiatri e/o Psicologi:
- Ci sono le pattumiere sotto casa: "No i fustina sutta a casa no, ca po c'è fetu!";
- Tolgono le pattumiere da sotto casa: "Ora mi tocca iri o burdellu pi ittari a munnizza!"
- Fanno il porta a porta: "Na minchiata è, la iettu unni c'eranu i fustina!"
Risultato: In meno di tre ore, cumuli di spazzatura nei punti dove c'erano le pattumiere. Favarì, ma chi vo? Chi ha n'testa?

E' vero, eccome se è vero.
Lo sapete cosa? Io voglio sentirmi libera, voglio la libertà di dire che Favara è un paese orrendo e pochissime cose lo salvano, e io sono dentro ad una di quelle pochissime cose che lo salveranno. Io voglio essere arrogante - e posso farlo con tanto di orgoglio alla mano - e dire che i nostri progetti sono pieni d'amore e spirito di sacrificio. Voglio sentirmi libera di odiare la gente che urla e parcheggia sulla Piazza e lascia i SUV in terza fila ed è maleducata. E voglio sentirmi libera di pretendere quello che mi spetta, quello per cui pago, sempre e comunque, anche quando i soldini non ci sono più. Questo paese non funziona, ma non si può ignorare che qualcosa si muove e nel senso giusto, e quel qualcosa non siamo solo noi. C'è un mondo di persone che si associa, si incontra, si attiva, parla e - genuinamente o no, non garantisco per ciò che non conosco - un'altra piega a questo posto vuole darla anche in senso economico.
Quella sera, ch'era un lunedì sera, Laura m'ha riportato a casa e io avrei voluto scrivere ma sentivo un nodo alla gola che non mi ha permesso di far nulla se non: pensare. Ho pensato che se ce l'hanno fatta le altre città a vincere la povertà, il sudiciume, direi che ce la possiamo fare anche noi. Sono una giovane idealista, ingenua e ottimista. Sono una giovane donna di ventiquattro anni che per un po' ha pensato alla fuga, ha pensato di mollare tutto e andare al Nord in cerca di sicurezze. E invece io rimango, rimango per Favara, rimango per il Centro Storico, per i miei amici architetti e anche per tutti gli altri, rimango per la mia Famiglia, e perchè sono buona. Rimango perchè sono felice di rimanere e, nel limite delle mie forze e delle mie possibilità, aggiungerò sempre un piolo a quella scala che piano piano ci sta facendo salire, gradino dopo gradino, ai vertici di un futuro accettabile. Siamo giovani, brillanti e professionisti, mica quattro accattoni ignoranti.
La politica, m'hanno chiesto cosa ne penso.
Bene, la politica come la intendete voi, le elezioni, i voti, le bagarre, e le manifestazioni circensi dentro i consigli comunali, non m'interessano. Non vorrei mai entrare a farne parte. M'interessa il rapporto con le istituzioni, che siano presenti e attive, quello m'interessa.
Il resto... è noia.

venerdì 20 settembre 2013

Una sera: il cielo.

Potevo scegliere se spaccarmi un'altra ora di cyclette o finire un altro capitolo dal manuale di storia dell'arte contemporanea. Così ho scelto di aggiornare il blog.
Sono giorni di reclusione, ritiro (s)pirituale, tipico della settimana prima dell'esame (leggi l'unica nella quale mi degni di aprire i libri, del resto se Dio ha fatto il mondo in sette giorni...)
Potrei raccontarvi di questa mia settimana a casa, dei post che sono mesi che penso di scrivere, dei miei focus on fermi, dei caffè che non mi bastano mai e dei miei capelli che sembrano vivere in un loro particolare microcosmo di assurdità pilifere, fatto di scale di lunghezza e imprevedibili tonalità biondastre, sempre more blonde alla luce del sole. In realtà, potrei parlare di un sacco di cose, ma non c'ho voglia e anche oggi il caffè non m'è bastato, quindi ho sonno. Ma tanta voglia di scrivere.
Prima ero a tavola, cenavamo, m'è sceso male un boccone e stavo per soffocare. Tutto si è risolto con una lacrimuccia cianotica e gli occhi rossi; sono uscita in balcone a prendere una boccata d'aria, e in balcone ci sono rimasta perchè è un bel luogo di casa mia. Un luogo che va respirato largo largo. Mi sono seduta sulla sdraio e ho pensato: guarda che cielo, ne devo parlare nel blog ora subito.
Sono passate un paio d'ore ma ho mantenuto la promessa che m'ero fatta.

Un cielo così sopra Favara non lo vedevo da tanto, tantissimo tempo. Non ci sono stelle, e forse è meglio così, perchè le guarderei tutte e ad ognuna chiederei un piacere, le urlerei un nome in silenzio. Le nuvole sono azzurro chiaro, come fosse mezzogiorno, d'un chiaro così chiaro che illumina tutta la volta blu sopra la mia testa, e la squarcia spalmandola in un'armonia perfetta. Il cielo, quante ne sa il cielo. Incazzato o no, grigio o no, è sempre costretto a guardarci tutti senza permettersi mai di poter cadere giù. Deve sempre sorridere e tenersi dritto sulle gambe, immobile, eterno. Ogni tanto piove qualche lamentela, di quelle che somigliano alle lamentele delle donne che cercano attenzione, come a dire: sto piovendo solo perchè non mi guardi da tanto. Alza gli occhi, io non faccio altro che guardarti, guardami un po' anche tu. Allora uno alza gli occhi e tira fuori l'ombrello, barriera tra la sua testa e il pianto del cielo, esattamente come un uomo che annoiato dal petulare della sua compagna l'allontana, si separa da lei, poi ci torna quando s'è trovato perso e solo. Così io stasera, mi sento sola e cerco il cielo e lui non è offeso, anzi.
Capo che fai ci pensi tu, anche stavolta?

E' una sera serena, d'una vita felice qualsiasi, di una settimana piena qualsiasi, di una donna quasi donna qualsiasi. Sono convinta che la rabbia col mondo, anche nel caso in cui sia solo una difesa, non serva a niente se non a generare altra rabbia. Io sorrido, e ogni volta mi sento un po' meno intelligente di come mi dicono. Sorrido, perchè il Capo m'ha dato solo una curva sul viso ed è un sorriso. Mi sento un po' come il cielo, incazzata o no, devo star su, dritta sulle mie gambine. Te lo immagini cosa succederebbe se si facesse partire la scoppola e ci cadesse a tutti quanti sulla testa, il signor Firmamento? Lui ed io non abbiamo la libertà d'indispettirci, l'umanità ci vuole di buonumore, è per questo che abbiamo imparato ad esserlo naturalmente, sinceramente, eternamente. Quando pioviamo è solo una brutta giornata. Una brutta giornata qualsiasi.

Non aprire l'ombrello, sto solo cercando di non bagnarti i capelli.

domenica 1 settembre 2013

Mi sveglio, ed è Marzo.

Ho aperto gli occhi ch'erano le 7 in punto. Li ho buttati sul cellulare, rimasto acceso tutta la notte, e ho visto ch'erano le 7 in punto, di domenica mattina. La prima domenica mattina di Settembre.
La consuetudine naturale della settimana che mi butto alle spalle è quella d'essere mattiniera, propositiva e molto pensierosa. Come tutte le altre sei mattine che precedono questa, sono in balcone - che io preferisco chiamare veranda, perchè anche s'è piccolo io lo vivo come grande - sono in veranda, con la tavola apparecchiata da colazione, un bicchierone d'acqua fresco e Favara silenziosa tutta intorno. C'è la biancheria stesa a prender fresco più che ad asciugare e dalla cucina esce forte l'odore di salsa di pomodoro; mamma ne ha comprate due casse grandi e ieri lo ha cotto tutto e poi passato e poi ricotto e poi messo in buste da congelare e tirare fuori l'inverno, quando si ha nostalgia dell'estate e non ci va di mangiare la minestra. Quando non vivevo in casa con loro, quando vivevo a Catania, tirare fuori quelle conserve ha rappresentato più volte la mia salvezza - come capita da sempre a molti altri studenti fuori sede, e sempre in eterno capiterà - lo stesso pomodoro, scaldato in un tegamino e poi versato su una montagnetta di spaghetti collosi, dei quali non azzeccai mai la cottura, se non al ritorno nella casa materna. Ovvero quando non serviva più.

Questa potrebbe essere una mattina di Marzo, anzi per me oggi è il primo di Marzo. Settembre è l'emblema dei nuovi inizi, delle sfide rinnovate, degli azzardi, dei propositi: è identico a Gennaio. Dopo il primo di Settembre e dopo il primo di Gennaio ci si metterà a dieta, si tornerà a lavorare o a cercare un lavoro, si risolveranno le questioni spinose della vita accantonate per un lungo riposo dei sensi, si cambierà pelle e si perderanno cinque chili. Io, però, non mi sento così.
Mi sento come quando inizia Marzo, il preludio della Primavera che dolcemente ci appoggia sull'estate a venire, la stagione delle speranze e delle energie solari che si infrangono sui sensi, rinfrancandoli. Io mi sento di dover proseguire, non iniziare. Il cielo è grigio quasi bianco, il sole è solo una sfera luminescente e lattiginosa che sgorga fra un contorno di nuvola e un altro, ad aprirmi gli occhi. Una pennellata di verde carica e impressionista disegna la mia scenografia mattutina, e uccelli planando sembrano volermi sbattere contro ma risalgono veloci nello spazio naturale del loro vivere quotidiano, anche loro. Un gallo canta al nuovo giorno che nasce furioso.

Ad asciugare è steso un vestito di mia madre, nero a fiori. Il cerchio si chiude dolcemente, con uno di quei collegamenti tra vita e poesia che solo in mattine così - o in pochi altri momenti - sembra potersi verificare con una tale puntualità di idee.
<Al ventuno del mese i nostri soldi erano già finiti, io pensavo a mia madre e rivedevo i suoi vestiti, il più bello era nero coi fiori non ancora appassiti. All'uscita di scuola i ragazzi vendevano i libri, io restavo a guardarli cercando il coraggio per imitarli, poi sconfitto tornavo a giocar con la mente e i suoi tarli, e la sera al telefono tu mi chiedevi: perchè non parli?> E' Lucio Battisti, I giardini di Marzo.
Questo è il mio Marzo, non l'inizio di un nuovo percorso, ma la conferma della rivoluzione avviata per modificare l'asse dei miei sorrisi e l'apertura dei miei occhi, il preludio della mia Primavera, il prologo di questa storia bella e nuova che odora di pomodoro e case gialle e ciuffi d'alberi e detersivo per pavimenti alla lavanda e cotone rosa. Non ho nessun proposito settembrino da inventarmi, nessun progetto da tracciare sulla carta millimetrata dei nuovi domani: ho la mia Vita, ed è perfetta così. Sono felice.
I giorni che verranno non avranno foglie arancio a lastricare le strade e l'autunno non pioverà grigio. Ci metteremo il sole, come se fosse un'altra stagione, come se noi fossimo altro. Useremo la fantasia, che ci salva sempre, e ameremo la pioggia e ameremo l'inverno e ameremo le coperte gelate dell'estate finita e passeggeremo sui viali stretti del paese da rifare e alzeremo maniche di camicie consumate e a basso costo, ma mai perderemo la speranza di una nuova alba. Mai nessuno ci negherà un risveglio più dolce, neppure la dieta.

In posta, al mio risveglio, ho trovato un regalo da parte di un uomo che ormai mi sa - Eskimo, Guccini - ed è così che voglio chiudere questo post sul nuovo mese:
<Questa domenica in Settembre non sarebbe pesata così, l'Estate finiva più nature vent'anni fa o giù di lì. [...] Perchè mi amavi non l'ho mai capito, così diverso da quei tuoi clichè, perchè fra i tanti, bella, che hai colpito, ti sei gettata addosso proprio a me.>
Un ragazzo passa in bicicletta, il vento mi sposta i fogli e i capelli, il vestito sventola come bandiera, qualcuno al piano di sotto tossisce e si rialza. Mi sveglio, ed è Marzo.