E tu sei il numero:

giovedì 31 ottobre 2013

#fundiary - Un fortunato viaggio nella Capitale.

Ci sono voluti un paio di giorni, e molte ore di sonno, prima io che riuscissi a scrivere qualcosa sul viaggio rapido dal quale torno.
Nei giorni che hanno preceduto la partenza avevo previsto che si sarebbe trattato dell'ennesima avventura, una di quelle che ti metti su un autobus con un programma che alla fine viene inevitabilmente arricchito da migliaia di piccole e piacevoli cose. Le cose dei viaggi.
E' giusto, prima di raccontarvi di Roma e della premiazione del Concorso ARS Idea360 indetto dalla Fondazione Italiana Accenture e al quale Favara Urban Network ha partecipato col progetto del Castello di Chiaramonte di Favara, che io dica due cose anche su Palermo, prima tappa della mia micro-fuga e che mi ha vista finire ad una festa di Laurea di una ragazza bellissima e sconosciuta, poi nel lettone di Raffa a commentare Miss Italia ed infine ad una fermata di un autobus sostituito da un taxi reso economico dal concetto di taxi sharing. Che culo.
Come ebbi la tempestività di postare sulla mia pagina di Facebook, qua ripeto, surrogando: la madre di Valeria - la neo-dottoressa alla quale laurea mi presentai come amica di Raffaella - cominciò a parlare di Favara, chè aveva visto Farm e il Castello l'estate scorsa. L'ho ringraziata per l'ospitalità e perchè ci ha riempiti di complimenti, e poi insomma - diciamocelo - sentire parlare di Farm in giro mi fa sentire sempre un po' a casa, anche se sono lontano da casa.
L'arrivo a Roma è stato rapido e indolore, un viaggio comodo e fortunato, di quelli perfetti e senza imprevisti. Taxi, volo, treno, metro. Tutto in perfetta coincidenza d'orari e luoghi. Vi racconterò quei giorni riportando le pagine del mio diario, buttato giù come e quando potevo:

28 Ottobre 2013, ore 10, camera d'albergo, Roma
Sono appena arrivata nella nostra stanza.
Oggi la Città è calda, trafficata come sempre, ma non ho avuto neppure il tempo di fermarmi a respirarla. Mi sto già cambiando d'abito, fra un'ora ci sono le prove della Cerimonia di premiazione. Adriana è venuta a prendermi a Tiburtina con Francesco, il suo fidanzato. Sta per arrivare anche Gianni, il nostro presidente. Lui salirà sul palco a parlare di FUN ancora una volta. Mi affaccio dalla finestra della mia stanza, finestre impolverate, altri alberghi, turisti cinesi carichi di valigie. Mi manca Gabriele, un po' casa. Adriana e Francesco, che mi aspettano alla hall. Devo fare una corsa. Bentornata a Roma, Vale. Questa volta ti giochi un sorriso.

ore 11, Palazzo Barberini
Siamo dentro. Ho buttato la testa indietro e il naso in aria, per guardare gli affreschi sul soffitto, poi l'ho riabbassato e l'ho spinto ai lati, dove stanno appesi dei Raffaello e un Caravaggio. E noi qua. Noi col Castello di Favara qua. In mezzo alla Bellezza che ha fatto la storia della bellezza italiana, noi qua. E mi pare incredibile che ci siamo riusciti. So che ce l'abbiamo fatta, in qualche modo, che è quello della passione, ma è davvero tutto troppo grande. Stanno allestendo il palco e molte file di sedie Kartell trasparenti. Gianni è emozionato e stanco, lo siamo anche noi. La Iena Laura Gauthier esce dal guardaroba con un vestito con la gonna ampia e il corpetto stretto, motivi geometrici rosa e neri, capelli in grandi onde grano. E' bellissima, e ha la "R" moscia, come piace a me nei cantanti e nei conduttori. Giri, guide, spille, hostess, buffet, vini pregiati, finger food, tutto solo per noi. I finalisti del Concorso.

ore 15.30
La cerimonia, la premiazione, eccoci.
Stacco il tablet dalla carica e via, parte il live streaming. I ragazzi ci seguono da Favara, ci scrivono di continuo, l'attesa è febbrile. Una lunga carrellata di progetti, video, dibattiti sull'arte italiana, e poi tocca a noi. Noi di Favara Urban Network, il presidente sale sul palco, ci presenta. Sul grande schermo alle sue spalle e di fronte a noi, scorrono le immagini di Farm Cultural Park e del Castello. Riconosco i miei spazi: lo shop di Farm, la Sala di Esterni del Castello, il Giardino, i Cortili, la Corte. E vedo Andrea, col suo grande sorriso mentre improvvisa un finto elevator pitch sulla nostra impresa. Ci classifichiamo quinti su cinque vincitori. Puntavamo al milione, è chiaro, ma questa è una gran vittoria. Aver portato Favara - città dell'Agnello Pasquale - ad un concorso nazionale di una big come Accenture, che mette in palio un milione di euro. Sono soddisfatta, sento che questa è la nostra rivalsa di cittadini impegnati per la rivalutazione artistica del paese. Qualcuno ci ha notati e ci ha anche premiati, ed è giusto. Bello e giusto.
Alla fine, Gianni regala alla conduttrice un mattoncino I VIDE' con la chiave del Castello e le spiega cosa vuol dire I vidè. <Vuol dire "anch'io" nel nostro dialetto.> Lei sorride e ringrazia. Ci danno il premio in plexiglas con la grande scritta arancione ARS, che a me ricorda tanto la Sicilia, ma è solo l'acronimo di Arte che Realizza occupazione Sociale. E noi l'abbiamo fatto. Noi, facendolo, abbiamo vinto.

E' importante, importantissimo, che io faccia dei ringraziamenti,
Andrea Bartoli e Florinda Saieva: per avermi dato affetto e fiducia e la possibilità di prendere parte a questa Cerimonia, nonchè per averci guidati e sostenuti su molti fronti nella messa in atto del progetto Castello, e per essere la prima fonte di entusiasmo e creatività per i giovani che amano Farm Cultural Park.
 Gianni Di Matteo: per essere un presidente savio, un uomo intelligente e ironico, e per averci portato su quel palco, facendo una gran bella figura con Accenture. Gianni, sei stato la voce dei nostri sforzi passati e futuri, e la medietas del nostro gruppo e questo premio è in gran parte merito tuo. Adriana e Francesco: i miei compagni di viaggio, attenti, spassosi e gentilissimi con me. Mi hanno accompagnato a comprare ballerine per liberarmi dai tacchi, a mangiare panzerotti pugliesi fatti a mano e in casa di loro amici pugliesi trapiantati a Roma, mi hanno guidato tra metro e autobus dell'Urbe, e sopportato nelle mie soste foto tipiche della turista terrona. Adriana, vice-presidente di Favara Urban Network, ha cercato di controllare l'emozione per tutto il tempo e mantenere il suo ruolo da frau piena di idee e lavoro e proposte e voglia di trasmetterci carica. Con scarsi risultati. Emozione 1 - 0 Adriana. Ma ci stava anche, eh.
E poi ringrazio chi ci ha seguito dalla Sicilia tutta, con grande affetto - e qua scusatemi ma uno special thanks a Peppe Sirchia e i ragazzi del WCAP CATANIA mi scappa facile facile - e chi mi ha ospitato nella sua casa palermitana prima della mia partenza, la mia amica Raffaella.
E poi i miei amici di Favara Urban Network, che mi hanno spedita in loro vece in quella platea dorata; ho cercato di essere i vostri occhi, come ho potuto. Vi voglio bene.

Comunque, ancora una volta ho pensato che se si ha un sogno - che può costare anche caro - bisogna ritenersi fortunati. Essere sognatori, oggi, è un duro mestiere che poche volte garantisce rendite o soddisfazioni, se non quella sicura di vivere in una realtà parallela nella quale tutto è possibile. Il nostro sogno, quello di un posto migliore che si risolleva solo con le sue forze, a Roma ha trovato uno spiraglio di possibilità, di concretezza e riconoscimento in un posto che accoglieva al suo interno il meglio dell'arte italiana e lo sforzo di una terra che ancora crede di poter puntare su quello per riprendersi. Non è stato solo un viaggio a Roma, il nostro è stato un viaggio in Italia, alla scoperta delle sue tradizioni, della sua volontà, del suo ottimismo ma soprattutto del suo talento, che va incoraggiato, rafforzato, elogiato come merita. Voglio fare i miei complimenti al progetto Trame di Lunigiana che si è aggiudicato il primo premio, e agli amici Pupari di Catania, la celebre famiglia Napoli che un gran premio l'avrebbe largamente meritato.
Ancora oggi, la gioia che mi ha pervaso dalla partenza al ritorno, è inquantificabile. Voglio dedicare questo grumo di gioia ancora pulsante, ad Armando.Il nostro super-eroe.

martedì 22 ottobre 2013

L'inverno in ritardo. Cronache sentimentali nei pressi del mare.

Ci sono dei posti nei quali è inevitabile che due donne - due donne amiche - rimangano in silenzio per più di dieci secondi. Specie se, in questo caso io, una delle due è logorroica. Uno di questi posti è in riva al mare, all'orario del tramonto, che adesso è sempre più presto, anche se un autunno così finto non l'avevo mai visto.

Vedo branchi di bikers e joggers e bagnanti tardivi, aggirarsi sui marciapiedi di San Leone, ancora con gli shorts e le canotte. A parte il cattivo gusto degli uomini che indossano le canotte, quello che mi chiedo è: arriverà mai davvero l'inverno? E a me, no, l'inverno non è mai piaciuto gli anni scorsi, quest'anno inspiegabilmente lo aspetto con ansia. Saranno queste ondate di romanticismo che pervadono la mia argillosa anima che pare finalmente sciogliersi in fanghiglia d'amore, che prima era pietra pomice per i calli dei piedi. Sì, adesso l'inverno lo penso come a quella cosa delle cioccolate calde, dei piumoni, delle coccole e del cinema. E sarà un gran bel casino se l'aspettativa sarà delusa, perchè io non c'avrò un cazzo da fare in alternativa. O comunque nessuna alternativa è allettante e profumata come la su citata.

Dicevo, due donne amiche non stanno zitte mai, men che meno in riva al mare all'ora del tramonto. Ed è inutile che ci raccontiamo minchiate sulle argomentazioni introspettive trattate dalle donne mediamente intelligenti quando passano del tempo tra di loro, minchiate. Le donne parlano di loro, degli uomini. E se li hanno, parlano dei loro uomini. Il che è anche peggio, a tratti letale.
A questo punto immagino una musica da documentario di Alberto Angela che parla dell'accoppiamento, quella musichetta rilassante che precede la trombata dei babbuini e che serve da sfondo alla descrizione del maschio alfa, con tutta la casistica che precede la cavalcata. La descrizione di un uomo, cosa più cose meno, individua delle caratteristiche comuni al genere maschile, imprescindibili, che si moltiplicano nel caso in cui gli uomini in questione siano amici tra di loro, quindi cresciuti nello stesso humus sociale e mentale che li predispone ad un certo tipo di approccio al sesso opposto.

Io e la mia amica, anzi la mia amica ed io, che è più affettivamente corretto e english, investiamo il nostro tempo a parlare di noi, delle nostre gioie, dei nostri dissapori e - per fortuna - siamo di quelle donne che gioiscono se gli altri sono felici, e sono tristi se qualcuno è triste, così per empatia. Ci piace un sacco l'Amore, anche. E non perchè ce ne sia mai mancato, anzi. E' che ci piace, e basta.

Guardo le famiglie, i bambini, osservo le loro gestualità, il normale corso del tempo e l'effetto che ha sulle cose, sulle persone. I sentimenti hanno un'azione fisica sulla gente, visibile al mondo intero: i sorrisi, i denti più o meno bianchi, le schiene dritte, le mani rugose, il sovrappeso, l'elasticità, il modo di mangiare o bere un caffè. Non è solo l'invecchiamento, il passare degli anni, che ci cambia. E' l'amore che modella il nostro corpo a seconda delle sue oscillazioni, e adesso che ne sono convinta nessuno può smontarmelo dal piedistallo del cervello.

Dottore, ma cos'è, tipo un piedistallo?
Tipo. Sul piedistallo del tuo cervello si appoggia una pallina bianca. Potrai viverci a lungo, insieme. Potrai viverci bene, o forse viverci male. Adesso come ci vivi?
Dottore, male.
E allora potremo tirarla fuori, che ne pensi?
Penso che mi fa paura, ma ne vale la pena.

Mi fa paura, ma ne vale la pena.
Quante volte ci siamo chiesti se rischiare il gioco valeva la candela? Quante volte avremmo voluto non dire o fare certe cose, per l'effetto che poi hanno prodotto? Eppure, ci sono cose che hanno bisogno - per loro stessa natura - d'essere fatte, dette, comunicate. Sarebbe un gran gesto d'egoismo, chiuderle nella gabbia toracica, nel silenzio di qualche sporadico tum tum.
Non so se l'inverno sarà fatto di coccole o vodka, come tutti gli inverni passati, so solo che è il 23 di ottobre e la gente fa ancora i bagni al mare. Forse quest'inverno si sta adeguando ai nostri tempi, miei e suoi, alle nostre modalità, alla nostra gradualità. Forse, chissà, non se la sente neppure lui di rischiare e arrivare con un cappotto sulle mie spalle più strette di qualche centimetro. Mi sta dando tempo.
Ed io, indubbiamente, lo ringrazio per lasciarmi ancora qualche chiacchierata in riva al mare, con la mia amica, all'orario del tramonto. E un caffè, chè non è mai troppo tardi.

lunedì 7 ottobre 2013

"Quanto il mondo" dentro Farm. Luana Licata, il mio felice incontro.

Sabato scorso, che era il 5 ottobre, la Farm mi ha regalato uno dei suoi momenti di bellezza. E l'intera giornata è stata per me particolare, sorridente, dopo una settimana di stress. Sabato è stato bello e il destino quando ci si mette è veramente pazzesco. Ma andiamo per ordine, partiamo dall'inizio.

Quella sera, lo spazio Nzemmula di Farm, meglio nota come sala nera, è stato casa di un bel momento: la presentazione del libro "Quanto il mondo" di Luana Licata. Quando sono arrivata ai Sette Cortili, lei era seduta con degli amici a fare quattro chiacchiere prima dell'inizio, ci siamo presentate e conosciute. Non riesco mai a scrivere di quello che fanno le persone, senza prima raccontare le persone stesse, come sono fatte e le impressioni che mi hanno lasciato. Luana è bella, di una bellezza composta, educata. Dai capelli alle scarpe, tutto è perfettamente armonico nella sua figura, e la sua gestualità, il modo calmo di parlare e il timbro della voce: tutto in equilibrio. Ecco, Luana mi ha calmata. E lei non può neppure immaginarlo, lo scopre adesso, leggendomi.
Ho assistito a qualche presentazione editoriale, ma raramente mi è capitato di sentirmi così compartecipe dell'opera e dello scrittore stesso. Quanto il mondo è una storia d'amore, senso di colpa, rimorso e coraggio. E' un romanzo intimista, in parte autobiografico per quanto riguarda la componente strettamente affettiva dell'opera, il resto l'ha immaginato Luana. E l'ha raccontato. Una bambina divenuta donna, una giovane donna con un segreto compromettente per l'equilibrio di un'intera famiglia, e il rapporto viscerale d'infinito amore fra una madre e una figlia (da cui il titolo del libro, espressione tipica per designare la quantità di affetto fra genitori e figli, spesso usata dalle mamme in risposta ad una richiesta d'amore).

Nei minuti appena precedenti l'inizio della presentazione guardo l'autrice seduta al tavolo nero, con il suo libro tra le mani e il microfono. Sfoglia il volume, lo guarda dentro, legge aguzzando la vista in certi passaggi, mostrando l'attenzione che un lettore avrebbe alla sua prima volta. Dimostrando la capacità di stupirsi ancora per le sue stesse parole. Pensavo: ma se il libro l'ha scritto lei, cos'altro vuole scoprirci? Lo saprà a memoria. Lì ho capito che uno scrittore stabilisce un rapporto quasi umanizzato con ciò che ha scritto, e forse continua a parlarci, anche quando lo conosce benissimo, per scoprirne cose nuove. Proprio come fa una madre con una figlia. In buona sostanza, Luana Licata nei minuti appena precedenti l'inizio della presentazione, Quanto il mondo ce lo stava già presentando. Florinda Saieva ha guidato sapientemente il dibattito nella Sala Nera, intervallato dalla proiezione del book trailer realizzato da Corrado Boschetti e del quale consiglio la visione. (http://www.youtube.com/watch?v=m9-nimznMYM). Mi piace guardare lei e Florinda che si sorridono complici e si scambiano opinioni e visioni sull'amore familiare e non. Quante volte eventi di questo genere mi hanno trasmesso solo un triste sapore asettico di formalità e cultura stantia. Stavolta no. Stavolta mi sento a casa, dentro il suo libro e respiro condivisione emozionale. Solo quella.
Le ho chiesto cos'ha fatto quando ha capito che la storia che aveva scritto sarebbe potuta diventare un libro,  M'ha risposto:
L'ho fatto leggere a uomini, non a donne. Gli uomini sono più sinceri, si commuovono meno.
La penso come lei, ma non glielo dico. Seconda cosa che scopre leggendomi. Potrei dire che è stata una bella presentazione, ma dirò che è stato un incontro fortunato perchè qualcosa mi dice che Luana la rivedrò, per un motivo o per un altro. Forse solo leggendola, forse sorseggiando del buon vino.
Quanto il mondo ve lo consiglio non già perchè io l'abbia letto, ma se il solo sentirne parlare m'ha dato i brividi, immagino il resto.
Brava Luana.

giovedì 3 ottobre 2013

Cerco un lavoro: il mio.

Dopo anni passati a fare la cosiddetta gavetta, stamane - fra un caffè iperattivo e un altro - mi viene in mente che quello che faccio, vorrei farlo proprio di lavoro. E per lavoro s'intenda quella cosa in cui uno fa delle cose, spesso anche con una certa passione che gli rende tutto più piacevole ma non per questo nullo, e poi qualcun altro gli dà dei soldi per quello che ha fatto. Non necessariamente tanti, ma comunque glieli dà.

Ora, potrei sciorinare una serie di luoghi comuni che includono la situazione economica italiana attuale e la crisi e una quantità infinita e spropositata di tristi bla bla bla, che andrebbero a giustificare del tutto la gente furbetta che sfrutta - e lo ripeto sfrutta - il nostro intelletto o qualsiasi nostro talento, con la motivazione dell'esperienza, del bagaglio, e così via discorrendo con una scelta di appellativi da fare invidia alla Treccani, utilizzati solo in funzione di edulcoranti ad una sola triste verità: non ci volete pagare. Nel novero delle persone  che mi hanno retribuito per la mia vera professione, posso collocare solo due persone, due persone che stimo e alle quali voglio bene. Poi basta.

L'altro giorno ero al bar con Monica, si beveva lei ed io un caffè macchiato e si mandavano giù a grandi bocconi le nostre confidenze degli ultimi mesi. Quando dalla scaletta principale che conduce all'ingresso del bar, ecco arriva una giovine riccia e rossa - per la verità di bell'impatto - che si ferma a salutare la mia compagna di colazione. Monica ci presenta, io adesso non ricordo il suo nome ma per convenienza al dialogo che vado a riportare la chiamerò Amica Riccia Rossa. Ecco qua:
Monica: Ciao Amica Riccia Rossa, come stai? Ti presento Valentina.
Amica Riccia Rossa: Sì, la conosco. Lei è quella che scrive su Facebook.


Ok, da lì parte la mia precisa volontà di non essere quella che scrive su Facebook. 
Mi piace quando si parli di questo blog, questo assolutamente sì, ma adesso voglio essere quella che scrive per un giornale. Un giornale di carta, che si sfogli la mattina mentre si addenta un croissant, o che si posi sul tavolo tornati da lavoro. Io ho voglia di raccontare la gente alla gente, le cose di ogni giorno e le cose di una volta a settimana, quelle straordinarie, quelle super ordinarie. E per farlo, per farlo di lavoro, sarebbe anche onesto se qualcuno mi retribuisse per farlo. Come fanno con gli altri, gli altri giornalisti, intendo. O siete tutti meglio di me, dunque a voi vi pagano e a me no? Non credo. E scusate se sto sgrammaticando in maniera piuttosto regionale e criticabile, ma stavolta ci stava. Anzi vi dirò di più, se ad ogni like che mi piazzate - graziosamente, affettuosamente, graditamente - su Facebook mi entrasse un euro, non avrei neppure bisogno di scrivere tutta questa boiata sulle mie disavventure lavorative e professionali.

Perchè non scrivi a qualcuno? Mandi il tuo curriculum? , mi ha chiesto l'altra sera Andrea, pragmatico.
Ha ragione, io ci ho provato, davvero. Il punto è che ho fatto così talmente tante cose gratis, a tempo perso, per hobby, per sport, per esperienza, per gavetta, per bagaglio, che adesso io neppure me le ricordo più. Una cosa è sicura: ho fatto di tutto. Dalle interviste ai panini, dagli articoli agli aperitivi e dalle trasmissioni radiofoniche a pulire i cessi nei quali qualcuno aveva ributtato l'anima de li mortacci sua dopo essersi preso una sbronza. Tutto. E al primo che mi chiede che tipo di esperienza ho, cosa dovrei dire? Che mi manca solo il dog-sitting e un Master in Galoppo Equino, e siamo a posto. Ragazzi, davvero, voi continuate a regalarmi Moleskine che rimangono vuote, penne il cui inchiostro si secca all'interno, e io continuerei volentieri a fare interviste al mondo intero, ma l'Università non si paga da sola. Ah, ecco, dimenticavo: sono una laureanda in Lettere. Lettere Moderne, per la precisione e sì, manca veramente poco e poi alloro, confetti rossi, mamme contente, feste e festini e alcool a volontà.
Ma adesso cerco un lavoro: il mio. E so che posso farlo bene qua, dal luogo geografico dal quale vi scrivo: Favara, provincia di Agrigento, luogo in rinascita artistica e culla di una nuova economia in crescita. Voglio fare la giornalista a Favara, o ad Agrigento, comunque quello che voglio sul serio e non dover per forza mettermi su un aereo e andare a raccontare i fatti di altri, di un'altra parte d'Italia, che di fatti nostri da raccontare ne abbiamo anche troppi. Troppi che non finiscono mai. Mi sono un po' stancata di servire caffè, o prendere ordinazioni o sturare cessi: io voglio scrivere. Raccontare. E basta.
Questo è il mio curriculum. In più ho anche una maturità classica che m'avevano detto che era la cosa più prestigiosa e invece sticazzi. Stigrancazzi.

Io ho un lavoro ce l'ho. Se qualcuno lo vuole, eccolo qua.