E tu sei il numero:

giovedì 29 agosto 2013

#semilasciconlarte - Focus on Laura Sardo

La prima volta che ho visto un dipinto di Laura - e lei lì che lo teneva stretto fra le mani e me lo raccontava- ho subito capito che prima o poi avrei scritto di lei. E' successo in un tempo relativamente poi, cioè oggi.
E' un'artista. Di quelli che non hanno neppure bisogno dell'A maiuscola all'inizio, chè artisti lo si è oppure no, e mi sa che il concetto non è così diffusamente interiorizzato.
Con lei voglio inaugurare una sezione particolare del mio blog, quella che dà spazio ai talenti, con dei focus unici e ben fermi sulla figura di chi fa, sente, produce qualcosa di bello: #semilasciconlarte

Laura Sardo, classe '91, nasce cresce vive studia dipinge crea soffre gioisce a Favara.
Ha una perfezione clinica nel riportare su carta il Mondo tutto, dalle tinte più dark e sofferte, alle più eteree e gioiose. I colori rappresentano per Laura un canone comunicativo universale: quando lei disegna, parla. E lo fa con un iperrealismo che soddisfa la vista, la riconcilia con la realtà, la riporta coi piedi per terra, denudandola dell'emozione nascosta o taciuta. E' un'arte sincera.
Quando ho conosciuto per davvero Laura mi è subito arrivato netto lo sradicamento con Favara, Agrigento, la Sicilia e alla fine, per certi versi, ho capito anche col Mondo. Perchè lei è così, sotto i piercing e il mascara nero e i tatuaggi vistosi e tutta quell'armatura da simpatica ribelle, Laura con la mente pare vagare tra tutti gli universi possibili: quelli della fantasia. E nella fantasia trova ispirazione, aria, spazio creativo, coraggio, contaminazione, lei è la rottura di ogni limite terreno. Questo la rende artista, questo la rende più donna.

Una sera di qualche mese fa ci ritroviamo sedute di fronte ad un grosso tavolo di legno, pub di due nostri amici, io una zero cinquanta bionda, lei un tè alla pesca.
Là, ma tu cosa vorresti fare?
Lei vuole andare fuori, al nord, a fare l'Accademia delle Belle Arti, ma questioni di tempi, luoghi, denaro ed altro non glielo permettono. E' bella, molto bella, di una Bellezza dura alla vista e disarmante al contempo, farcita di una dolcezza e dei modi di fare così delicati e misurati da risultare inaspettati, incredibili. S'incazza, facilmente, per le cose storte, le cose fatte male, che non rispettano le simmetrie e l'ordine perfetto. S'incazza per le ingiustizie.
E' una  F.U.N. , una della Squadra del Castello, una di quelli che s'è alzato su le maniche per fare bene le cose, farle filare meglio. Ieri un suo aggiornamento di status su Facebook, che vado qui a condividere per intero, mi colpisce e decido che è lei la prima di cui voglio scrivere in questo blog:

<VENGHINO SIGNORI VENGHINO... Allora gente, la crisi è la crisi ed io sono vicina come non mai alla pazzia. Voglio prendere in affitto un magazzino o un appartamento per farci un piccolo studio di pittura, un luogo dove posso liberarmi dal peso del mondo e dove posso finalmente dare vita ai miei progetti, che a causa di forze malefiche non prendono vita nel luogo in cui vivo. Se volete contribuire basta poco: FATEVI FARE UN RITRATTO! I primi 50 con soli 20 euro si porteranno a casa un regalo che dura tutta la vita. Affrettatevi, le occasioni non mancano mai e con poco potete stupire le persone che amate. Basta con le t-shirt che si restringono dopo qualche lavaggio, basta con i fiori che appassiscono dopo un paio di giorni, basta con i profumi e basta a tutti quei regali che nel giro di poco passano di moda o diventano inutilizzabili. Un ritratto è per sempre (e poi è per una buona causa e il regalo in realtà ve lo sto facendo io)..  VENGHINO SIGNORI VENGHINO...>

Eccola, ha tirato fuori gli artigli un'altra volta, mi sono detta. Ha un sogno e la sua arte è ciò che può realizzarlo. Così le scrivo, condivido la notizia, invito i miei amici - e i lettori - a farsi ritrarre e poi le chiedo di raccontarmi cosa succede quando vivi a Favara provincia di Agrigento, che adesso sta rinascendo ma c'è ancora tanto da fare, le chiedo quant'è dura per un'artista - che nel tempo libero fa anche cocktail buonissimi - vivere la crisi economica e non solo, resistere, combatterla.  E poi sento l'esigenza di sapere altro.

Come stai quando non disegni? cosa provi quando qualcuno ti fa un complimento? Come vedi il tuo futuro qui, la tua arte in questo posto e cosa ti motiva a non mollare?

Mi risponde subito: In questo periodo di forti pressioni e delusioni, l'arte è la mia unica valvola di sfogo. Molti pensano che dipingere o disegnare sia una cosa semplice o una cosa bellissima, ma non sempre lo è. Proprio ieri parlavo con un amico di questa cosa ed ho provato ad analizzare le motivazioni che mi spingono a voler fare quello che faccio. In un momento delicato e triste come il nostro, sento il dovere di dover ricordare al mondo che ci stiamo scordando di una cosa molto importante: l'introspezione.
Spesso l'arte ha a che fare con temi pesanti e la semplificazione è eccessiva e le opere non sono chiare come dovrebbero. Mi ritrovo ad osservare l'arte contemporanea che secondo me, manca d'impatto visivo. Molte delle opere che vedo sono belle e dietro nascondono un concetto molto forte, ma credo che per descrivere un concetto molto forte bisogna utilizzare delle immagini forti, chiare e complete. Non sempre possiamo lasciare tutto questo enorme spazio all'interpretazione, e purtroppo quattro macchie su tela non bastano per descrivere il vuoto che provo dentro. Magari qualcun altro penserebbe di lasciare la tela bianca per raffigurare bene il vuoto, ma il vuoto non è così. Quando ci si sente vuoti in realtà si immaginano mille vite, mille situazioni, mille passati e mille futuri e questa è quell'introspezione di cui ci stiamo dimenticando e l'introspezione non è una cosa semplice o che si può semplificare nei dipinti..Questi viaggi interiori che sono più grandi delle distanze che noi possiamo percorrere sulla terra, hanno bisogno di spazio, di essere vissuti nel modo più doloroso e completo ed è per questo che scelgo di raffigurare molte opere utilizzando tele molto grandi che devono essere riempite da una piccola e banale biro. Voglio evidenziare il mio grande lavoro anche attraverso i mezzi. E' difficilissimo riempire una tela enorme lavorando con una Bic che non ti da la fluidità e l'immediatezza dei colori ad olio, delle vernici o degli smalti.. Devi perderci un sacco di tempo e devi concentrarti, ma proprio tanto! E questa dedizione e questa dimostrazione d'impegno, manca oggi, non solo nei dipinti che vengono fatti e conclusi di getto, ma manca anche nei rapporti personali. Quindi questa scelta per me, è proprio una sfida. Sto sfidando i miei mostri e gli sto dedicando del tempo, invece di lasciarli lì nella speranza che prima o poi se ne vadano e sto sfidando l'arte, che ormai è solo riassuntiva. Io la vita non la vedo come un riassunto semplice, proprio per questo sto promuovendo dei ritratti ad un prezzo così basso, la vita non è semplice con me e non ho ne un lavoro ne un grande sostegno e allora devo faticare il doppio per pochi soldi pur di aver un piccolo studio di pittura e se questi sono i miei mezzi e le mie possibilità, non mollerò. Mi chiede se voglio sapere altro, le dico che mi basta così, che ha già detto tanto, che si è raccontata con le parole come fa coi suoi dipinti. Senza remore alcuna, con la sana paura di chi sa di avere un potente dono e vuole perfezionarlo, farlo funzionare nel senso che merita: il più alto.
Così chiudo il primo focus di #semilasciconlarte. Lei è Laura Sardo che nasce cresce vive studia dipinge crea soffre gioisce a Favara. E spero realizzi il sogno di andare a Torino all'Accademia, ma che poi ritorni perchè io, noi, Favara, questo posto ha bisogno anche di lei.
Adesso scusate, le commissiono un ritratto. Magari il mio.

martedì 27 agosto 2013

#farmdiary - Sirchia e Gigliotta, gli incontri fortunati di un sabato Farm.

Quando devo iniziare a scrivere di Farm, mi capita sempre di dover fissare il foglio bianco per un tempo indefinito che può andare dai due ai venti minuti di trance. Trance, durante la quale ripercorro per intero la serata o il pomeriggio o l'ora che vado a raccontarvi, e con lo sguardo perso nel vuoto, mi ritrovo il sorriso ebete degli innamorati, aperto e concluso con la piccola smorfia che mi riporta alla realtà, alle parole, a questo. Sabato scorso ricevo una chiamata e due messaggi. Al Farm Cultural Park, Cortile Bentivegna, Sette Cortili (o Setti Curtiglia, per gli aficionados favarofoni), verranno a trovarci, le ormai avvezze al luogo, Laura Cristina Federica con la loro amica Roberta per la prima volta sui nostri schermi. E poi Peppe Sirchia, e il suo nome mi viene da scriverlo così: peppesirchia®, perchè dopo averlo conosciuto l'ho inserito nel gruppo di persone che, imho, rappresentano una garanzia umana e progettuale così forte che dovrebbero andare a registrarsi come un marchio, ma appunto d'umanità si parla quindi continuerò a scrivere di lui come sopra, all'inizio del periodo, e non se ne parli più. Peppe Sirchia. E' un ragazzo catanese, founder di Meedori ( https://www.facebook.com/meedoriweb?fref=ts) ed è uno dei coordinatori dell'acceleratore Working Capital di Catania (WCAP) che, per chi non lo sapesse, è il programma di Telecom italia che dal 2009 aiuta l'innovazione e idee e il talento a trasformarsi in impresa, supportando in modo diretto la nascita e lo sviluppo delle startup.All’interno di ogni spazio viene avviato un percorso di accelerazione durante il quale alcuni mentor supporteranno i team nello sviluppo della propria idea. In collaborazione con un network composto da università, incubatori e partner locali.


Faccio conoscere i ragazzi del WCap ad Andrea, nel Giardino. Lui è felice, come sempre, di poter venire a contatto e parlare con giovani talenti pronti a dare qualcosa alla nostra terra, per migliorarla e renderla un posto dove vale la pena di restare. Così ci organizziamo, pianifichiamo, ma di questo vi parlerò a tempo debito.
Ecco, il nostro sabato è stato proficuo e pieno di sorrisi, al solito. Ma alla fine non potrei raccontarvelo meglio di come ha fatto il buon Sirchia, in questo pezzo su Chefuturo! http://www.chefuturo.it/2013/08/peppe-sirchia-sapevate-che-il-paese-delle-meraviglie-si-chiama-favara/Posso solo aggiungere il dettaglio che - lui non lo sa - ma ho molto apprezzato le sue doti d'ascoltatore sommerso dai miei fiumi di parole che in confronto le buon'anime dei Jalisse sbiancano, le doti di Cristina - also known as Zoe - nel far venire l'appetito solo a vederla mangiare e godere del cibo, e quelle di Laura negli abbracci, che logisticamente a me fa dall'alto essendo stangona e ballerina, e io bassina e poco propensa alla danza (sbronze a parte), la dolcezza e i modi di Federica e gli incredibili occhi azzurri di Roberta. La bellezza di tutte le loro menti pare fondersi in un riflesso perpetuo e naturale nelle movenze e nel fare, così inclinato verso l'ottimismo, lo scambio, l'affetto. L'inizio di tutto.

Comunque, quel sabato alla Farm, avvenne anche altro. Avvenne che arrivò lui, Antonio Gigliotta.
Avevo visto delle sue foto sulla pagina Facebook di Farm che mi rimandava alla sua ( https://www.facebook.com/ARTISTANTONIO ). Ha un bel viso da ragazzone siciliano col sole negli occhi, e delle gambe belle, sode e lunghissime. Fatte per ballare. Se adesso dicessi di lui che è un ballerino, sminuirei la forma spettacolare della sua arte, così carica di colore e genio. Siamo sempre ai Sette Cortili, e lo osservo muoversi sinuosamente tra la folla, parte incredula parte sorridente, in super mutandissima nera come pure la giacca istoriata di lustrini e fantasie. La musica è sua, sale e scende ginnico scalando le piccole pietre nere del cortile, e balla e sorride e coinvolge la folla, che si lascia rapire dalla passione del suo show reale. I bambini sono estasiati, lo attorniano e ridono ma di gusto, di cuore, come solo i bambini fanno e si divertono immensamente a rivisitare le sue movenze. Io me la guardo dall'alto della scala bianca del Bookshop, lo vedo salire e lo fermo per un braccio: <Antonio, vorrei farti un'intervista.> Lui, mi sorride, ha degli occhiali  neri allungati ai lati a mò d'occhio felino, non smette di ballare e annuisce un <Ok!>, sudato e gioioso. Mi raggiunge qualche minuto dopo, ci barrichiamo dietro il bancone e apro il mio taccuino nero. Antonio Gigliotta è di Sambuca di Sicilia, ma vive a Londra. Non ha mai studiato danza, eppure si muove con una precisione scientifica, quella dei Grandi, nati con molte orecchie e molto cuore. Mi colpisce il suo sedere, tondo ma forte, da uomo. Gli chiedo com'è arrivato a far questo, perchè e soprattutto cosa ne pensano là, a Sambuca di Sicilia, che fai conto è tipo Favara. Ha la pelle curatissima, dei bei baffi alla Mercury e si prende lunghe pause di silenzio riflessivo prima di rispondermi. Beve un po' d'acqua - dentro sta ancora ballando, penso - manda giù, e mi dice che effettivamente non è stato e non è facile che la sua arte di performer venga digerita da un humus così storicamente poco pronto al cambiamento, alla stonatura con la norma, al diverso rispetto all'uso comune provinciale, ch'è spesso gretto e ingrigito dalla bigotteria post-cattolica. Ma Antonio piace, e sa di piacere, ed è sicuro. Un'esplosione di vita, che mi parla e si racconta, sorridendo e fidandosi dei miei occhi. Chiudo il taccuino, non ci stavo scrivendo da un po'. Mi racconta della zia che gli presta i vestiti da donna, e mi racconta come tutto questo nasca dalla necessità di essere sincero. Con se stesso prima di tutto. L'onestà intellettuale che Antonio mi trasmette è intervallata dall'ironia e dalla solarità che designano il perimetro umano di tutta la nostra Sicilia, e che troppe volte rimangono sottaciute per contegno e buon costume. Gigliotta è la rottura, Gigliotta è la purezza. Anche se c'ha il culo di fuori. <Io mi vesto da donna, è vero. Ma per fare tutto questo ci vogliono le palle.> E lì smetto di chiedermi ciò che mi chiedevo dall'inizio: in lui l'uomo e la donna convivono e si palesano con forza in ogni naturale propensione della Vita umana, abbracciando la tenerezza e la sessualità, il sacro e il profano, il gusto e il pacchiano. Lui tira tutto fuori, ed è libero - si vede - e alla gente la Libertà piace sempre tanto. A Londra, è chiaro, è molto più semplice camminare per strada vestito come ti pare e passare inosservato tra la folla, ma a Favara (o a Sambuca) devi fare i conti con la Piazza, con la gente di un tempo, quella che - anche senza colpe, talvolta - è costretta a storcere il naso. Anche fra i giovani. Eppure Antonio viene da noi, alla Farm, perchè anche noi siamo una rottura, uno spazio bianco e offensivo innestato in un centro storico offeso. <Se ti conformi agli altri, chi è che cambia le cose?> , dice serio dopo una di quelle sue pause. La nostra conversazione dura troppo poco, avrei voluto trattenerlo ma la folla sotto lo aspettava ancora e un fotografo era pronto a raccontare ogni atto del suo sabato. Mi saluta con un aforisma, suo, vero: <La felicità è come la salute: sai di averla avuta, quando non ce l'hai più.> Riapro il taccuino, questa me la scrivo. Prima di andare facciamo una foto di gruppo: Lui, io, Peppe Sirchia e le ragazze (la foto qui sotto). Penso: <E' divino.> E in lui non vedo volgarità, ne sesso, ne scempio: vedo la gioia, gli istinti umani più belli e profondi venuti a galla in totale sincerità col Mondo e la Vita.

Questo è il racconto di quel mio sabato in Farm, non so se questo è il cambiamento, la rivoluzione, la Bellezza, so solo che mi sento felice di essere qui ed ora, e so bene che tutto questo ci salverà dalla bruttura di quelli là fuori. Che c'hanno mangiato i cuori e i polmoni.

E anche qualcos'altro.

lunedì 26 agosto 2013

Breve cronaca tragicomica della mia permanenza al Sangiovannididdio.

Come fu, come non fu, mi presi un virus non letale ma che mi buttò a letto da domenica scorsa ad oggi, che vi scrivo. L'antefatto mi serve a motivare il mio arrivo martedì in quel luogo ameno (nel senso che fa a-meno di tutto) ch'è l'Ospedale San Giovanni di Dio di Agrigento. Suggestiva struttura architettonica che ricorda vagamente la linea stilistica del Petrusa Resort near Favara, pavimenti incrostati quanto basta ed efficienza da mezza stella difettosa di guida Michelin.
Comunque, questo abbiamo, lì mi portarono. Dopo qualche oretta - dalle 2.00 a.m. alle 13.00 p.m. - di attesa tra pronto soccorso e reparto di Astanteria (l'innovazione e la rapidità in un perfetto sposalizio d'emergenze e dita sanguinanti), mi trasferiscono in quel limbo etichettabile come 'Reparto Altro' (per citare Vincenzo, o chi dei Fun tirò fuori la questione in una delle visite fattemi), ovvero dove si butta tutta quella roba che non si sa cos'è (nel caso di gioventù) e quella che si sa che durerà veramente poco (nel caso di età avanzata.) Io rientravo nel primo gruppo anche se a vedermi all'arrivo nel magico Tempio d'Esculapio, avrei potuto avere tra i 42 e i 93 anni (i capelli, ricordo, che si possono anche tingere.)
Siccome la Legge di Murphy c'è e serve a spiegare tutti quelle montagnette di sfiga che ti capitano nella vita, questa volta ci serve a motivare scientificamente il fatto che la mia compagna di stanza è una simpatica signora in coma - dunque anche poco propensa al dialogo - con novant'anni belli carichi di vita da signorina (riporto testualmente da nipote acquisito presente nei pressi di ultimo capezzale causa prelievo bancario istantaneo nel secondo che sarebbe succeduto alla dipartita della nostra). Fatto sta, che il suddetto nipote con la professione d'eretiere, avendo la propensione alla parsimonia circa le cure della signora zia sospende le di lei cure fatte da badante bielorussa: la zia rimane sola, senza nessuno che controlli l'andamento della sua esistenza fra noi umani terreni e mortali. Le luci sono spente, io sonnecchio, mamma con me. Si trova lì a passare, molto per caso un'infermiera con l'hobby del lavoro, accende la luce, e la signora era già bella gelata da tot ore. Sicuramente bello svegliarsi con vista mare, altrettanto bello svegliarsi con vista morta (già bianca.) Nipote arrivato tempo record, triste come un giorno di Pasqua che t'eri fermato a comprare i dolci ti sei fatto una giocata e hai fatto tredici. Pianto da Oscar per Migliore Interpretazione Attore Ereditista.
Accadendo il triste fatto, mi trasferiscono in stanza  con altra compagna affetta da diarrea cronica. Molto liquida, molto continua. Infermiere e addetti con rapidità d'intervento pulitura pari a: meno cinquantaquattro. Fragranza mica indifferente, mancata appetenza nonostante i cinque giorni di digiuno totale grazialcazzo aggiungerei, rutti amplificati e incontrollati di signora poveretta che ci poteva fare lei, e tante tante belle armonie da grancassa di iperrrisonanza. Che vita di merda.
Nel novero delle stranezze che solo a me potevano capitare, aggiungiamo: infermiera che mi chiede in prestito 20 euro fino a domenica, infermiera che sbaglia cognome e attua prelievo su mio braccio già altamente precario da dipendente ero, infermiera che sbaglia terapia recapitandomi doppia dose di cortisone, infermiera che sbaglia pressione post-ago e m'insanguina custodia tablet, dottore con jeans corto litigato con scarpe piccole, dottore bello somigliante ad amico dj abbastanza adulto ma sempre piacione (ciao Dino Sole, se per caso ci leggi, ma non penso.)
Detto questo, c'ho giocato, ho un po' esorcizzato lo schifo che si vede, le vite che svaniscono così e tu pensi: minchia, che fortuna, sono giovane e forte.
E ruggisci. E te ne torni a casa, per fortuna.

sabato 17 agosto 2013

Cronache estive di un blog risvegliato.

Oggi la mia sveglia di blogger ha squillato per ridestarmi dal sonno estivo della penna, durato fin troppo e oggi finalmente concluso e sepolto con questo primo periodo che termina qui.
E' una benedizione per questo povero blog, rimasto orfano di madre negli ultimi mesi e lasciato a casa dei nonni per favorire le mie libere fughe al mare. L'ho trovato sempre lo stesso ma con qualche centimetro in più, sarà per l'effetto dell'aria buona o del buon cibo o dei numerosi lettori che l'hanno coccolato anche in mia assenza, regalandogli occhi e tempo libero.
Mare, tantissimo mare, dicevo. E molte belle notti, passate tra Favara e costa, con amici più o meno nuovi, e più o meno amici, molti baci ( di un solo uomo, mica tanti ) e per fortuna pochi momenti di tristezza/nostalgia per le cose andate e che mi sembra di non poter recuperare. Non ho voglia di parlare di lavoro o progettualità future, l'argomento del giorno sono i rapporti personali e qualcuno mi presti una zappa per piacere così me la do sui piedi, o una lingua in più da mordermi (o mordere, ad libitum ).
L'altra sera, la mia amica Carla ed io, scegliamo di starcene lontane dai soliti posti affollati nei quali non si può parlare, e scegliamo di andare in un altro posto affollato nel quale non si può parlare ma se t'impegni a cercarti un posto, volendo anche sì. Troviamo il posto, prendiamo due Coca - Cola - con tanto di raccomandazione del barman a "irici a leggiu" (andarci piano, ndr) - e posiamo i nostri gentili ventitré sulle sdraio di plastica bianca che arredano la spiaggia. E comincia un lungo scambio sull'amicizia, l'amore, il sesso, la famiglia e tutte quelle cose che due donne sanno tirare fuori quando non sono ubriache o sono consapevoli di non dover essere prese a bene a tutti i costi. I discorsi da paranoia, insomma. Quelli che ti fanno scavare nelle cose fatte in un passato, anche recente, e ti fanno chiedere: aspetta ma io, io dove cazzo è che ho sbagliato? Eppure sì, da qualche parte una cagata devi averla fatta e il cattivo odore lo senti anche tu, bello aspro che ti stupra le narici, se ci pensi. Se decidi di non pensarci è un altro discorso.
Su cosa sia o non sia l'amicizia, mi sono a lungo interrogata, e di lei mi sono proiettata con convinzione questa magnifica immagine mobile, fatta di molti punti fissi nel nucleo degli Storici, e molte molecole fluttuanti che svolgono il loro dovere di presenza simpatica e compartecipata, senza voler niente in cambio se non il sorriso di una notte. Anche quelli sono amici. La mia personale verità è quella di una certa mancanza di sicurezze ogni mattina al nostro risveglio e c'è tutto un mare di combinazioni modellabili che non si ha davvero il tempo di soffermarsi sui dettagli. Vero è che sono i dettagli a fare la differenza, ma non sempre il particolare necessita di essere dimostrato o palesato con atti che col tempo divengono innaturali e meccanici: se ti amo, non necessariamente ho bisogno di farti passare un aeroplano sopra casa in stile Berlusconi. Ti amo e basta. E sì, io per amare intendo tutto l'affetto e la benevolenza che un cuore umano è capace di provare, non solo l'amore che porta le coppie a mangiare il gelato al Lungomare di San Leone che, con tutto rispetto, mi danno anche una certa angoscia da domenica pomeriggio. E non perché non vado a mangiare il gelato col mio ragazzo e sono invidiosa; dico solo che la domenica pomeriggio, con quarantacinque gradi all'ombra, se inserisci le gambe in un paio di pantaloni di lino bianchi e i piedi in un paio di zeppe color corda con qualche fiore cucito, e nel frattempo lecchi un cono puffo e stracciatella e con l'altra mano tieni una borsetta Alviero Martini qualsiasi - facciamo anche tarocca - non penso che stimoli così tanto la libido della coppia. Ecco, io non penso che tutto questo possa favorire una sana e vigorosa vita sessuale, ma io non sono una fashion blogger, nè una sex blogger e neppure una blogger a ben vedere, quindi la chiudo qui con questo circolo di cattiverie infinite che farei bene a tenermi solo per me.
Torniamo al top del discorso. Quello che mi ha sempre salvato dalla tristezza e dalla noia è lo scambio con gli altri, vedere i loro sorrisi quando li accompagno per le casine di Farm Cultural Park, quando li presento ad altri amici, scoprire che il Mondo è veramente piccolo e ci si conosce tutti di già per un viaggio passato o un amore in comune, guardarsi male e poi riderne rapidamente davanti ad un buon bicchiere di vino, facce sconosciute che ti riportano a casa su richiesta di facce ben conosciute e che ci vogliono bene, incontri che non sono sicura siano avvenuti realmente (o Realmonte) o solo in sogno, tuffi notturni, numeri cancellati, messaggi inviati, confessioni e ritorni per condividere il medesimo dolore, la stessa impotenza nel non poter controllare tutto e far filare lisce lisce le cose a cui teniamo. Nel mare della mia estate sta annegando la comunicazione affettiva, e sembra veramente un paradosso, ma non riesco a trovare due semplici parole che abbiano più effetto di un semplice: mi manchi.
O forse dovrei solo smetterla di pensare all'effetto delle parole che facciano da riflesso a questo grumo d'inquietudine che fa scomparire tutte le molecole ballerine, e dire solo un più vero ed onesto: mi manchi.
Comunque, fra le cose belle, molto belle, toh, bellissime, che mi sono capitate in questi mesi c'è una giornata con Laura, Federica e David. Laura e Federica sono due studentesse fuorisede che fanno - poco - la spola tra Agrigento e Catania provenendo dalla prima e studiando nella seconda. David è... non so descriverlo David, un secondo. Posso dire solo che è un uragano di entusiasmo e creatività e idee e voglia. Li ho portati al Castello e alla Farm. Quando siamo usciti dal Castello, David - che mi conosceva da otto ore circa - ha sentito il bisogno di abbracciarmi, in Piazza, così dal niente, per ringraziarmi/ci di quello che stiamo facendo per questo sciagurato paese sommerso dal pattume sociale. Ecco, in quell'abbraccio, che fondamentalmente era l'abbraccio di un perfetto sconosciuto, io ho percepito un affetto così grande da rompere ogni clichè del "ci conosciamo da...". David ed io, in quel momento ci conoscevamo benissimo. Punto. E lo stesso dico di Laura e Federica, ci conosciamo e ci conosceremo chissà quanti altri giorni e chissà quante altre cose belle gli farò vedere e chissà poi quanti altri David mi porteranno a Favara.
Chiudo questo post di rottura del sonno vacanziero, con un ringraziamento e un po' di scuse: ringrazio Carla per aver pagato quella famosa Coca - Cola la cui lattina inneggiava all'Amore - azzeccata - e mi scuso con chi si sente sostituito, rattoppato, dimenticato. Non è così.
Dell'amicizia ho capito tante cose e una di queste è che non esiste quella vera o quella finta, quella grande o quella piccola, quella storica ed eterna o quella breve e finta; esistono i momenti, esiste la Vita, le circostanze e un amico è chi ti prende per i capelli e ti riporta a galla quando stai andando giù, senza rimproveri, senza giudizi, solo essendoci e spiegandoti come si usa un Tampax in vacanza. Anche se è uomo.

Chiudo augurandovi un'ottima fine d'estate, che sia fruttuosa e bella come la mia, e vi auguro tanti amici di un giorno. Sono quelli che vi conosceranno meno, ma vi capiranno di più.