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giovedì 20 marzo 2014

Non mangio pesce, però lo mangio. Storie di coraggio empedoclino.

Stamattina mi sono svegliata alle sei. Spontaneamente, energicamente, erroneamente.
Senza neppure l'esaurimento della palpebra da una tonnellata per colpa di una sveglia biologica troppo precoce. Niente, la serenità. Per cui mi sono guardata un po' intorno, dopo il caffè annacquato delle moke casalinghe, e le opzioni erano:
- dimezzare il K2 di maglioni maglioncini pantaloni jeans gonnelline e gonnelline di jeans, che popola il mio disabitato letto;
- ossigenare i polmoni all'aria aperta per un tempo superiore al mezzo minuto;
- scrivere un post-contenitore, più o meno inutile, su tutte le cose belle che ho fatto negli ultimi giorni (roba d'interesse seriale, insomma).
Indovinate quale ho scelto.

Come dicevo, sono sveglia da quasi due ore, ed è veramente troppo presto anche per arrivare presto a lavoro. Più presto del presto, però c'è un sole incredibile ed è una giornata eccessivamente bella per essere ignorata. Mi comunicano dalla regia (ciao Fede) che oggi, alle 17.57 è ufficialmente primavera. Io credevo arrivasse domani, ma la fonte mi pare piuttosto attendibile e poi il solo pensiero di aprire una scheda Google solo per verificare la notizia, m'invecchia di vent'anni.
Dormo poco, dormo presto, e ho il sonno leggero, come le nonne; io non prendo la Cardioaspirina e neppure le pillole della pressione che stimolano la diuresi e fanno fare tanta plin plin, ma insomma siamo là.
Io credo che a farmi svegliare così bellamente di buon'ora sia stata la caponata col pesce spada di ieri sera.

Ok, parentesi enogastronomica, credo la prima di tutto il blog.
Com'è ampiamente noto ai più, il mio uomo - oltre ad essere un'eccellente buona forchetta - è uomo di mare. E si sa che al mare si mangia bene, non solo il pesce, si mangia bene tutto. Perchè c'è il mare che ti apre l'appetito, quindi ovunque arrivi c'hai già l'effetto post-giornata in spiaggia anche a Novembre, e poi perchè se vai nel posto giusto trovi persone ai fornelli che il tuo appetito non possono fare altro che triplicarlo, a discapito del gluteo già di per sé soggetto ad un'inarrestabile gravitazione verso il basso.
Come già detto circa le abitudini palatali del mio adoratissimo e biondo uomo, quando si mangia e si beve con lui, si mangia e si beve bene, e allora siccome vi ho scritto spesso di Favara - e 'sti cazzi, aggiungerei - oggi vi scrivo directly from Porto Empedocle: beaches, fishes and sun everyday. Come da buona didascalia tipica da tourism social media, in inglish plis, anche se presso comune agrigentino.
Di questi due fratelli Ravanà però vi devo dire due cose: la prima è che se sono bravi, bravoni, e la seconda è che io non mangio pesce, però - da loro - lo mangio. Tipo ieri sera che ho mangiato questa cosa che, ecco, è difficile da descrivere bene bene a parole ma io ci provo: caponata con pesce spada a tocchetti passato in una panatura lieve ma corposa. Un mix di consistenze e sapori che ti chiamano Sicilia in tutte le lingue del mondo. Ora io non scrivo di cucina e neppure so fare di quei giochetti da menù di ristorante che scrivono brodino di pollo in francese e te lo fanno sembrare una cosa prelibata e fighissima, ma sempre brodino di pollo è. Non ce la so. Vi posso dire le cose come sono, e questa storia della caponata col pesce spada, ve lo giuro, ha un perchè grande come l'Empire State Building.
Ovviamente, da brava mangiatrice di carne, ho chiesto la carne e Alessandro m'ha fatto il filetto di manzo con crema di formaggi e miele. Roba che ciao donne è arrivato l'arrotino proprio e che l'orgasmo in confronto vi sembrerà un grattino sulla pianta del piede. Credo d'aver reso l'idea. Volevo scriverne in maniera un pochettino più seria, come meritano, ma siamo su Semilascinonvale che di serio non c'ha neppure il nome. Si meritano anche che io scriva del loro bel ristorante, che si chiama Salmoriglio e ha il mare della Scala dei Turchi affrescato dappertutto - poco suggestivo, fra l'altro, il mare della Scala dei Turchi - e un'architettura d'interni e d'esterni che fa solo da cornice ad un contenuto che definirlo eccellente è riduttivo. Si meritano anche che io scriva che si trova in via Roma a Porto Empedocle, proprio al centro, e no, non m'hanno pagato per scrivere di loro, hanno solo catturato la mia gola e la mia simpatia  - perchè sono anche simpatici, oltre che bravi - e se passate da 'ste parti vi ci porto, e mangio con voi, tanto ormai il mio dietologo ha strappato la laurea e s'è dato alla pastorizia intensiva.

Comunque, per concludere il Marina tour, visto che oggi vi scrivo directly from, come specificato poc'anzi non posso non scrivere del Paradiso dell'ipercaloria empedoclino. Un bakery di provincia che di provinciale non ha nulla: Cotti al Forno. Non sono per niente di parte quando gli attribuisco uno dei best coffee ever, essendo Gabriele colui il quale vi piazza la tazzina sotto i nasi addormentati delle sette del mattino sette giorni su sette. Qualche volte anche il pomeriggio. Immaginate un bancone, un bancone infinito, pieno di tutte le ricotte immaginabili inserite in tutti gli involucri di pan di spagna e sfoglia immaginabili, e poi pizze e calzoni fritti e prosciutti e formaggi filanti e pane, pane con le olive, pane col pomodoro, pane col pane, pane con tutto, e vini, pareti intere di vini, bianchi rossi prosecchi, calici bicchieri tazze e piatti. Che bellezza.
Eppure di questo posto la cosa che preferisco, dopo Gabriele s'intende e dopo la torta Tirabaci - è il signor Crapanzano, il Principale, ovvero chi ha tirato su tutto e l'ha fatto funzionare. Anche qui lo chiamerò così, perchè gli si addice e anche lui - come i Ravanà - è finito inevitabilmente nella cerchia delle persone che mi fanno simpatia. Perchè negli occhi c'ha il sogno. Ieri m'ha detto una frase, che in mezzo alle altre m'ha tirata dentro ad un mondo di possibilità infinite, m'ha detto: io ho coraggio, ci vuole coraggio. Che parola incredibile, coraggio. Ecco, io credo che se la vita m'ha insegnato una cosa, una sola, quella è di non odiare la sveglia al mattino, ora non dico amarla ch'è uno scazzo per tutti, ma quantomeno ringraziarla perchè mi sta mandando a lavoro puntuale e per darmi, col suo modo un po' facchino, un sacco di coraggio.

Quando vado a Porto Empedocle, che ormai m'ha adottata per metà del mio tempo, m'accoglie quest'odore tipico della portualità, con le voci e le consuetudini lente e sorridenti di un paese uguale al mio, con una strada grande al centro e infinite ramificazioni che si allungano su una spiaggia lunga e bianca. E poi m'accoglie, oltre all'amore, la condivisione del cibo buono, quello nostro, quello che le mamme fanno la domenica e s'alzano a soffriggere alle sette del mattino e non conoscono stanchezza. Oggi faccio un altro brindisi, dopo gli innumerevoli di ieri sera, a questi miei nuovi amici del mare, e li ringrazio per la fatica che mi raccontano servendomi un piatto carico di profumi e le storie incredibili di chi non molla, resta qui, e manda il nostro nome e le nostre mani in giro per il mondo. Forse rugose, forse troppo grandi, ma mani larghissime e piene di passione.
Con inquantificabile e sempre più raro coraggio.

domenica 9 marzo 2014

Don't call me shampeesta.

L'altra mattina sono arrivata al salone e come ogni mattina ho acceso lo stereo. Gesto automatico del pigiare un bottone e sintonizzare sulla frequenza di una radio favarese.
Dalle casse mi giunge la voce di uno speaker noto. Sento parlare di lui da quando sono piccola, l'ho ascoltato anche spesso, e ammetto che dentro di me ho nutrito per la sua figura una simpatia di quelle che si nutrono per i personaggi dei piccoli sobborghi cittadini che fanno qualcosa con passione e per questo si distinguono. Lui ha la passione della radio, credo.
Lo speaker è un caratterista, con una parlata inconfondibile che mi porta a scrivere un post del buongiorno su Facebook, ironico, un po' tagliente ma in fondo benevolo. Continuo comunque ad ascoltarlo.

Qualche giorno dopo mi scrive un messaggio di posta, comprensibilmente stizzito dal mio post di critica al suo modo di parlare, dicendomi a chiare lettere che io, proprio io, quoque io, che sono una shampista non potevo mica criticarlo. Non era accettabile che sempre io, la shampista, potessi esprimere un parere sulla voce in pubblica diffusione radiofonica di una persona. Ci ho riflettuto un po', poi ho risposto.
C'ha avuto ragione. Non eravamo amici, non ci conoscevamo, la pizza insieme non l'avevamo mangiata mai e quindi non fu un gesto elegantissimo da parte mia accostare il suo nome d'arte con un'inversione totale delle dentali e delle gutturali ulteriormente modificata dall'amplificazione del microfono. Mi sono scusata, ero ironica, ho detto. E' un giudizio personale, ho detto. Lo elimino, e l'ho fatto.

La cosa su cui davvero ho riflettuto per più di due secondi (e più di due ore) è stato il fatto che lui volesse, in qualche modo, colpire il mio orgoglio personale di donna non istruita - a suo immaginare - dotandomi del ruolo - che per altro non ricopro, ma è un dettaglio futile - di ragazza addetta agli shampi nell'azienda per la quale lavoro. Il mio orgoglio personale ne è uscito, com'è naturale, illeso. Avrei potuto spiegargli nel dettaglio che io sono visual merchandiser dell'azienda, che mi occupo di social media marketing, ho un blog con diecimila lettori al seguito - ed è un'occasione per ringraziarvi - e che proprio quel giorno ero reduce da un mio intervento presso la Facoltà di Economia di Catania, nell'ambito della convention un Vulcano di idee per parlare di Farm Cultural Park come pratica di rilancio economico e sociale per la città di Favara. Avrei potuto spiegargli che mia mamma e mio papà hanno faticato una vita, prima per farmi studiare al Liceo Classico e poi per mantenermi alla Facoltà di Lettere e per tante altre belle cose in giro per l'Italia e che grazie ai miei temi - sempre concessi con cortesia e gratuitamente - un quarto della generazione degli anni Novanta del mio paese s'è diplomata.
Avrei potuto aggiungere che ho presentato libri - non miei, ma di gente migliore di me - lavorato come giornalista in una nota tv locale per qualche mese, scritto per svariate testate giornalistiche on-line e che alla fine ho deciso di fare altro, ovvero la visual merchandiser di una parrucchieria, perchè è l'unico lavoro che mi paga tanto da potermi pagare le ultime tasse dell'università da sola, senza andare da papà a farmi fare i versamenti in banca. Ho fatto anche tanti altri lavori che con i miei studi non c'entrano nulla: la cameriera, la guardarobiera, la lavapiatti e la lavacessi, e tutti per lo stesso scopo: viaggiare, farmi una cultura, laurearmi. Potrei continuare ma diventerebbe un curriculum, o un'inutile attestazione di arroganza che voglio mantenere ben lungi da me, vanificando gli sforzi della mia famiglia, umile nucleo monoreddito. Era solo per dire le cose giuste, insomma.

E devo dire che tanto il mio orgoglio personale n'è uscito candido, che la cosa che in realtà mi ha lasciata di stucco è stato l'utilizzo dell'appellativo shampista quasi a voler automaticamente sminuire l'autorità della voce di una persona solo perchè la sua professione è occuparsi dei capelli delle persone. Ma quindi una donna o un uomo che fanno i capelli sono automaticamente ignoranti e non possono esprimere gusti personali? Ma quindi una donna o un uomo che hanno seguito una strada altra rispetto agli studi universitari sono da definirsi inferiori intellettualmente o per gusto estetico? Essere shampisti è ragione di mutezza dovuta e necessaria? Una shampista è competente solo di cute sensibile e phon e spazzola? No, non è così.
Lasciando stare che l'unica volta che ho provato a fare lo shampoo alla mia collega - invertendo i nostri ruoli - le ho messo due volte solo il balsamo e poi mi sono pure chiesta per mezz'ora perchè non facesse schiuma, lasciamo stare questo, dico, e pure se fosse? Pure se io fossi una shampista, dovrei in qualche modo vergognarmene?

L'epoca in cui viviamo mi pare che ci stia insegnando ampiamente che vivere e arrivare a fine mese è difficile, che un ragazzo di vent'anni che c'ha un sogno - il mio è di scrivere un libro - deve aggrapparsi con mani denti unghia e tutti gli oggetti a gancio che trova a sua disposizione, ad un futuro risicato e instabile. Io sono fortunata perchè i libri di letteratura latina posso acquistarli facendo un lavoro che è di mia competenza, ma se domani mi capitasse di dovervi lavare i capelli per arrivare ai confetti rossi, e anche dopo questi, per fare la spesa e aiutare i miei genitori, io lo farei. E lo farei anche piuttosto fiera.
Detto ciò, voglio sfatare il luogo comune secondo cui il parrucchiere è una figura priva d'istruzione. Magari qualche volta, magari spesso, magari non lo so, ma i luoghi comuni sono quello che sono. E' come quando dicono che le donne sono tutte troie. Mica è vero, le mamme non lo sono mai, ad esempio.

Me ne sono prese tante di definizioni da quando lavoro al salone, shampista è di sicuro quella che ho gradito di più, perchè penso alle mie amiche che lo fanno per davvero, e io le chiamo colleghe, e quando c'è pausa pranzo dividono materialmente il loro pane con me, e se ho scritto questo post è solo perchè credo che il lavoro sia una cosa sacra e nessun lavoratore mai dovrebbe essere definito solo per quello che fa.
C'è anche un cervello, c'è anche un cuore, c'è anche tutto il resto. Non chiamatemi shampista, ma solo perchè non so fare gli shampi. Mi so incazzare bene, e questo - purtroppo - non paga mai.
Ah, dimenticavo, ho condotto per cinque mesi un programma di letteratura a RadioLab Catania. Se mi vuoi invitare io ci sono, ciao.