E tu sei il numero:

mercoledì 28 maggio 2014

Un banana daiquiri non ha mai fatto niente.

Stavo fissando - da giorni - questa pagina bianca in attesa di un segno qualsiasi che mi aiutasse a raccontarvi una storia, una storia attuale. Il segno non è arrivato fino a questa sera, che ero in balcone e il clima, misto e confuso, m'ha riportato indietro al duemilanove forse dieci: esterno, Catania, tarda sera di Maggio, tavolo di un pub qualunque di Piazza Teatro.
Vestivamo a strati, col cotone leggero sotto e quello forte sopra, i jeans e le scarpe aperte perchè a Catania fa caldo prima, e dopo fa sempre caldo di più. L'aria ferma, turbata  da qualche alito d'aria marina proveniente da S.Giovanni Li Cuti, ci giungeva fresco ma centellinato, al punto di rinfrescarci la fronte per pochi minuti. Poi se ne tornava al mare, a guardare la luna. Eravamo quattro amici al bar che volevano cambiare il mondo,smezzandosi una Castello gelata al centro di una città che sapevamo non nostra. O almeno io sapevo non mia, se non di passaggio, temporanea. Non ho mai amato veramente Catania, se non per due o tre cose di Catania, e credo che il motivo sia il costante sentimento di nostalgia e mancanza di casa che mi ha accompagnato per il quasi quinquennio in un cui ho vissuto all'ombra do Liotru. Svegliarsi pensando a Favara e tornare a Favara desiderando che i giorni di vacanza non finissero mai e invece, puntualmente, finivano. Fin quando non ho deciso di fare della mia vita una bella vacanza a Favara, ma piena di cose poco riposanti. E allora, tutto sommato, ha funzionato.

Ma torniamo a quella sera di quattro barra cinque anni fa.
Al mio stesso tavolo, proprio di fronte a me, stava seduto un ragazzo di cui fingerò di non ricordare il nome, alto e grasso, il cui grasso strabordava  dagli interstizi ovali tra bracciolo e schienale della sedia di vimini, calava fuori lateralmente come pasta di pizza sciolta e cremosa quasi a toccare il pavimento nero della Piazza. Gesticolava con una LaCoste consumata sul colletto da finto proletario, trattando i temi più disparati con una dimestichezza che all'epoca doveva essermi sembrata buona informazione e doveva avermi messo vagamente in soggezione, dato che ricordo i contorni della sua figura molto più dilatati di quanto essi siano realmente. Mi era sembrato grande, e al momento di ordinare, aveva lasciato scappare fuori dalle labbra insalivate: per me un banana daiquiri.
Un banana daiquiri, un banana daiquiri,
continuavo a dirmi in testa. Io appena ventenne, un banana daiquiri non l'avevo bevuto mai e anche adesso, che il mio futuro marito è un bravo barman, devo dire che non ho avuto il piacere. Forse perchè ormai lo collego alla figura di cui sopra, dando origine a quel rifiuto spazio-temporale che mi impedisce di sorbire la bevanda.
Comunque il tizio dopo cinque minuti aveva il cocktail sotto il naso e lo guardava che manco un sessantenne col televisore su Tele Monte Carlo alle quattro di notte. C'era pure una ciliegina candita sopra, roba che rendeva il tutto un perfetto preludio ad un gravissimo porno di bassa qualità o ad un qualsiasi programma di Amanda Lear. Il borghesotto proletario sorseggiava molto coerentemente il suo banana daiquiri e guardava noi tarde matricole sperando di accaparrarsi le nostre ingenue scelte elettorali in ambito universitario, incentivando così la sua promettente carriera politica. Ancora oggi al tg nazionale non l'ho sentito mai una volta e credo d'esserne colpevole considerando che la sua promettente carriera politica non l'ho incentivata neppure per 'sto cazzo.
Avidamente raggiunse il fondo del bicchiere, tirando su dalla cannuccia con la voracità tipica del porco - e mi rammarico dell'immeritata offesa all'amico suino - e galvanizzato dall'alcool, che non aveva fatto altro che amplificare la sua logorrea, aveva tirato fuori il cavallo di battaglia usato ed abusato dai migliori venditori di fumo del globo: il cambiamento. 

Quella parola me la porto dentro da quella sera, sul fondo della mia coscienza, chiedendomi se per caso in questi anni ho effettivamente contribuito a inserire un reale tassello in questo difficile puzzle, cioè quello di migliorare il posto in cui vivo o se somiglio un po' a lui, il tipo con la polo che ciucciava ciliegie candite e non mi diceva niente di nuovo. Sul fondo della mia coscienza c'è un residuo di incompiutezze e promesse mantenute in parte e che mi fanno sentir fortunata di non essere dalla parte del promettente, ma dalla parte di chi attivamente ha continuato a pensare ad una reale soluzione che potesse girare nuovamente una ruota ferma.  E questa mattina, mentre ero al lavoro, un episodio mi ha svelato con chiarezza tutto:
un gruppo di una ventina di persone di mezza età era guidato dalla mia amica Lidia verso la Chiesa Madre di Favara. Vedendola, ho aperto la porta e mi sono fermata sull'uscio per starla a sentire, come parlava di Favara ad un gruppo che presumibilmente era appena stato in visita a Farm Cultural Park. Lidia ha guardato il salone, le ho alzato la mano e lei sorridente ha detto: ecco signori, da quella parte una di noi, una di Farm.
A me è salito il magone, quaranta mani alzate solo per me, e solo perché ero una di Farm. 

E sul fondo della mia coscienza molte guerre hanno trovato pace, perchè ho capito che il vero cambiamento non è fatto di parole in una piazza portate via dal vento verso il mare, dove annegano, ma è fatto di parole a cui seguono fatti a cui seguono gruppi di venti turisti tutti contenti di vedere il centro di Favara.
Vi ricordate Favara Urban Network? Vi ricordate di noi?
Noi siamo tornati a parlare di bellezza e di Favara, abbiamo individuato dei piccoli posti e li abbiamo immaginati ripopolati di bambini che giocano, adulti che passano e si fermano e ci passano del tempo, e gruppi di persone fantasiose disposte ad impiegare sette giorni del loro tempo per proporre un progetto di rivalutazione di questi piccoli posti vuoti, trasformandoli in pochi metri di felicità urbana incastonati tra i palazzi della città. Come un fiore dalla roccia, come una macchia di colore in mezzo al cemento. Nasce così il progetto Arripigliala, di cui vi darò maggiori dettagli nei prossimi giorni. Per adesso ve ne parlo e cominciate a farvi un'idea: cosa credi si possa fare in una settimana in due metri di asfalto? Noi ti diamo il materiale, tu e i tuoi amici ideate, papà e zio ti danno un mano a tirare su il progetto. Ed è fatta. Un'area cambiata è un'area salvata.

Se il posto dove vivi non ti piace non devi per forza lasciarlo, basta farlo somigliare a quello in cui ti piacerebbe vivere. Non stare seduto a convincere gli altri che la tua idea è buona, mettila in atto e sarà migliore. Fa in mondo che sul fondo della tua coscienza, la sera, rimanga un grumo di colore, la consapevolezza d'aver fatto più che d'aver detto e quando ti sentirai parte viva del nuovo vestito che la tua città ha indossato nel corso degli anni, capirai d'aver vinto tu. Il vento del cambiamento soffia su Favara ed è un vento che, nonostante tutto, nessuno ha fermato.

venerdì 9 maggio 2014

Due chiacchiere con Tommaso: andare ma tornare, l'amore per la Canicattì contadina.

Da qualche mese lo tengo d'occhio sul social dei social, e ho sempre letto con attenzione i suoi pensieri su questo posto, la Sicilia, in particolare su Canicattì, il paese in cui è nato e cresciuto.

Allora gli ho scritto un mail, a Tommaso Mancuso, il mio amico riccio e simpatico, studente di Medicina a Palermo, e gli ho chiesto di raccontarmi un po' di roba. Roba da Semilascinonvale, s'intende, chè l'avevo capito che qualcosa di grosso sarebbe uscita fuori. Non era solo qualche status su Facebook, e non era neppure la retorica in cui ci si imbatte spesso parlando coi ventenni; avevo intravisto un germe d'affetto profondamente vero e carnale nell'attaccamento ai suoi luoghi, quindi mi fa un certo piacere riportare fedelmente la conversazione che abbiamo avuto. Ecco qua.

Tommi, raccontami un pochino cos'è che ti piace e cosa ti fa incazzare del vivere qui. 

Fin da piccolo ho visto la Sicilia, e Canicattì in particolare, come il mio futuro una terra in cui inventarsi ogni giorno, dalle mille potenzialità, fatta di gente onesta e tanta gente mafiosa nel Dna.
Qui sto bene perchè, a parte le risposte scontate del tipo: c'è la mia famiglia e i miei amici, - che poi non è così vero perchè con gli anni stanno andando via parecchie persone a me care, in giro per l'Italia e l'Europa - io sto comunque bene perchè la mattina mi alzo col sorriso e con la voglia di mettermi sempre in gioco. Qui è una lotta e a me piace lottare poi, sinceramente parlando, alcune sono cause realmente perse, sono lotte perse a priori, e altre invece si possono e si devono vincere. Nel concreto la piaga che si deve sconfiggere non è una piaga assurda ma è la lotta al miglioramento personale, perchè io dico sempre che si è troppo presuntuosi a pensare di cambiare la gente, bisogna cambiare se stessi, migliorarsi, e in automatico si migliora la società. Se cerchiamo di cambiare gli altri ci stiamo imponendo su personalità sconosciute, e perlopiù quando ci illudiamo di conoscerle le stiamo cambiando a nostro modo. Stiamo facendo un grande danno. Ho dei sogni su Canicattì stessa, mi piacerebbe vedere nascere una zona di piccole industrie, di medi artigiani che sanno fare tanto bene il loro lavoro e che gli sia data la possibilità di fare business a livello nazionale e internazionale, come meritano.

Qual è uno dei posti di Canicattì o dintorni che vorresti vedere più valorizzato, sfruttato, con qualche iniziativa o azione artistica, che so, qual è?

Io con l'arte siamo due cose diverse, ho tanti amici e amiche artiste ma io di arte non ne capisco un fico secco, però mi piace tanto e investirei proprio sul bello di Canicattì. Un mio grande sogno è pure vedere rinascere Canicattì da quello che è sempre stato: un paese dalla tradizione religioso-agricola. I miei due nonni hanno portato avanti famiglia, con sei e otto figli, oltre i loro hobby avevano le campagne e hanno permesso ai loro figli - miei zii - di studiare e trovare lavoro qui e nel mondo. Mio nonno Tommaso, ad esempio, qualche anno fa ho scoperto essere tra i primi sindacati della Camera del Lavoro di Canicattì ma il suo appezzamento di terra non lo abbandonava mai e invece noi ripudiamo la terra, come un lavoro non tanto figo. Siamo tutti contadini a Canicattì, nel profondo della nostra anima e ne sono fiero.

Dovremmo tornare più a contatto con la terra, sono d'accordo. A me piacerebbe averla, una casa con l'orto e una piccola vigna. Tu come la vivi, la campagna?

Io la campagna vera e proprio la vivo per la mia ricerca interiore io vivo la campagna come villegiatura in realtà, non voglio fare il figo che aiuta il padre, ho sempre fatto altro per aiutare in famiglia, ho cercato l'utile e il dilettevole alcuni non concepiscono la mia spiritualità ma sono molto spirituale adoro la meditazione ma soprattutto la ricerca interiore e quando leggo soprattutto o quando scrivo i miei pensieri vado in campagna nell'assoluto silenzio e il cane che mi fa da guardia.

Come ti vedi fra cinque anni, e dove soprattutto?

Fra cinque anni non sarò a canicattì e forse nemmeno in Italia, ma voglio sottolineare che andrò via per un miglioramento della mia formazione da futuro medico, voglio investire e internazionalizzare la mia formazione e spero tanto che l'Italia, nel frattempo, abbia la coscienza di farci tornare perchè è un investimento sia per me che per la nostra terra. Ho tanti amici in Erasmus e altri amici che lavorano all'estero, alcuni di loro rimarranno fuori e altri torneranno, e saranno delle bombe di successo, se l'italia gli darà credito. Vado, prendo e torno. E comunque fra 5 anni mi vedo Medico, vorrei esserlo con tutto il mio cuore, mi batte ancora il cuore come quando ho superato il test per l'accesso.

Raccontami la storia più bella, legata alla professione medica, che hai vissuto o sentito fino ad oggi.

Da piccolo, ciò che si chiede a tutti i bambini è "Cosa vuoi fare da grande?", e ognuno di noi naturalmente ha delle visioni celestiali di ogni professione. Io ero indeciso se fare l'attore, il presentatore o il cantante, tutto in uno, o il medico perchè una volta all'anno, d'estate, tornava qui in Sicilia un mio zio, il fratello di mio padre, e ogni volta che tornava era e continua ad essere una grande festa. Non capivo mai perchè casa mia si riempisse di gente, un via vai continuo di persone che mio zio accoglieva gratuitamente perchè è uno specialista di chirurgia e microchirurgia nel campo dell'ortopedia. In pratica passava le sue vacanze a fare consulenza medica totalmente gratuita e la cosa che mi faceva impazzire era che le persone - ero davvero piccolino - se ne andavano col sorriso ma venivano col viso pieno di dolore.Lui gli ridava la speranza. Ora non voglio che sia visto come un santone anzi, è una persona umilissima ma è questo che il medico che deve essere: una persona che umilmente faccia il proprio lavoro perchè tanto il risultato è quando le cose vanno per il meglio: dare gioia di vivere. Adesso grazie alla sua umiltà è Cavaliere del Lavoro della Repubblica Italiana in Germania, Vincenzo Mancuso.

Lo sapevo che sarebbe stata una bella chiacchierata, Tommi. Augurami qualcosa. A me e a chi ti sta leggendo.

Si è persa l'abitudire di benedire le persone, di essere positivi, di aggiustare invece di rompere e cancellare, auguro a tutti di guardare il mondo brutto e bastardo con gli occhi di un bambino, e ad ogni sgarro sorridere come risposta al tuo peggior nemico, perchè se sei positivo l'universo, o Dio, Buddha o chi per loro risponderà positivamente, qualsiasi religione tu sia o non sia.

Alle parole di Tommaso non mi sento di aggiungerne neppure una, sarebbe superflua. Sono molto felice, grazie Tommi.





domenica 4 maggio 2014

Il cliente ha sempre ragione, ma anche no.

Ok, dopo qualche settimana di troppo stop, m'ero ripromessa di ricominciare a scrivere parlando di cose e persone interessanti, tipo quelle che ho incontrato in occasione del primo maggio alla Farm; tanti amici, vecchi e nuovi, che con le loro innovative proposte di progettazione siciliana e non, m'hanno ricaricato notevolmente. E avrei anche potuto scrivere del mio amico Tommaso, canicattinese brillante e giovane studente di Medicina, o di Alessandro e la sua Edicola dell'Innovazione o ancora del mio amico Tommy, neo-zio di due gemellini (ne approfitto per fare gli auguri, ancora una volta, a Melania e Morgan) e di come porti alta l'happiness flag anche alle Mauritius, insieme alla sua energica crew.
Oggi avrei potuto riaprire il blog e scrivere di molte persone intelligenti e buone e appassionate di qualcosa, eppure sento la necessità - scusandomi con ognuno di loro per aver spostato il focus su qualcosa di molto meno meritevole - di raccontare quanto accadutomi ieri, a lavoro.

Dopo il grande successo - insomma grande, normale diciamo ecco - riscosso da Don't call me shampeesta mi ritrovo nello stesso posto, il mio blog, a parlare di una persona che s'è creduta chissà chi  e s'è meritata una lavata di capo, in tutti i sensi, e dall'alto dei suoi 'anta anni m'ha sputato addosso un veleno che manco un black mamba che ha ingoiato sette cupcake al cianuro purissimo. Vi racconto. La signora in questione, dopo un'iniziale scenetta al lavatesta in cui pretendeva d'esser sbrigata, ch'era stanca e aveva un sacco di cose da fare, stravolgendo ritmi e organizzazione interna di noi dipendenti, non s'è calata la nostra cortese richiesta di sedere e aspettare un momento, chè fra poco ci saremmo occupate di lei. E da qui, dalla premessa, io voglio sottolineare la cortesia della nostra risposta, mia e della mia collega. Seguono rimostranze, petulanze, denunce di poca professionalità alla titolare e tanta roba bella che neppure il venerdì mattina al mercato di Favara. La signora comunque viene celermente sciacquata e accompagnata in sala dove la titolare si sarebbe occupata di lei, si legga però: round secondo di lamentele sul nostro operato e accuse contro un'altra cliente che, ritenendolo opportuno, s'era inserita nel discorso cercando di spiegare alla signora che ogni sua rimostranza era fuori luogo dato il nostro corretto svolgimento di questo e quello eccetera eccetera.
A questo punto della storia mi fermo e mi chiedo se sia giusto continuare col racconto, se sia il caso di riportare per intero ogni passaggio rendendo il tutto molto meno fluente. Decido di passare al clou dell'azione, per non tediarvi e per non trasmettere via web l'ulcera gastrica provocatami dal continuo brusìo, acido e cattivo della signora, in sottofondo ad una mia diretta conversazione con la mia datrice di lavoro.

- Signora, perfavore sto parlando io, mi lasci organizzare due cose e poi può dire quel che vuole. - , queste sono state all'incirca le mie parole, pronunciate con calma, pacatezza, normalità. Con giustizia: stavo parlando, dovevo lavorare, cazzo fammi finire e poi continui il tuo vomito di assurde e sterili polemiche per uno sciampo fatto quattro minuti fuori dal tuo planning pomeridiano. Avrei potuto dirle: e allora signora bella, c'ho venti persone che urlano che tocca a loro, e le devo calmare tutte, le potrei sedare ma credimi non m'è concesso dalla legge, e tu continui a interrompermi mentre io parlo con l'unica persona che può darmi ordini di gestione, per dire cosa? Cagate signora, cagate! Perchè t'avevamo trattato bene sin dall'inizio, come non meritavi, ma siccome sei la cliente e allora c'hai sempre ragione tu come tutte le altre, allora una deve tenere tenere tenere e impostare le orecchie su off perchè c'hai ragione tu, ma sai signora quando io sto facendo il mio lavoro bene, anzi più che bene perchè non è neppure il mio lavoro, tutta la tua spocchia non me la sto meritando e ti chiedo con cortesia di rimandare a dopo la tua immotivata lamentela del cazzo. Tanto ora tu te ne torni a casa, accendi rete 4 e sfoghi lo scazzo con una rissa di Forum, io continuo a star qua, a dar retta ad altre decine di persone per svariate ore e lo scazzo non mi passa, no.

Avrei potuto dirle tutto questo, e chi mi conosce sa che aver resistito tacendo è stato un gran sacrificio, ma ho detto solo, stringendo i denti: - Signora, perfavore sto parlando io, mi lasci organizzare due cose e poi può dire quel che vuole. - niente di più, niente di meno. La reazione?
- Senti tu, non hai per niente educazione lo sai? 

Segue nel mio stomaco tempesta biblica, tuoni e lampi, schiocchi di merli frusci di serpi per citare uno dei versi più assonanzati della nostra letteratura italiana, e una serie di desideri non avverati che qui non riporto per non inneggiare alla violenza e perchè io sono peace&love e mi piacciono i bambini e non vorrei che fra vent'anni i miei figli, leggendo le pagine ingiallite di questo blog, sappiano che la loro madre è capace di partorire tali sevizie con la fantasia. A questo punto la storia si fa pulp.
- Come scusi, non ho per niente educazione?
- Sì, esatto, è proprio così, non ne hai.

Bene, avrei potuto risponderle:
Ma come si permette? I miei genitori m'hanno dato un'educazione con un rigore che neppure il sergente Hartman che punisce Palla di Lardo perchè gli trova una ciambella nascosta, e lei viene qua a dirmi che non
ho educazione? La vera maleducata è lei signora... io... io...ma come si permette...sono una dottoressa (ah, Laurea se solo non t'avessi già e non dovessi aspettare Novembre!) ...i miei genitori... che vergogna... maleducata io, ma come si permette davvero!
Ed è stato esattamente quello che ho detto, e i puntini sono da tradurre con l'inizio dei miei singhiozzi, non d'imbarazzo e neppure di rabbia, ma di dolore. Dolore pensando ai sacrifici di mio padre e mia madre derisi da una signora che aveva solo qualcosa da recriminare su uno sciampo.
Poi io glielo volevo anche raccontare che alle elementari ero sempre al primo banco e un anno vinsi il premio educazione e un pacchetto di caramelle, che alle medie avevo sufficiente in matematica e ottimo in condotta e che al liceo studiavo poco ma l'unica cosa che mi salvava era l'educazione. Glielo volevo raccontare che ancora le mie maestre m'incontrano e si ricordano di me perchè ero buona più che brava, che ho sempre diviso il mio con gli altri e non chiacchieravo mai durante le lezioni, anche se sono logorroica. Che mio padre e mia madre m'hanno insegnato a dare del lei alle persone adulte, a non rispondere mai male, a parcheggiare bene, e a pagare le tasse, a masticare la gomma a bocca chiusa, a parlare a bassa voce al ristorante e non chiamarli mai MA e PA che è da ragazzi lavativi e non ho bisogno che dopo tutto questo, reputo ottimo lavoro che hanno fatto con me, arrivi una che neppure conosce il mio nome e si permetta di sindacare non sul mio, ma sull'operato di chi mi ha messo al mondo.

Cara signora, se t'ho risposto come t'ho risposto è perchè te la sei cercata e non importa che tu abbia cinquant'anni più di me, perchè hai mancato di rispetto non solo al mio sudore quotidiano di cui tu non hai neppure lontanamente idea ma hai sminuito con un aggettivo - maleducata - il lavoro di una famiglia intera. E no, non per quanto tu sei adulta e io sono pischella puoi dirmi quello che ti passa per la testa o se vuoi dimmi che ti bagno il colletto quando faccio uno sciampo o ti faccio il caffè troppo lungo, ma non mi pare che io e te, cara signora, abbiamo mangiato la pizza assieme che puoi dire che faccio rumore quando ingoio la Coca- Cola e non ho educazione. Ho cinquant'anni meno di te, dovresti essere tu a farmi d'esempio e invece che fai, t'arroghi il diritto di buttarmi più sotto della roccia madre della Terra, per cosa? Per uno sciampo. Dei capelli. Un'ora in un salone. E la vita? Te la chiedi com'è la vita vera? E quante volte si deve far finta di non aver capito bene, di non aver sentito, e sorridervi sempre perchè voi sganciate il cash? Ma che cosa ne sai tu signora dell'educazione, anche se sei più colta e navigata di me, ma che cosa mi vuoi insegnare se m'hai mandato a letto con le lacrime e ho dovuto nasconderle a quella Santa Donna di mia madre a cui ho detto solo: Sono stanca, scusami mamma.

Scusami se mi sono difesa e t'ho portato l'onore che meriti. Scusa se mi son fatta portare rispetto e scusami se ad un certo punto della storia non le ho più dato del lei, come m'hai insegnato tu.

P.S.: amici, lettori, quando andate in un negozio, un posto pubblico qualsiasi, un bar, un ristorante, abbiate l'accortezza di pensare che chi vi sta servendo non è uno schiavo, è un lavoratore. Ci sono anche quelli vastasi, ma quando beccate persone per bene comportatevi bene anche voi. Ognuno di noi ha la sua guerra personale, non tutto è giustificato dal denaro e da che parte a che parte viaggia. Dietro o davanti il bancone o un registratore di cassa, siamo prima di tutto esseri umani. Take care.