E tu sei il numero:

venerdì 20 settembre 2013

Una sera: il cielo.

Potevo scegliere se spaccarmi un'altra ora di cyclette o finire un altro capitolo dal manuale di storia dell'arte contemporanea. Così ho scelto di aggiornare il blog.
Sono giorni di reclusione, ritiro (s)pirituale, tipico della settimana prima dell'esame (leggi l'unica nella quale mi degni di aprire i libri, del resto se Dio ha fatto il mondo in sette giorni...)
Potrei raccontarvi di questa mia settimana a casa, dei post che sono mesi che penso di scrivere, dei miei focus on fermi, dei caffè che non mi bastano mai e dei miei capelli che sembrano vivere in un loro particolare microcosmo di assurdità pilifere, fatto di scale di lunghezza e imprevedibili tonalità biondastre, sempre more blonde alla luce del sole. In realtà, potrei parlare di un sacco di cose, ma non c'ho voglia e anche oggi il caffè non m'è bastato, quindi ho sonno. Ma tanta voglia di scrivere.
Prima ero a tavola, cenavamo, m'è sceso male un boccone e stavo per soffocare. Tutto si è risolto con una lacrimuccia cianotica e gli occhi rossi; sono uscita in balcone a prendere una boccata d'aria, e in balcone ci sono rimasta perchè è un bel luogo di casa mia. Un luogo che va respirato largo largo. Mi sono seduta sulla sdraio e ho pensato: guarda che cielo, ne devo parlare nel blog ora subito.
Sono passate un paio d'ore ma ho mantenuto la promessa che m'ero fatta.

Un cielo così sopra Favara non lo vedevo da tanto, tantissimo tempo. Non ci sono stelle, e forse è meglio così, perchè le guarderei tutte e ad ognuna chiederei un piacere, le urlerei un nome in silenzio. Le nuvole sono azzurro chiaro, come fosse mezzogiorno, d'un chiaro così chiaro che illumina tutta la volta blu sopra la mia testa, e la squarcia spalmandola in un'armonia perfetta. Il cielo, quante ne sa il cielo. Incazzato o no, grigio o no, è sempre costretto a guardarci tutti senza permettersi mai di poter cadere giù. Deve sempre sorridere e tenersi dritto sulle gambe, immobile, eterno. Ogni tanto piove qualche lamentela, di quelle che somigliano alle lamentele delle donne che cercano attenzione, come a dire: sto piovendo solo perchè non mi guardi da tanto. Alza gli occhi, io non faccio altro che guardarti, guardami un po' anche tu. Allora uno alza gli occhi e tira fuori l'ombrello, barriera tra la sua testa e il pianto del cielo, esattamente come un uomo che annoiato dal petulare della sua compagna l'allontana, si separa da lei, poi ci torna quando s'è trovato perso e solo. Così io stasera, mi sento sola e cerco il cielo e lui non è offeso, anzi.
Capo che fai ci pensi tu, anche stavolta?

E' una sera serena, d'una vita felice qualsiasi, di una settimana piena qualsiasi, di una donna quasi donna qualsiasi. Sono convinta che la rabbia col mondo, anche nel caso in cui sia solo una difesa, non serva a niente se non a generare altra rabbia. Io sorrido, e ogni volta mi sento un po' meno intelligente di come mi dicono. Sorrido, perchè il Capo m'ha dato solo una curva sul viso ed è un sorriso. Mi sento un po' come il cielo, incazzata o no, devo star su, dritta sulle mie gambine. Te lo immagini cosa succederebbe se si facesse partire la scoppola e ci cadesse a tutti quanti sulla testa, il signor Firmamento? Lui ed io non abbiamo la libertà d'indispettirci, l'umanità ci vuole di buonumore, è per questo che abbiamo imparato ad esserlo naturalmente, sinceramente, eternamente. Quando pioviamo è solo una brutta giornata. Una brutta giornata qualsiasi.

Non aprire l'ombrello, sto solo cercando di non bagnarti i capelli.

Nessun commento:

Posta un commento