E tu sei il numero:

martedì 31 dicembre 2013

Un bilancio e un paio d'auguri.

Oggi ho mangiato una mozzarella e sessanta grammi di prosciutto crudo, un mandarino e un cioccolatino con cinquanta calorie attestate. Questo è stato il mio pranzo in visione della palata di roba che manderò giù questa sera, perchè stasera è l'ultima dell'anno ed è obbligo morale sfondarsi di cardi fritti fino a divenir pastella.

Un mese fa ho fatto shopping. Facendo shopping, ho notato un vestito al limite tra un film di Rocco Siffredi e una velina ospite di Barbara D'Urso alle tre del pomeriggio. Non so se Barbara D'Urso conduce qualcosa alle tre del pomeriggio ma per grazia del buon Dio sconosco il palinsesto televisivo, quindi datemela per buona. Il vestito in questione è così sexy e trash che non potevo non acquistarlo, e adesso abita il primo cassetto del mio armadio. La storia di questa tutina nera - sì, ho detto proprio tutina - è quella di una cosa provata per ridere, così, giusto per levarsi lo sfizio di sapere come mi sta, e secondo me, nella mia visione distorta dell'eleganza e della sobrietà, mi stava bene. Per questo l'ho comprata.
All'acquisto azzardato, data la taglia fasciante, è seguita una dieta ferrea e attenta che per l'occasione è stata denominata per l'appunto La fame della tutina. Già dal minuto dello scontrino sapevo che probabilmente non l'avrei mai indossata, se non nella mia camera per fare sfilate solitarie davanti allo specchio, ma sono stati i quaranta euro più compiaciuti e meritati della storia del nuovo conio europeo. Un investimento di vanità.

La fame della tutina non è servita a niente, perchè la tutina rimarrà nel primo cassetto del mio armadio ad infinito tempore: stasera lavoro. Non posso andare dietro un bancone con quel vestito, a meno che non si tratti di un party Playboy con velleità morbidose, ma non è questo il caso perchè il caso è quello di un Capodanno alla Farm.

Sì, passerò anche l'ultimo e il primo dell'anno nello stesso posto che è stato il simbolo di quello in chiusura, e questo blog ne è la testimonianza, ma chi mi legge sa quindi non riprenderò il noto topos dell'Anno dell'Arcobaleno che alla fine lo fu per davvero. Voglio ricordare però dei momenti che hanno rappresentato il meglio del meglio di quest'anno, non in ordine cronologico e neppure d'importanza, ma come mi tornano alla memoria: il discorso di Annibale D'Elia al Castello Chiaramonte il giorno dell'inaugurazione, il taglio dei capelli dei Porka's, l'arrivo di BR1 alla fermata degli autobus con le sue opere arrotolate nello zainetto da viaggio, il brindisi con Massimo Mion, la prima cena con Peppe Sirchia e Antonio Perdichizzi al Caffè Italia, le interviste e i racconti su Favara, la pagina di Repubblica tutta dedicata a Farm e la giornalista bionda, il vestito bianco e i pantaloni di lino di Filippo comprati insieme la mattina del 29 giugno, il mio viaggio al WCAP e le tagliatelle alla zucca rossa con gli startuppers, il Canciamula Day con tutta la squadra, Riccardo Luna che mi son persa per i miei calcoli operati, tutti i Second Life e i pancake nello Spazio Nero, la sediona, il coniglione, i palloncini rossi e il frigorifero pieno di terra, il viaggio a Roma e il premio ARS, Andrea e Florinda che ringrazierò fino allo sfinimento, il momento della firma e la nascita di FUN nello studio di Andrea a Gela, le beghe consiliari, le lotte personali e tutta la fatica che c'è voluta e per cui n'è valsa la pena.

Questa la mia carrellata professionale su un anno agrodolce, che sarà difficile da confondere nella mambassa degli anni, che non si perderà in mezzo agli altri. Stasera dunque, la tutina di Rocco rimarrà a casa e io metterò qualcosa di più comodo, stapperò con la mia mamma e il mio papà e  un altro po' di famiglia e ringrazierò per quello che ho avuto, e se perfavore ci arriva qualcosina in più io non ci sputo, ah.
Però non mi lamento, sono felice. Se stasera un petardo mi colpisse il cranio e io dimenticassi tutto, ditemi solo: eri felice. E io mi ricorderò tutto il resto, un resto non indifferente se consideriamo il suo nome: Gabriele, ovvero quell'uomo meraviglioso che sopporta la mia logorrea e i miei stress lavorativi ed esistenziali, mettendo sempre in secondo piano i suoi, ed essendo complice di infiniti peccati di gola di cui non mi pento mai, se fatti con lui. L'uomo che alimenta la mia ambizione, e mi sprona negli insuccessi, che
annulla ogni stanchezza e mi fa sentire come ogni donna dovrebbe: bella.
In una sola, bellissima e abusata, vera e potente parola: l'amore.

Non vestirò una tigre e non farò un trenino a Brigitte Bardot questa notte, ma lavorerò in un posto che è casa ed è sorriso ed è il posto del mio anno. Ringrazio i miei amici per essere amici, e ringrazio Calogero per l'opportunità lavorativa che mi ha dato nell'ultimo mese, facendomi entrare nelle teste delle donne tramite i loro capelli e per avermi fatta - e chi l'avrebbe mai detto - bionda.
Dedico questo mio post a due persone che l'Anno dell'Arcobaleno, spegnendosi per ben due volte, m'ha portato via: nonna Mela e Armando. La mia super nonna e il mio super eroe.

Ed infine un grazie ai miei lettori, tanti, troppi, infiniti. Rinnovo l'augurio fattovi a Natale, e che sia un anno pieno di creatività, finanziamenti europei, caffè da Gianco e clamorose notti hard.
L'ormai inaspettatamente bionda e sempre affettuosamente vostra,

Vale.

giovedì 26 dicembre 2013

Vado a lavoro, buon Natale.

Negli ultimi venti giorni ho scritto tre romanzi.
Certo, tutti nella mia testa, mica per davvero. Intanto li ho scritti e se avessi tempo e volontà per trasferirli su carta, diventerebbero dei volumetti a metà tra Fabio Volo e una qualsiasi scrittrice americana con un nome abbastanza comune tipo Joan o Kim, la quale ha scritto la storia di un amorazzo a caso tormentato ma a lieto fine, e gli è andata di culo che è finita nella collana Harmony. Ecco, questo sarebbero quei tre romanzi. Una piombata sulle palle.

L'interrogativo più frequente che ha addobbato questo mio mese natalizio è stato quello circa il mio lavoro all'interno di una parrucchieria. Io lo so, lo so, il mio ruolo non vi è ancora chiaro, e forse non mi va tanto di chiarirlo ulteriormente, perchè è divertente sapere che mi immaginate a lavare teste e  phonare chiome. No, io prendo gli appuntamenti, rispondo al telefono, vi poso il cappotto e vi faccio il caffè, vi coccolo se avete bisogno di coccole, vi consiglio sul biondo se necessitate di un consiglio sul biondo, e parlo con le nonne se hanno bisogno di parlare. Alla fine, non volendo, vi ho chiarito il mio ruolo che, per dirla in termini magri magri, è quello della segretaria. Io faccio la segretaria in un salone di bellezza, e certe volte non ho il tempo di farmi lo shampoo e neppure di truccarmi, quindi non sono il top del marketing a livello di esempio reclame, ma quando mi piazzano il mosso ondulato e una striscia di rosso Kate, non dico Belen ma quasi.

Quello che amo del mio lavoro sono le vostre teste.
Ci arrivano scapigliate, fuori posto, crespe, sfibrate e stanche, proprio come i vostri pensieri e i vostri affanni di donne e mamme, e vi mandiamo via luminose, in ordine, a posto dentro e fuori. Perchè quando lo shampoo ce lo fanno gli altri, con annesso massaggino e piega conseguente, fuori può essere Sarajevo bombardata e noi non ce ne rendiamo conto. Ci abbandoniamo molli molli tra le mani di chi ci pettina e spalma cremine ristrutturanti ed è l'amore, la quintessenza dell'armonia. Ci concediamo questo momento una volta ogni due settimane in media e ci ricarica così tanto che il coniglietto rosa Duracell in confronto è un uomo con disfunzioni erettili.

La categoria delle frequentatrici del salone che preferisco sono le nonne. Perchè mi manca la mia, in primis, e la cerco sempre nei loro occhi illuminati che parlano dei nipoti. Per le nonne i nipoti sono sempre persone ampiamente migliori di come sono in realtà: più bravi, più belli, più onesti, più intelligenti, più simpatici e più affettuosi del vero. Credo che i nonni abbiano nella percezione dei nipoti questa distorsione positiva che amplifica ogni qualità, cosa che nei genitori di verifica specularmente coi difetti: per loro facciamo sempre più schifo. E' per questo che io per le signore mature ho un riguardo in più: le accompagno al posto offrendogli il mio braccio, gli zucchero la tisana con calma e quando vanno via gli metto il cappotto, perchè a qualcuna fa male una spalla oppure un gomito - ah, sti dulura! - e cerco così di riparare alle mancanze avute con la mia, di nonna, sperando che dal posto dove si trova gradisca. Oppure magari s'ingelosisce e m'insulta.

Comunque tra nonne, signore, giovani shatush, ormai è passato quasi un mese dal primo giorno che ho posato il culo davanti a quel Mac. Un mese di appuntamenti verdi su iCal, un mese di playlist di Michael Bublè intervallati da qualche discone hip hop di gradimento del mio capo, un mese di roller, un mese di trattamenti Nioxin per la cute e per la corposità del capello, un mese di Color id e Illumina, e un mese di:
ma l'hai mollata l'università? Vuoi fare la parrucchiera?

No, ormai la finisco l'università e poi potrò divertirmi a fare l'intellettualoide disoccupata che parla di Sartre e denigra Manzoni davanti ad un buon calice di vino bianco, fregiandomi del mio essere dottoressa in Lettere Moderne, ma - onestamente - se potessi tornare indietro un phon e una spazzola imparerei a prenderli in mano e due pennellate sulle radici ci proverei a darvele, almeno un futuro assicurato, dico, l'avrei.
Ma adesso è così, faccio la visual. La visual merchandiser di Mimì Hair Fashion, Piazza dei Vespri, 92026 Favara, e vi inondo la home di caschetti e riflessi, e sapete una cosa? Mi piace.
Mi piace anche quando smadonnate al telefono perchè non conoscete nessuna Valentina e mi trattate come se fossi un operatore Telecom (non l'hanno ancora capito che non ci interessano le loro cazzo di nuove tariffe, lo so) e poi buttate giù, e mi piace anche quando siete corrieri esauriti che lasciano pacchi e mi prendono per rincoglionita, chè fondamentalmente lo sono, ma voi non siete da meno.
E poi questo lavoro mi piace perchè posso dire ogni mattina: io vado a lavoro. E non c'è sensazione migliore al mondo. Dopo il sesso e il tiramisù alla ricotta.

Come ho passato il mio Natale? Ho fatto quello che non posso fare mai, per dirla come una nota canzoncina triturapalle da pubblicità natalizia: ho mangiato e ho dormito, entrambe azioni annoverate nel mio pacchetto Luxury, inaccessibile per tutto il resto dell'anno. E fra qualche giorno mi toccherà raccontarvi dello stappo più figo e glamour e animalier dell'anno: la mezzanotte del trentuno.
Ci penserò. Nel frattempo vi auguro tanti panettoni al pistacchio e una discreta dose di Plasil a chi me vole male. A chi mi vuole bene una fornitura di Durex dodicimestrale e tanti dindini al tavolo verde.
Buone vacanze.

lunedì 9 dicembre 2013

Il ragazzo delle scale.

Stamattina ero sola a casa. E hanno suonato alla porta.
Ogni volta che sono sola a casa e suonano alla porta per me è una piccola tragedia personale. Specie se sono appena sveglia e in pigiama, che sono solita portare spaiato tra sotto e sopra, e dentro i calzettoni di lana (piccolo dettaglio atto a decapitare ogni testosteronica tendenza del lettore uomo).
Hanno suonato alla porta ed era il ragazzo che lava le scale. Ora, se c'è una cosa che le madri insegnano alle figlie femmine è che quando sono sole a casa non devono aprire a nessuno di cui non conoscano il nome, il viso, la paternità, il conto corrente, il numero di targa, la misura delle scarpe, la data di nascita e il gruppo sanguigno. Ancora prima di spiegarci cosa sono le mestruazioni, come ci si depila, che le donne non devono portare i baffi anche se Madre Natura puntualmente glieli regala, che dopo aver lavato le ascelle il deodorante è d'obbligo (concetto non sempre assimilato del tutto), che gli uomini sono tutti stronzi nati per cornificarci e fare regali scadenti per anniversari che in genere dimenticano, prima ancora di tutto questo: se io non sono in casa, non aprire a nessuno.

E io ho aperto. Anche se ero brutta e spettinata, tanto ormai il fidanzato ce l'ho e non devo preoccuparmi di essere perfetta pure al cesso, chè non si sa  mai quando arriva il Principe Azzurro.
Era il ragazzo delle scale che mi chiedeva se potessi riempirgli i secchi con l'acqua pulita per lavare, per l'appunto, le scale. Dice che aveva suonato a tutti nel palazzo e nessuno gli aveva dato conto, anche se sentiva i passi delle persone dentro. Dammi ci penso io, gli ho detto sorridendogli, perchè l'ho visto ch'era demotivato. Già lavare le scale degli sconosciuti e staccare le chewing gum solidificate sul pavimento non dev'essere esattamente come fare il manager di una multinazionale, poi se la gente non ti caga di striscio immagino che l'autoaffermazione professionale è ad un passo dallo schizzare alle stelle.
Poi, egregi signori inquilini, secondo voi questo signore come dovrebbe pulire gli spazi che voi insozzate se nessuno gli dà, non dico tanto, ma quantomeno l'acqua per riempire 'sti benedetti secchi?
E' come dire ad un cuoco giapponese: vieni a casa mia a preparare il sushi, e io ti metto a disposizione un pentolino bolli-latte e i coltelli di plastica della mensa della scuola.
O no?

Quand'ero piccola, volevo bene al signore che puliva gli spazi del condominio.
Arrivavo davanti casa con mamma, parcheggiavamo la 127 bianca, e se c'era il portone con entrambe le ante aperte e bloccate, voleva dire che c'era lui. L'androne era tutto lucido e ancora bagnato, con qualche chiazza asciutta, e un gran profumo di Fabuloso alla Lavanda. Ricordo ancora la bottiglia viola senza tappo, che usava come misurino per diluire il sapone nell'acqua. Entravo e lui mi sorrideva, aggiungendo qualche frase carina su come sono belli i bambini fino ad una certa età, o qualche simpatico commento sul mio riccio ribelle miseramente decaduto nel corso degli anni a cause di piastre Bellissime che di bello non hanno un cazzo.
Lo guardavo passare il mocio con forza, gli si gonfiavano tutte le vene degli avambracci e qualche goccia di sudore gli imperlava la fronte. Sapevo che faceva anche un altro lavoro e che aveva due bambini. Prima di conoscerlo ero convinta che tutti i papà andassero a lavorare in ufficio la mattina, che avessero una scrivania con un sacco di penne Bic nere e dei computer con Windows 95 coi quali i figli disegnavano i cani storpi con Paint e poi salvavano il file chiamandolo "auajsaaiaihalaf".
Mi spiegarono, i miei, che no, c'erano anche dei papà che per comprare le scarpe di Barbie con le lucine e il panino col prosciutto la mattina prima di andare a scuola, di lavoro tenevano pulite le cose che altre persone sporcano senza rispetto per gli altri. Alcuni, per esempio, si alzano la notte ancora col buio per raccogliere le cartacce che facciamo volare dai finestrini delle nostre auto in corsa e i pacchetti di patatine San Carlo ai bordi delle strade. E qualche volta non li pagano neppure per farlo. Il pensiero di quei papà che di notte si alzavano per raccogliere la mia spazzatura dalla strada, e pure a gratis, mi ha rubato qualche notte di sonno. E' da quel momento che la mia macchina è piena di cartacce e scontrini e giornali, che dopo un tot di tempo raccolgo e butto nei cassonetti. E' da quel momento che per terra, per strada, in giro, non butto neppure l'acqua.

Poi non l'ho più visto, il signore delle scale di quand'ero bambina. Mi piace fantasticare che quell'altro lavoro che faceva per arrotondare sia andato alla grande, gli abbia fruttato un sacco di soldi e adesso lui se ne sta comodamente seduto su un divano Frau nel salotto di casa sua, mentre qualcuno gli spiccia casa e sua moglie deve solo preoccuparsi di fare shopping o chiamarmi per prendere un appuntamento al salone.
Adesso, da noi, è stato rimpiazzato dal ragazzo delle scale, che ha due orecchini ma non è tamarro, che mi ha scaricato una quantità di scusa e grazie e buona giornata che neppure a Windsor la Vigilia di Natale, e a casa avrà una fidanzata che è fiera di lui e gli scrive messaggi su Whatsapp a cui lui risponderà quando avrà finito di profumarci il palazzo. E stasera mangeranno una pizza, coi soldini che lui s'è sudato, e guardandola si scorderà di quanto è stato brutto aver bussato a delle porte che sono rimaste chiuse.
E si scorderà anche di me, che la porta gliel'ho aperta ed era anche il minimo. Ma io non mi scorderò di lui perchè è finito in questo post senza saperlo ed è un modo come un altro per dirgli:

grazie.

mercoledì 4 dicembre 2013

#BeGoodini - Primo giorno di lavoro, lezioni sull'amarsi.

Inauguro oggi questa sezione del blog, in diretta dal mio nuovo posto di lavoro.
Quando il tuo amico-parrucchiere richiede la tua collaborazione  comunicativa non puoi fare altro che dirgli sì, dopo anni di collaborazione sua nei confronti di quella palla informe che erano i miei capelli, prima del suo ingresso nella mia vita. Adesso sono la visual merchandiser di Mimì Hair Fashion, un celebre salone di bellezza di Favara.

Ieri era martedì, il primo giorno lavorativo della settimana per questo salone e il primo per me,  sono arrivata alle nove, mi sono seduta alla scrivania - che Calogero ha appositamente allestito per me  e per la mission affidatami - e ho pensato:
ok, e ora da dove comincio?
Ma le cose, diciamo così, si sono cominciate da sole. La prima metà della giornata l'ho impiegata per imparare ad aprire e chiudere la porta, e ancora stamattina ho avuto qualche problema, fra l'altro.
Poi è arrivata Martina, nel pomeriggio. Martina che aveva i capelli chiari, ma li voleva chiarissimi e splendenti e Calogero glieli ha fatti chiarissimi e splendenti. E anche boccolosi, perchè Martina li voleva anche boccolosi, ma con gusto mica Shirley Temple. Ha impiegato qualche ora per fare tutto, ma alla fine lei aveva gli occhi sorridenti tipici delle ragazze che si guardano allo specchio e pensano: minchia, che sono figa.
E figa lo era sul serio.

Ora, a me è venuta voglia di farmi i riflessi biondi pure io con la tecnica roller, ma ci devo pensare.
Che poi vorrei anche sfatare questo mito per cui le ragazze cambiano capelli solo quando c'hanno l'iper delusione della vita e allora fanno la rivoluzione tagliando il capello cortissimo e sparandoselo rosso o biondo per regalarsi una new life, new boy, new tutto. No, non è vero.
Perchè Martina, per esempio, ieri aveva il suo fidanzato a farle compagnia, dal primo minuto di posa all'ultimo risciacquo. E lui la guardava pure con gli occhi innamorati, ve lo giuro, tutto il tempo.
Che poi uno pensa: ma che bravo, ma che paziente. E invece chi ama fa proprio così. Non sempre ma in teoria sì. Ma non era questo quello che volevo dire. Il punto è che le ragazze cambiano anche quando  hanno un uomo adorabile al loro fianco, perchè lo stesso la mattina quando si svegliano e si guardano allo specchio desiderano vedersi belle, perchè prima di amare qualcun altro è fondamentale amare se stessi. Sorridersi allo specchio e piacersi, di vero cuore.
Ecco, io questo l'ho capito col tempo, e quest'avventura me ne darà ulteriore conferma.

Stamattina una signora, non abituata ancora alla mia presenza, s'è fermata alla reception a fare due chiacchiere e conoscerci. Mi ha raccontato che domani saranno trentatrè anni ch'è sposata col marito. Io le ho fatto la domanda un po' prevedibile che si fa a tutti quelli che sono sposati da svariati tot di anni, e che non scade mai nel banale perchè, alla fine, ognuno ti dà una risposta diversa, dando origine a miliardi di riflessioni sull'amore e i rapporti di coppia: ma come avete fatto?
Lei m'ha detto che ogni tanto ha voglia di spaccargli la testa contro uno spigolo, specie quando lui esce per comprare il pane e si dimentica di andarla a prendere dal parrucchiere (un posto a caso), ma che poi lui si fa perdonare. mi duna na vasateddra e passanu tutti i cosi.
E credo che sì, l'amore fa anche questo, perdona, passa oltre, dimentica, resiste. E quindi il segreto dell'amore vero è solo l'amore, niente di più niente di meno.

Sapete cosa? Mi piace.
Mi piace questo modo che avete di guardarmi con aria interrogativa al vostro arrivo e uscire salutandomi col sorriso e per nome, perchè vuol dire che nel frattempo qualcosa ve l'ho data, seppur piccolissima, anche se lo fate solo per cortesia e buone maniere. Mi piace pensare che dopo un'ora insieme non sono più un'estranea ma una faccia della vostra giornata, e magari racconterete a pranzo al vostro marito che oggi da Mimì c'era una ragazza nuova con gli occhiali e che forse non è di Favara ma lo è proprio tanto.

Qui concludo il mio primo racconto, dal mio nuovo lavoro, che mi piace tanto perchè qua entrate belle ed uscite bellissime.
E siete solo un piacere per gli occhi di un uomo, ma soprattutto di una donna.

lunedì 2 dicembre 2013

La dura vita della PR donna.

Sì, perchè chi fa public relation c'ha la vita dura.
Ho provato ad analizzare un campione della specie, con cui mi trovo a stretto contatto e alla fine, sabato sera, durante uno dei picchi massimi del suo business, ho pensato: devo scriverlo.
La mia amica Carla - e a questo punto io farei una breve pausa per consigliarvi di leggere il resto di questo post con il seguente sottofondo http://www.youtube.com/watch?v=9Wmf_APgxkg- dunque dicevo, la mia amica Carla in genere si muove in coppia del suo socio, il mio amico Gioacchino, ma questo sabato sera era lavorativamente single, ergo sono stata la sua assistente, e considerato il risultato del mio lavoro, un'assistente veramente di merda. Però l'ho studiata, questa figura che incarna, la PR donna e devo dire che ha un appeal non indifferente.

La PR donna non ha due mani: ha una mano sinistra e a destra un prolungamento Nokia che le permette di parlare con chiunque e con più persone contemporaneamente nello stesso identico momento. La sua Cinquecento è considerata il salotto buono del sabato, nel quale ci si riunisce per: bere vino, ascoltare musica sobria tipo i Gogol Bordello, rispondere alle sue telefonate mentre lei conta gli euri, sclerare al posto suo, truccarsi, pianificare la domenica, e qualche sabato fa l'ho vista perfino preparare le lasagne pronte da infornare per il pranzo del giorno dopo, sempre con una mano sola, l'altra atta alla comunicazione as usual.
Sì, perchè la PR donna non ha tempo da perdere. Ed esce di casa struccata.

Esce di casa struccata, tanto lo sa che tra tutti i bar di Favara nei quali entrerà prima della serata, ce n'è sempre uno col bagno libero nel quale rintanarsi per il make up. L'ho vista entrare dentro un wc per truccarsi, io nel frattempo ho bevuto socializzato parlato di Natale comprato prenotato un volo per Parigi ma sempre nei miei sogni, e alla fine è uscita. Ancora struccata. <Non ho avuto tempo, ho parlato al telefono.>
E così la Cinquecento salotto buono della città s'è trasformato veloce veloce in uno studio d'estetica rapido.

La PR donna non teme nessuno, è spietata.
Può entrare a testa alta e in perfetta solitudine nei peggiori bar di Caracas, frequentati da pirati con una gamba di legno e sette casse di rum, non importa. Lei ne uscirà fiera, col rossetto intatto, e la faccia che dice: <Me la sento sucata.> , e altri euri da aggiungere al portafogli che obiettivamente è sul punto di strabordare.
Perchè la PR donna sa come si fa. Mantiene la calma, la simpatia, la disponibilità ma:
 <Biglietti senza grana nenti. Prima i grana, poi i biglietti.> 
E vi giuro, l'ho vista tenere letteralmente in ostaggio della gente nel sedile posteriore, fino all'arrivo del cash.

Però, c'è anche da dire che non ho visto mai nessuno col suo cuore.
Sì, perchè se la PR donna ti vuole bene il suo business non è mai solo suo, è divertimento condiviso. Ha un codice tutto suo, fatto di rispetto e generosità, che non tutti hanno nel suo ambiente. E le piace la gente per bene, ecco perchè stai sereno se c'è lei a portarti le persone nei locali.  Ogni sabato promette che è l'ultimo, che si ritira, che è stressata, ma il sabato successivo è di nuovo lì col salotto a quattro ruote pronta a girare, correre, truccarsi in giro, perchè in fondo le piace e si diverte. E si vede.

Alla PR donna, i PR uomini vogliono bene e anche chi mette su tutto, perchè è onesta. E si fa rispettare come se avesse un paio di noci di cocco fra le gambe, perchè è così, ha il cuore di una donna ma i coglioni di un uomo. E quando passi e le fai un sorriso, lei risponde con una consumazione.
Ma se passi e le stai sul cazzo, sei consumato.

<Chi vita marturiata>, quella della PR.