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martedì 27 agosto 2013

#farmdiary - Sirchia e Gigliotta, gli incontri fortunati di un sabato Farm.

Quando devo iniziare a scrivere di Farm, mi capita sempre di dover fissare il foglio bianco per un tempo indefinito che può andare dai due ai venti minuti di trance. Trance, durante la quale ripercorro per intero la serata o il pomeriggio o l'ora che vado a raccontarvi, e con lo sguardo perso nel vuoto, mi ritrovo il sorriso ebete degli innamorati, aperto e concluso con la piccola smorfia che mi riporta alla realtà, alle parole, a questo. Sabato scorso ricevo una chiamata e due messaggi. Al Farm Cultural Park, Cortile Bentivegna, Sette Cortili (o Setti Curtiglia, per gli aficionados favarofoni), verranno a trovarci, le ormai avvezze al luogo, Laura Cristina Federica con la loro amica Roberta per la prima volta sui nostri schermi. E poi Peppe Sirchia, e il suo nome mi viene da scriverlo così: peppesirchia®, perchè dopo averlo conosciuto l'ho inserito nel gruppo di persone che, imho, rappresentano una garanzia umana e progettuale così forte che dovrebbero andare a registrarsi come un marchio, ma appunto d'umanità si parla quindi continuerò a scrivere di lui come sopra, all'inizio del periodo, e non se ne parli più. Peppe Sirchia. E' un ragazzo catanese, founder di Meedori ( https://www.facebook.com/meedoriweb?fref=ts) ed è uno dei coordinatori dell'acceleratore Working Capital di Catania (WCAP) che, per chi non lo sapesse, è il programma di Telecom italia che dal 2009 aiuta l'innovazione e idee e il talento a trasformarsi in impresa, supportando in modo diretto la nascita e lo sviluppo delle startup.All’interno di ogni spazio viene avviato un percorso di accelerazione durante il quale alcuni mentor supporteranno i team nello sviluppo della propria idea. In collaborazione con un network composto da università, incubatori e partner locali.


Faccio conoscere i ragazzi del WCap ad Andrea, nel Giardino. Lui è felice, come sempre, di poter venire a contatto e parlare con giovani talenti pronti a dare qualcosa alla nostra terra, per migliorarla e renderla un posto dove vale la pena di restare. Così ci organizziamo, pianifichiamo, ma di questo vi parlerò a tempo debito.
Ecco, il nostro sabato è stato proficuo e pieno di sorrisi, al solito. Ma alla fine non potrei raccontarvelo meglio di come ha fatto il buon Sirchia, in questo pezzo su Chefuturo! http://www.chefuturo.it/2013/08/peppe-sirchia-sapevate-che-il-paese-delle-meraviglie-si-chiama-favara/Posso solo aggiungere il dettaglio che - lui non lo sa - ma ho molto apprezzato le sue doti d'ascoltatore sommerso dai miei fiumi di parole che in confronto le buon'anime dei Jalisse sbiancano, le doti di Cristina - also known as Zoe - nel far venire l'appetito solo a vederla mangiare e godere del cibo, e quelle di Laura negli abbracci, che logisticamente a me fa dall'alto essendo stangona e ballerina, e io bassina e poco propensa alla danza (sbronze a parte), la dolcezza e i modi di Federica e gli incredibili occhi azzurri di Roberta. La bellezza di tutte le loro menti pare fondersi in un riflesso perpetuo e naturale nelle movenze e nel fare, così inclinato verso l'ottimismo, lo scambio, l'affetto. L'inizio di tutto.

Comunque, quel sabato alla Farm, avvenne anche altro. Avvenne che arrivò lui, Antonio Gigliotta.
Avevo visto delle sue foto sulla pagina Facebook di Farm che mi rimandava alla sua ( https://www.facebook.com/ARTISTANTONIO ). Ha un bel viso da ragazzone siciliano col sole negli occhi, e delle gambe belle, sode e lunghissime. Fatte per ballare. Se adesso dicessi di lui che è un ballerino, sminuirei la forma spettacolare della sua arte, così carica di colore e genio. Siamo sempre ai Sette Cortili, e lo osservo muoversi sinuosamente tra la folla, parte incredula parte sorridente, in super mutandissima nera come pure la giacca istoriata di lustrini e fantasie. La musica è sua, sale e scende ginnico scalando le piccole pietre nere del cortile, e balla e sorride e coinvolge la folla, che si lascia rapire dalla passione del suo show reale. I bambini sono estasiati, lo attorniano e ridono ma di gusto, di cuore, come solo i bambini fanno e si divertono immensamente a rivisitare le sue movenze. Io me la guardo dall'alto della scala bianca del Bookshop, lo vedo salire e lo fermo per un braccio: <Antonio, vorrei farti un'intervista.> Lui, mi sorride, ha degli occhiali  neri allungati ai lati a mò d'occhio felino, non smette di ballare e annuisce un <Ok!>, sudato e gioioso. Mi raggiunge qualche minuto dopo, ci barrichiamo dietro il bancone e apro il mio taccuino nero. Antonio Gigliotta è di Sambuca di Sicilia, ma vive a Londra. Non ha mai studiato danza, eppure si muove con una precisione scientifica, quella dei Grandi, nati con molte orecchie e molto cuore. Mi colpisce il suo sedere, tondo ma forte, da uomo. Gli chiedo com'è arrivato a far questo, perchè e soprattutto cosa ne pensano là, a Sambuca di Sicilia, che fai conto è tipo Favara. Ha la pelle curatissima, dei bei baffi alla Mercury e si prende lunghe pause di silenzio riflessivo prima di rispondermi. Beve un po' d'acqua - dentro sta ancora ballando, penso - manda giù, e mi dice che effettivamente non è stato e non è facile che la sua arte di performer venga digerita da un humus così storicamente poco pronto al cambiamento, alla stonatura con la norma, al diverso rispetto all'uso comune provinciale, ch'è spesso gretto e ingrigito dalla bigotteria post-cattolica. Ma Antonio piace, e sa di piacere, ed è sicuro. Un'esplosione di vita, che mi parla e si racconta, sorridendo e fidandosi dei miei occhi. Chiudo il taccuino, non ci stavo scrivendo da un po'. Mi racconta della zia che gli presta i vestiti da donna, e mi racconta come tutto questo nasca dalla necessità di essere sincero. Con se stesso prima di tutto. L'onestà intellettuale che Antonio mi trasmette è intervallata dall'ironia e dalla solarità che designano il perimetro umano di tutta la nostra Sicilia, e che troppe volte rimangono sottaciute per contegno e buon costume. Gigliotta è la rottura, Gigliotta è la purezza. Anche se c'ha il culo di fuori. <Io mi vesto da donna, è vero. Ma per fare tutto questo ci vogliono le palle.> E lì smetto di chiedermi ciò che mi chiedevo dall'inizio: in lui l'uomo e la donna convivono e si palesano con forza in ogni naturale propensione della Vita umana, abbracciando la tenerezza e la sessualità, il sacro e il profano, il gusto e il pacchiano. Lui tira tutto fuori, ed è libero - si vede - e alla gente la Libertà piace sempre tanto. A Londra, è chiaro, è molto più semplice camminare per strada vestito come ti pare e passare inosservato tra la folla, ma a Favara (o a Sambuca) devi fare i conti con la Piazza, con la gente di un tempo, quella che - anche senza colpe, talvolta - è costretta a storcere il naso. Anche fra i giovani. Eppure Antonio viene da noi, alla Farm, perchè anche noi siamo una rottura, uno spazio bianco e offensivo innestato in un centro storico offeso. <Se ti conformi agli altri, chi è che cambia le cose?> , dice serio dopo una di quelle sue pause. La nostra conversazione dura troppo poco, avrei voluto trattenerlo ma la folla sotto lo aspettava ancora e un fotografo era pronto a raccontare ogni atto del suo sabato. Mi saluta con un aforisma, suo, vero: <La felicità è come la salute: sai di averla avuta, quando non ce l'hai più.> Riapro il taccuino, questa me la scrivo. Prima di andare facciamo una foto di gruppo: Lui, io, Peppe Sirchia e le ragazze (la foto qui sotto). Penso: <E' divino.> E in lui non vedo volgarità, ne sesso, ne scempio: vedo la gioia, gli istinti umani più belli e profondi venuti a galla in totale sincerità col Mondo e la Vita.

Questo è il racconto di quel mio sabato in Farm, non so se questo è il cambiamento, la rivoluzione, la Bellezza, so solo che mi sento felice di essere qui ed ora, e so bene che tutto questo ci salverà dalla bruttura di quelli là fuori. Che c'hanno mangiato i cuori e i polmoni.

E anche qualcos'altro.

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