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giovedì 3 ottobre 2013

Cerco un lavoro: il mio.

Dopo anni passati a fare la cosiddetta gavetta, stamane - fra un caffè iperattivo e un altro - mi viene in mente che quello che faccio, vorrei farlo proprio di lavoro. E per lavoro s'intenda quella cosa in cui uno fa delle cose, spesso anche con una certa passione che gli rende tutto più piacevole ma non per questo nullo, e poi qualcun altro gli dà dei soldi per quello che ha fatto. Non necessariamente tanti, ma comunque glieli dà.

Ora, potrei sciorinare una serie di luoghi comuni che includono la situazione economica italiana attuale e la crisi e una quantità infinita e spropositata di tristi bla bla bla, che andrebbero a giustificare del tutto la gente furbetta che sfrutta - e lo ripeto sfrutta - il nostro intelletto o qualsiasi nostro talento, con la motivazione dell'esperienza, del bagaglio, e così via discorrendo con una scelta di appellativi da fare invidia alla Treccani, utilizzati solo in funzione di edulcoranti ad una sola triste verità: non ci volete pagare. Nel novero delle persone  che mi hanno retribuito per la mia vera professione, posso collocare solo due persone, due persone che stimo e alle quali voglio bene. Poi basta.

L'altro giorno ero al bar con Monica, si beveva lei ed io un caffè macchiato e si mandavano giù a grandi bocconi le nostre confidenze degli ultimi mesi. Quando dalla scaletta principale che conduce all'ingresso del bar, ecco arriva una giovine riccia e rossa - per la verità di bell'impatto - che si ferma a salutare la mia compagna di colazione. Monica ci presenta, io adesso non ricordo il suo nome ma per convenienza al dialogo che vado a riportare la chiamerò Amica Riccia Rossa. Ecco qua:
Monica: Ciao Amica Riccia Rossa, come stai? Ti presento Valentina.
Amica Riccia Rossa: Sì, la conosco. Lei è quella che scrive su Facebook.


Ok, da lì parte la mia precisa volontà di non essere quella che scrive su Facebook. 
Mi piace quando si parli di questo blog, questo assolutamente sì, ma adesso voglio essere quella che scrive per un giornale. Un giornale di carta, che si sfogli la mattina mentre si addenta un croissant, o che si posi sul tavolo tornati da lavoro. Io ho voglia di raccontare la gente alla gente, le cose di ogni giorno e le cose di una volta a settimana, quelle straordinarie, quelle super ordinarie. E per farlo, per farlo di lavoro, sarebbe anche onesto se qualcuno mi retribuisse per farlo. Come fanno con gli altri, gli altri giornalisti, intendo. O siete tutti meglio di me, dunque a voi vi pagano e a me no? Non credo. E scusate se sto sgrammaticando in maniera piuttosto regionale e criticabile, ma stavolta ci stava. Anzi vi dirò di più, se ad ogni like che mi piazzate - graziosamente, affettuosamente, graditamente - su Facebook mi entrasse un euro, non avrei neppure bisogno di scrivere tutta questa boiata sulle mie disavventure lavorative e professionali.

Perchè non scrivi a qualcuno? Mandi il tuo curriculum? , mi ha chiesto l'altra sera Andrea, pragmatico.
Ha ragione, io ci ho provato, davvero. Il punto è che ho fatto così talmente tante cose gratis, a tempo perso, per hobby, per sport, per esperienza, per gavetta, per bagaglio, che adesso io neppure me le ricordo più. Una cosa è sicura: ho fatto di tutto. Dalle interviste ai panini, dagli articoli agli aperitivi e dalle trasmissioni radiofoniche a pulire i cessi nei quali qualcuno aveva ributtato l'anima de li mortacci sua dopo essersi preso una sbronza. Tutto. E al primo che mi chiede che tipo di esperienza ho, cosa dovrei dire? Che mi manca solo il dog-sitting e un Master in Galoppo Equino, e siamo a posto. Ragazzi, davvero, voi continuate a regalarmi Moleskine che rimangono vuote, penne il cui inchiostro si secca all'interno, e io continuerei volentieri a fare interviste al mondo intero, ma l'Università non si paga da sola. Ah, ecco, dimenticavo: sono una laureanda in Lettere. Lettere Moderne, per la precisione e sì, manca veramente poco e poi alloro, confetti rossi, mamme contente, feste e festini e alcool a volontà.
Ma adesso cerco un lavoro: il mio. E so che posso farlo bene qua, dal luogo geografico dal quale vi scrivo: Favara, provincia di Agrigento, luogo in rinascita artistica e culla di una nuova economia in crescita. Voglio fare la giornalista a Favara, o ad Agrigento, comunque quello che voglio sul serio e non dover per forza mettermi su un aereo e andare a raccontare i fatti di altri, di un'altra parte d'Italia, che di fatti nostri da raccontare ne abbiamo anche troppi. Troppi che non finiscono mai. Mi sono un po' stancata di servire caffè, o prendere ordinazioni o sturare cessi: io voglio scrivere. Raccontare. E basta.
Questo è il mio curriculum. In più ho anche una maturità classica che m'avevano detto che era la cosa più prestigiosa e invece sticazzi. Stigrancazzi.

Io ho un lavoro ce l'ho. Se qualcuno lo vuole, eccolo qua.

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