E tu sei il numero:

lunedì 9 dicembre 2013

Il ragazzo delle scale.

Stamattina ero sola a casa. E hanno suonato alla porta.
Ogni volta che sono sola a casa e suonano alla porta per me è una piccola tragedia personale. Specie se sono appena sveglia e in pigiama, che sono solita portare spaiato tra sotto e sopra, e dentro i calzettoni di lana (piccolo dettaglio atto a decapitare ogni testosteronica tendenza del lettore uomo).
Hanno suonato alla porta ed era il ragazzo che lava le scale. Ora, se c'è una cosa che le madri insegnano alle figlie femmine è che quando sono sole a casa non devono aprire a nessuno di cui non conoscano il nome, il viso, la paternità, il conto corrente, il numero di targa, la misura delle scarpe, la data di nascita e il gruppo sanguigno. Ancora prima di spiegarci cosa sono le mestruazioni, come ci si depila, che le donne non devono portare i baffi anche se Madre Natura puntualmente glieli regala, che dopo aver lavato le ascelle il deodorante è d'obbligo (concetto non sempre assimilato del tutto), che gli uomini sono tutti stronzi nati per cornificarci e fare regali scadenti per anniversari che in genere dimenticano, prima ancora di tutto questo: se io non sono in casa, non aprire a nessuno.

E io ho aperto. Anche se ero brutta e spettinata, tanto ormai il fidanzato ce l'ho e non devo preoccuparmi di essere perfetta pure al cesso, chè non si sa  mai quando arriva il Principe Azzurro.
Era il ragazzo delle scale che mi chiedeva se potessi riempirgli i secchi con l'acqua pulita per lavare, per l'appunto, le scale. Dice che aveva suonato a tutti nel palazzo e nessuno gli aveva dato conto, anche se sentiva i passi delle persone dentro. Dammi ci penso io, gli ho detto sorridendogli, perchè l'ho visto ch'era demotivato. Già lavare le scale degli sconosciuti e staccare le chewing gum solidificate sul pavimento non dev'essere esattamente come fare il manager di una multinazionale, poi se la gente non ti caga di striscio immagino che l'autoaffermazione professionale è ad un passo dallo schizzare alle stelle.
Poi, egregi signori inquilini, secondo voi questo signore come dovrebbe pulire gli spazi che voi insozzate se nessuno gli dà, non dico tanto, ma quantomeno l'acqua per riempire 'sti benedetti secchi?
E' come dire ad un cuoco giapponese: vieni a casa mia a preparare il sushi, e io ti metto a disposizione un pentolino bolli-latte e i coltelli di plastica della mensa della scuola.
O no?

Quand'ero piccola, volevo bene al signore che puliva gli spazi del condominio.
Arrivavo davanti casa con mamma, parcheggiavamo la 127 bianca, e se c'era il portone con entrambe le ante aperte e bloccate, voleva dire che c'era lui. L'androne era tutto lucido e ancora bagnato, con qualche chiazza asciutta, e un gran profumo di Fabuloso alla Lavanda. Ricordo ancora la bottiglia viola senza tappo, che usava come misurino per diluire il sapone nell'acqua. Entravo e lui mi sorrideva, aggiungendo qualche frase carina su come sono belli i bambini fino ad una certa età, o qualche simpatico commento sul mio riccio ribelle miseramente decaduto nel corso degli anni a cause di piastre Bellissime che di bello non hanno un cazzo.
Lo guardavo passare il mocio con forza, gli si gonfiavano tutte le vene degli avambracci e qualche goccia di sudore gli imperlava la fronte. Sapevo che faceva anche un altro lavoro e che aveva due bambini. Prima di conoscerlo ero convinta che tutti i papà andassero a lavorare in ufficio la mattina, che avessero una scrivania con un sacco di penne Bic nere e dei computer con Windows 95 coi quali i figli disegnavano i cani storpi con Paint e poi salvavano il file chiamandolo "auajsaaiaihalaf".
Mi spiegarono, i miei, che no, c'erano anche dei papà che per comprare le scarpe di Barbie con le lucine e il panino col prosciutto la mattina prima di andare a scuola, di lavoro tenevano pulite le cose che altre persone sporcano senza rispetto per gli altri. Alcuni, per esempio, si alzano la notte ancora col buio per raccogliere le cartacce che facciamo volare dai finestrini delle nostre auto in corsa e i pacchetti di patatine San Carlo ai bordi delle strade. E qualche volta non li pagano neppure per farlo. Il pensiero di quei papà che di notte si alzavano per raccogliere la mia spazzatura dalla strada, e pure a gratis, mi ha rubato qualche notte di sonno. E' da quel momento che la mia macchina è piena di cartacce e scontrini e giornali, che dopo un tot di tempo raccolgo e butto nei cassonetti. E' da quel momento che per terra, per strada, in giro, non butto neppure l'acqua.

Poi non l'ho più visto, il signore delle scale di quand'ero bambina. Mi piace fantasticare che quell'altro lavoro che faceva per arrotondare sia andato alla grande, gli abbia fruttato un sacco di soldi e adesso lui se ne sta comodamente seduto su un divano Frau nel salotto di casa sua, mentre qualcuno gli spiccia casa e sua moglie deve solo preoccuparsi di fare shopping o chiamarmi per prendere un appuntamento al salone.
Adesso, da noi, è stato rimpiazzato dal ragazzo delle scale, che ha due orecchini ma non è tamarro, che mi ha scaricato una quantità di scusa e grazie e buona giornata che neppure a Windsor la Vigilia di Natale, e a casa avrà una fidanzata che è fiera di lui e gli scrive messaggi su Whatsapp a cui lui risponderà quando avrà finito di profumarci il palazzo. E stasera mangeranno una pizza, coi soldini che lui s'è sudato, e guardandola si scorderà di quanto è stato brutto aver bussato a delle porte che sono rimaste chiuse.
E si scorderà anche di me, che la porta gliel'ho aperta ed era anche il minimo. Ma io non mi scorderò di lui perchè è finito in questo post senza saperlo ed è un modo come un altro per dirgli:

grazie.

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