E tu sei il numero:

sabato 29 settembre 2018

Se sei mamma, scordati di fare la cacca.

Nel Manuale delle Piccole Mamme che tutti si premurano di stilare per te quando sei in dolce attesa, nessuno inserisce mai le regole del quotidiano. Quelle cose piccole ma importanti, che richiedono più di qualche minuto durante la giornata.
Quando nasce un bambino la routine della sua mamma viene completamente annientata. Un bombardamento di rigurgiti e coliche, sopra una città emozionale devastata. Ridotta in macerie, l'intimità di una donna lotta per ripristinarsi, aggrappandosi alle pause tra una poppata e l'altra, in cui ci si guarda allo specchio e si scoprono peli sul mento e capelli crespi, puliti ma privi di piega da settimane.Due sono i momenti della mia daily routine che l'arrivo di bomba-Antonio ha scardinato: la colazione (che comprende anche la regolare fisiologia dell'intestino e la doccia), e l'attimo social/lettura prima di dormire la sera. Antonio è uno di quei bambini furbi che crolla in braccio alla mamma, e che quando viene riposto nella culla attiva una sirena che, a nostro beneficio, potremmo anche affittare alle forze dell'ordine se la loro va fuori uso.

In questi giorni penso spesso a Chiara Ferragni e a suo figlio Leone, il bambino più sorridente e fotogenico dell'intero internet. Mi sono a lungo chiesta come facesse l'imprenditrice digitale più blonde e più salad del globo, ad essere sempre così rilassata e curata. Oltre naturalmente ad aver un team di truccoparrucco al seguito perenne, dico: ma questo bimbo una colica non ce l'ha? La ciclicità della poppata ogni tre ore, a te è sfuggita? Senti mai le ascelle che olezzano di cipolla fritta perché non hai avuto il tempo di lavartele per più di dodici ore? La risposta è no, perché lei ha la tata: io qualche volta gliela invidio, ma in realtà no per niente. La tata che annaca, la tata che allatta, la tata che raccoglie palline marroni dal pannolino, la tata che cambia la tutina ad ogni fiotto di latte. E lo fa per lavoro, ama un figlio altrui guadagnando anche - immagino - una cifra di tutto rispetto, e alla fine - se è una brava cristiana - comincio ad amarlo come un nipote vero, come succede a tutte le tate di buon cuore. A Chiara non resta altro che mettere in vetrina l'estrema pupezza del suo bimbo che, onestamente, è davvero bello come pochi, e farci le storie con Fedez e il cane: è una mamma che lavora tanto, spesso lontano da casa, non è che abbia molta scelta, penso. E dietro le griffe importanti dei bavaglini mai sporchi di latte, trovo che sia un po' triste.
Poi c'è la vita reale, cioè la mia, che la notte mi alzo con gli occhi sigillati dalle caccole e i piedi scalzi che puntualmente pestano le pipì di Zenzero negli angoli della stanza. Priva di vista e cognizione alcuna, riscaldo l'acqua nel microonde, perché è più veloce, mentre Antonio urla come un agnellino sgozzato in camera da letto, e mi mette più ansia del Bianconiglio ad Alice. C'è da sbrigarsi, l'ora X è scoccata da mezzo minuto, ma il pancino non può attendere, e quindi ciao scaldabiberon sei davvero troppo lento per i nostri standard di sclero. Poi c'è il ruttino, la passeggiata digestiva e il pianto polemico del Perché mi stai posando stronza ma chi ti ha autorizzato?
Io non so quale effetto ipnotico abbia il fasciatoio, ma per adesso sembra essere l'unico antidoto agli scazzi notturni di Antonio. Pianto disperato? Fasciatoio. Coliche gassose? Fasciatoio. Forse il legno con cui è prodotto il fasciatoio dev'essere intriso di qualche oppiaceo a rilascio graduale, altrimenti non si spiega. In alcuni momenti mi porterei il fasciatoio in giro per casa, se non fosse che sotto ha tre cassetti pieni di roba che da un giorno all'altro non gli viene già più. E quando scappa da andare in bagno, e sei una mamma stitica che se perde il treno lo ritrova dopo una settimana minimo, devi saltare su, non devi perdere tempo. Se sta dormendo, sei graziata dalla luce divina. Se non sta dormendo, piazzi il baby monitor sul bordo della vasca da bagno, con la speranza che non si accenda mai la lucina rossa che rileva presenze sonore aliene nella camera del pupo. Se le rileva devi scattare, lavarti di corsa, accontentarti di esserti liberata ma solo a metà, con quella soddisfazione incompleta di chi ha mangiato le Fonzies ma non si è leccato le dita: godere di meno per godere tutti.Va così il mio primo mese con lui, pieno di momenti in cui crollo e piango, soprattutto da sola, e mi chiedo se questa stanchezza e bisogno di fermarmi un attimo non siano un'irresponsabile falla nel mio ruolo di mamma. Mi sento in colpa, una madre inadeguata, se per un attimo il suo pianto diventa un rumore bianco, mentre cerco di battere il Guinness World Record di secondi impiegati per rimestare il latte in polvere dentro l'acqua bollente. Però c'è quel momento, solo nostro e non replicabile, in cui mi guarda dritto negli occhi, e ha la testa appoggiata sul mio seno, in cui tutto sembra avere una spiegazione chiara, perfino migliore di quella che hanno provato a darti prima che nascesse, snocciolando tutti i massimi sistemi della maternità, cercando di insegnartela. C'è lui, ed è l'unico che davvero può chiarirti ciò che devi fare, quale paziente vocazione serva per fare tutto con estrema calma, senz'alcun peso, senza sentire più la stanchezza o la fame, e imparando - col tempo - a gestire il tuo tempo senza sentir l'ossigeno venir meno. C'è questa cosa tra me e lui, che va oltre la bellezza e le regole comuni sull'amore che fino ad ora avevo sperimentato: lui è venuto da me, tramite me, e io sono qua per lui, in maniera totale e completa, senza limiti di tempo e spazio, perché è un prolungamento del mio stesso corpo, e aggiunta liquida al mio stesso sangue. Come posso spiegarlo? Di questo nostro legame, si può raccontare solo la superficie, la crosta fatta di abbraccio, di un bacio, di mille coccole, ma non basta. C'è un valore intrinseco nel rapporto tra madre e figlio, che la carne sola percepisce e decifra, arrendendosi al tentativo di definirsi con le parole. Questa cosa primordiale, la sappiamo solo tu ed io.
E' da quasi un mese che hai cambiato il corso degli eventi, ed io lavo e stiro e scrivo sempre meno, ma chi se ne frega. Chi se ne frega: che restino sgualciti i colletti e vuote le righe. C'è questo miracolo che si compie ogni ora, e che mi abbraccia inconsapevole, cercando invano un capezzolo che non ha potuto nutrirlo, e mi comunica la fame e il bisogno d'amore, che a un bambino può arrivare solo dal canale suo, il canale giusto, quello semplice e piccolo del contatto, della presenza. Del calore materno.
Allora io l'accetto questa sfida, e la prendo come un privilegio, un trofeo che ho tanto atteso, l'esserti mamma. Non me la ricordo neanche più la mia vita prima di te. Chissà com'era, di certo vuota, parecchio noiosa. E no, neppure fare la cacca di corsa, o farmi la doccia di notte è un problema, adesso che ho imparato.
E' l'ora del latte, corro.

giovedì 21 giugno 2018

La maturità di Gabriele.

Mentre scrivo, Gabriele sta sostenendo la seconda prova scritta dell'Esame di Maturità.
Un anno fa è tornato a casa da lavoro e mi ha detto: mi voglio diplomare. E adesso lo sta facendo.
Gabriele è un tipo sveglio, di quelli sgamati, che non ha bisogno di applicarsi tanto per imparare qualcosa: lui osserva, ascolta e dopo un minuto replica, e anche bene. Però ha scelto di lavorare, da sempre, imparando un mestiere faticoso ma che lo affascina, lo appaga in un modo ai miei occhi misterioso, ma che lui sa.
Il mese scorso mi ha mostrato fiero la foto di un cappuccino, con la schiuma ch'era una nuvola perfetta. Io, abituata ai suoi cappuccini che sono tutti delle nuvole perfette, non mi sono stupita. Gli ho chiesto: e allora?
Mi ha risposto: è latte di soia, amo! Capisci? E' difficilissimo far montare così il latte di soia!
E allora sono stata felice anche io, per il suo cappuccino con latte di soia, montato a nuvola.
«Lo faccio per diminuire il gap culturale tra me e la mia compagna», ha spiegato al dottore che mi stava prescrivendo le analisi del mese. E allora abbiamo riso, tutti e tre. Ma io ridevo perché, onestamente, sono più le cose che lui ha insegnato a me in questi anni, che viceversa. Gabriele è sempre stato per me un esempio, un punto d'arrivo e l'altra sera ad una degustazione di vini, parlando con un sommelier, mi ha fatta impallidire di vergogna. Enumerava cantine, etichette ed annate, con una sicurezza appassionata e un entusiasmo che - credo - di non provare per nulla di specifico, nella mia vita. Invece lui ama, scava, studia l'intimità di ogni segreto che riguardi una tazza, un calice, un piatto e un bicchier d'acqua: come fanno i professionisti, che stanno in silenzio, non si celebrano, e intanto ascoltano, annusano, assaggiano, sbagliano, apprendono di continuo.
Ha scelto un mestiere e adesso anche il diploma, celebre pezzo di carta, che pure non mi pare sufficiente a testimoniare la sua cultura su un universo infinito di cose sulle quali mi rinfresca spesso la memoria, nonostante io le abbia imparate ben sei volte in sei diversi esami di storia all'Università. Sono così piena d'orgoglio, se penso poi che finita questa mattinata a scuola, tornerà a casa per un piatto di pasta super veloce, vestirà la sua divisa da lavoro e inizierà il suo turno, fino a questa notte.
In un mondo di ragazzini viziati che vedono i libri come una condanna invece che come la libertà, e di lavoratori perennemente stanchi e lamentosi, questo padre di mio figlio mi pare un eroe sorridente, che non bofonchia mai, e fino a tarda notte resiste sveglio ai miei racconti, alla mia necessità di parlare, per non pensare al parto. E che parla inglese perché l'ha imparato servendo pasta con le vongole e caffè macchiato ai turisti americani, e mi stupisce sempre per la tenacia e la caparbietà con cui attraversa le sfide.
Gabriele non mi ha mai detto: sono stanco, lasciami stare.
E non ha mai lasciato che i piatti sporchi restassero sporchi per più di un giorno, quando non potevo alzarmi dal letto.
E la sveglia alle quattro, tutte le mattine, non la maledice mai: è il nostro pane, dice.
E sarà l'esempio migliore del mondo per il nostro Antonio, che spero gli somigli almeno un po', e non prenda da me l'incostanza latente che ogni tanto m'acchiappa.
In bocca al lupo papi, siamo tanto fieri di te.

martedì 12 giugno 2018

Ventinove settimane.

Letto, aria condizionata e patatine light.
Inizia così la settimana numero ventinove, che è parente di trenta, e comincia a piacerci.
In quasi otto mesi di gravidanza, passati perlopiù ad analizzare la fauna delle mamme pancine nei vari gruppi Facebook cui sono iscritta - più per diletto, che per reale necessità - sono arrivata a delle conclusioni, che rappresentano un dato interessante, a mio modesto parere.
Perché, perché, solo l'1% delle donne che postano roba su questi gruppi, riesce a scrivere correttamente la parola «cesareo», soppiantata da una quanto mai ricorrente e ormai ampiamente tollerata «cesario»? Gli strafalcioni più quotati poi riguardano: le contrazioni di Braxton-Hicks, la culletta Next to me, il massaggio perineale e tanta altra roba, che andarla a ricercare è un lavoro.
Ogni tanto mi interrogo su che madre sarò. Fare adesso una lista programmatica delle cose da fare/non fare è del tutto inutile: troppe componenti ignote. Sarà l'istinto a dirti ciò che è giusto, mi dicono, l'amore. Eppure è così facile sbagliare, anche per un genitore che ama tanto. Però le vedo le cose che non mi piacciono negli altri genitori, e quella che in assoluto mi manda più in bestia è il voler accelerare i processi di crescita dei bambini, come se nascere e diventare già grandi, saltando gli step della beata incoscienza puerile, fosse un vanto. Chi ha il figlio più precoce, vince.
Mia figlia ha sette mesi e già si sceglie i vestiti da sola: io non comando. (Sorrisetto compiaciuto)
Mio figlio ha 14 mesi e ha già tre fidanzate. (Ipercompiaciuto)
Mia figlia ha 72 giorni e già suo padre se la mette in braccio quando guida, e lei gira lo sterzo. (Minchia, che brava)
E tanta altra roba di questo tipo, che se riguardasse gli elogi verso reali sviluppi psico-cognitivi del bambino, chapeau, ma niente di tutto questo riguarda la vita di chi sa appena parlare: i vestiti, il fidanzato, la macchina e - non plus ultra - le fotografie di genitori prìati (che vuol dire sempre compiaciuti) che ficcano in bocca ai figli neonati sigarette spente, così per ridere e per fargli vedere poi da grandi quant'erano scapestrati da piccolini, mi danno l'orticaria. Fategli fare i bambini.
Ma che ne sapete voi, di quanto possa stare sul cazzo a un bambino la domanda: e la fidanzatina ce l'hai?
Chiedetegli se gli piace il mare, se ha un animale domestico e quanto gli vuole bene, se vuole un altro biscotto, non se desidera l'ultimo completo di Pignatelli per il giorno delle sue imminenti nozze.
Detto questo, io non lo so Antonio come sarà. E quanti errori farò, peggiori di quelli su elencati, senza neanche rendermene conto.
Il suo carattere non dipende da me e neppure da suo padre, ma la sua educazione sì, e vorrei tanto essere una madre migliore di quelle che lasciano i figli scorrazzare liberi, indisturbati e urlanti, fra le gambe dei camerieri, il sabato sera al ristorante. Mentre loro si fanno i selfie con le amiche. A quanto pare, non esiste una via di mezzo tra il fargli pulire i pavimenti con la testa e rincoglionirli piazzandogli sotto il naso YouTube. Ma è vero?
Dicono che poi capirò.
Ma io, al ristorante, pure da ninnella, pensavo solo a mangiare.
Risotto spinaci e gamberetti era il mio preferito, in un posto in cui andavamo spesso. Chi se ne fotteva del fidanzatino, della piscina, di non sporcarmi la camicina: la gargia era già tutto.
E spero che Antonio sia così: sveglio e gargiuto, anche monello ma non il più monello, e che sia bambino per tutto il tempo della sua bambinezza, che a diventare grandi si diventa solo più annoiati.
Poi, se nasce col «cesario», ve lo faccio sapere.

lunedì 28 maggio 2018

Amore a bordo - Lettera #5

Lettera #5
Mi avevano detto tante cose, una su tutte: la gravidanza è un'altalena.
Certe mattine mi sveglio come un leone, altre - tipo oggi - con zero energie. Quante cose devo fare, ma quante! Tutte le tue robine sono già lavate e pronte per il borsone. Settimo mese, valigia pronta: ho scoperto essere un mantra. Le nonne fremono, corrono a destra a manca, con l'ammorbidente in una mano e il ferro da stiro nell'altra. Io, invece, ho iniziato a sognarti la notte; sicuramente sarai biondo-rosso come papà.
Ho comprato una nuova agenda.
La scorsa settimana abbiamo realizzato una nuova intervista per chetiracconto.it, devo aggiustare il pezzo e mettermi davvero a lavoro per trovare una spalla per i prossimi mesi, qualcuno che scriva, prenda i contatti, lavori nel team insieme a noi, mentre io sarò occupata a farti uscire e poi a renderti felice. E poi c'è Balarm, ed io sempre alla ricerca di storie nuove da raccontare: come fanno a nascondersi così bene? Ci piace fare tutto, le cose che ci rendono felici, non riusciamo a smettere.
Ma tu scalci e forse vorresti solo dirmi: mamma, dormiamo abbracciati. Anche se di dormire non ne vuoi sapere, non sei come Zenzero che, ad esempio, in questo momento sta ronfando sotto al letto.
La scorsa settimana, una persona mi ha comunicato di esserci rimasta male perché non l'ho presa in considerazione per un progetto; un'altra perché non mi ero fatta sentire; e un'altra perché non ci vediamo mai. Io mi scuso, ma mi viene da ridere: forse ogni tanto sfugge questo particolare piccolo, che sto per diventare madre, ed è già tanto se mi ricordo di depilarmi. Ma giusto perché potremmo dover scappare da un momento all'altro. Non me ne frego mai, quando la gente s'offende: a me dispiace, ma adesso è il momento di pensare a noi, staccare i telefoni, rispondere a chi ci va, non provare a risolvere i problemi altrui. Come ho sempre fatto.
Sette mesi, valigia quasi pronta, pazienza col mondo quasi finita. Tu, io, papà e Zenzero: sono cattiva se penso a questo, come unico quadrilatero possibile dell'amore?
Mercoledì verremo a vederti, che sorrisi mi dai, e che ansie. Voglio solo tu stia bene, ché neppure immagini che festa ti aspetta, figlio mio. Miracolo nostro.
La tua mamma.

giovedì 17 maggio 2018

Aspettando Antonio in compagnia di Zenzero: la mia gravidanza con un figlio chihuahua

E' necessario dire che lui l'aveva capito prima di tutti e che, in effetti, non avendolo scoperto col classico test di gravidanza, possiamo considerare che il mio primo test positivo è stato il mio cane.

Non ho vissuto il momento (tanto sognato) dell'uscire dal cesso con l'astuccio con le beate due linee rosa da sbattere in faccia a Gabriele, perché - come già raccontato nelle puntate precedenti - Antonio è venuto fuori direttamente dall'ecografia, coi suoi 17 millimetri di vita pulsante.
Tutto ciò che è avvenuto nelle settimane prima, era stato decifrato come una banale influenza, durante la quale Zenzero, curiosamente, aveva iniziato a dormire con la testa poggiata sulla mia pancia.
Ma facciamo un passo indietro.
Dal giorno in cui è diventato figlio nostro, lui dorme nel lettone, cosa che continua tutt'oggi a fare, rigorosamente abbracciato alla sua mamma, che sono io. Il suo angolino è all'altezza della mia ascella, che riempie con meticolosa precisione, col suo capino bicolore, tutte le notti. In inverno ha l'abitudine di scavare con la zampina sul piumone, per lasciarmi intendere: tiralo su, che sento freddo e voglio andare là sotto a riscaldarti i piedi. Io lo faccio e dormiamo felici: io coi piedi caldi, e lui avvinghiato a me.
Da quando ho iniziato ad avere i sintomi di ciò che poi si è rivelato una gravidanza, al momento della nanna, Zenzi ha mutato la consuetudine: sotto al piumone ci va per abbracciare la mia pancia, custodirla e proteggerla. E adesso, inevitabilmente, per sentire i calci di Antonio, che cominciano a vedersi anche da fuori. Il mio bambino peloso si diverte, ma si scazza assai quando qualcuno prova ad avvicinarsi a me, ad abbracciarmi, a darmi una carezza, a introdursi in casa nostra amichevolmente. E' il mio bodyguard chihuahua e, in quanto tale, il suo mestiere è quello di proteggermi da ogni eventuale minaccia per me e suo fratello. Siamo Kevin Costner e Whitney Houston, in pratica

Solo Gabriele (e neanche tutti i giorni) ha diritto a:
- n.1 bacio su guancia di mamma;
- n.2 abbracci, distribuiti nell'arco della giornata con intervalli di almeno sei ore;
- n.2 pasti consumati insieme, a patto che lui, sotto al tavolo, possa beneficiare di pane e avanzi di pollo.

La cameretta di Antonio, invece, è luogo di ricognizione quotidiana: quando apro la porta per rivedere la lista di ciò che ho e ciò che manca, Zenzero si infila sotto al letto, annusa il fasciatoio e verifica che i vestitini siano realizzati con la qualità migliore di cotone presente al mondo. Come? Annusandoli, ovviamente. Uno starnuto vuol dire ok, due starnuti buttalo che fa schifo.
Certo, è cambiato il modo di gestire la questione pipì e popò canina: bagnetti, e chili di salviettine imbevute per ripulire le zampine ogni volta che esce in balcone o fa una passeggiata, musino sempre lindo e perfetto, e guanti in lattice per buttare via la traversina assorbente. Siamo innamorati ma non sprovveduti, e sappiamo che applicare le dovute cautele igieniche alla convivenza col nostro cagnolino, significa essere genitori responsabili che non vogliono correre rischi inutili per la gravidanza. Ma questa è la sua casa, e tale resterà, fino a che il buon Dio mi darà il privilegio di vivere con lui, e coccolarlo in dosi massicce.
Adesso, che la panza cresce, e la notte va spesso in bianco, lui non dorme, veglia con me. Fedele compagno nell'insonnia e negli attacchi di narcolessia post-prandiali che mi acchiappano ferocemente: russa come un uomo fatto e finito, ma scatta come un felino quando recito la sua preghiera preferita: ho fame Zenzi, andiamo a mangiare.
Anche i miei break sulla sdraio, tra un lavoro e l'altro, sono puntualmente controllati dal mio cucciolo: mangio lo yogurt e gli lascio leccare il barattolo alla fine, guardiamo il Grande Fratello (e un po' ce ne vergogniamo), la frutta un morso io e uno lui, e poi ci rituffiamo nel lettone. Quando Gabriele è a lavoro, lui si distende al suo posto e mi fissa nel gli occhi, fino a quando non crolliamo. Ogni colpo di tosse, starnuto o conato di vomito, lo allarma: per i primi quattro mesi, quando le nausee mi sfinivano e tenevano legata al water, lui non mi ha mollata mai neanche un minuto. Zenzero si sedeva ai miei piedi, e quando mi vedeva star troppo male, correva ad abbaiare a Gabriele o in prossimità della scala del condominio, perché qualcuno venisse in mio soccorso. E' mio figlio, anche lui.
E l'altro giorno, quando pensavamo al tappetone di gommapiuma su cui piazzeremo la palestrina per il bimbo, li abbiamo immaginati insieme - come dal primo giorno - a farsi le coccole. Antonio che gli tira la coda, e Zenzero che gli ruba la merenda. Il più bel regalo che potremo fare a nostro figlio, sarà un fratello chihuahua, con cui crescere e imparare a camminare, ad amare gli animali e ad averne rispetto sempre, amandoli come persone. Sarà ricco di quest'amore unico e irripetibile e, si spera, lo coltiverà con altri cuccioli nella sua vita. Da grande poi gli racconterò di come suo fratello Zenzi aveva capito tutto prima di mamma e papà, e già lo amava da morire.
E lo proteggeva dal mondo.

domenica 1 aprile 2018

Risorgere.

Sei arrivato quando stavo per raschiare il fondo delle mie energie.
La perdita del papà di Gabri, brutte notizie per il mio, il trasloco, le partenze, le distanze, la fine di un lavoro che mi ero sudata e in cui avevo creduto e dentro il quale, alla fine, non mi riconoscevo più. Tutto in due soli mesi: da agosto ad ottobre.
Avevo perso ciò che comunemente si definisce: pace interiore.
Sapevo che per ripartire, sarei dovuta tornare indietro, fare qualche passo verso la passione che non mi ha mai tradito o lasciato sola: la scrittura.
Un giorno Marcello mi ha telefonato, invitandomi a casa sua insieme ad altri quattro, che tu adesso conosci bene coi nomi di: zia Chiara, zio Fulvio, zio Mattia. E naturalmente zio Marcello. Da quell'incontro sarebbero iniziati cinque mesi di lavoro fittissimo, per dare vita a chetiracconto.it
Poi le nausee, i giorni a letto, la spossatezza: è virus, non è virus, è gastrite, e le pillole, le iniezioni. Invece eri solo tu, per fortuna. Così, dal giorno che ti conosco, mi pare che nessuno mi conosca meglio di te: dall'interno mi hai vista vestire ogni gamma del mio umore. Dalla mia pancia, hai sentito la mia rabbia, la delusione, la gioia, e la commozione. Ecco, da quando ti conosco mi commuovo più spesso, e i cartoni animati con cani e/o bambini sono un vero strazio d'amore per me. Con la tua esistenza lunga venti centimetri, hai preso tutti i lati peggiori del mio carattere e li hai annientati, ovattandomi dalle sensazioni negative e filtrandole col tuo cuore, prima che arrivassero al mio. Un figlio ti cambia, ho sentito ripetere per tutta la vita. Sulla fiducia ci credevo, ma non sapevo che potesse iniziare a farlo ancora prima di nascere.
Sei la mia Pace.
E quindi, anche la mia Pasqua.
Perché smorzi tutte le cose che mi montano in pancia, quando vorrei perdere la testa o rispondere alle parole con altrettante parole: tu mi hai regalato il silenzio. Non quello di chi si arrende, ma quello di chi riesce a planare sopra gli eventi, gli sbagli, le piccole cose stupide, sopra il poco valore. Come ho fatto a non vivere così, prima di te? Come ho fatto a non immaginare quanto bene si sta, a fluttuare leggeri, rispondendo all'ignoranza e alla cattiveria, solo con una dose di spiazzante amore?
Sei il mio Salvatore.
Ed è questo il più grande privilegio dell'esserti madre: averti ricevuto come un dono, non quand'è festa, ma per portare una festa.
E in quest'uovo che è la mia pancia, tu balli le musiche dei bambini furbetti, che spero non somiglino affatto a ritmi latino-americani che ascolta tuo padre a casa.
Di me, Antonio mio, ti dirò - in tutta sincerità - che non ho voglia di far telefonate o mandare messaggi di auguri che io non senta di dover fare col cuore. Non sono mai stata una brava attrice.
Una Santa Pasqua arrivi con più forza dove Dio vede famiglie disgregate e lontane, parole sottaciute, rabbia repressa, invidie immotivate e giudizi perentori, tradimenti e livori che avvelenano di inutilità. Tutta robaccia che non vedrai mai, da dove ti trovi e neanche quando ne sarai fuori, in tua madre e in tuo padre. Nella tua casa vedrai solo l'amore che ti ha portato, e che tu stesso arrivando hai moltiplicato.
Che sia una Santa Pasqua anche per tutti voi.
Il Sacrificio della Croce, che ogni giorno sperimentiamo in piccola parte con chiodi di diversa misura, ci dia un motivo in più per sopportare ed uscire migliori dalle nostre sofferenze. Provati ma forti, pronti a tutto: anche alla felicità. Pensando che nella storia accanto, c'è un dolore più grande del nostro, e neppure lo vediamo, annebbiati dall'egoismo e dalla vanità.
Valentina.

lunedì 26 marzo 2018

Quinto mese.

Ho aperto la finestra e, oltre ad uno schiaffo di vento gelido, mi è arrivato in faccia un pugno di broccoli: probabilmente qualcuno nel palazzo è a dieta anche di domenica, o starà facendo la pasta 'ncaciata.
Le nausee, non si sa come e perché, sono tornate sono vive e lottano e fra noi, tutte le mattine. Ma si capisce, sono entrata nel nuovo mese e gli ormoni fanno un gioco di risacca non indifferente.
Abbiamo dedicato il week-end al primo shopping per Antonio: in due giorni ha collezionato già più vestiti di me e Gabri messi insieme. Ieri sera a cena, ho guardato in faccia i miei amici e sono stata felice.
Non ho moltissimi amici, nella vita reale: saranno una decina, a voler esagerare, e di questo vado fiera. Me li porto dietro dal liceo: sembra passato un giorno scarso dal nostro esame di maturità, ma di anni ne son passati dieci. Così come dal mio primo incontro con Gabriele: un ragazzino sorridente dietro un bancone, con la battuta sempre pronta e un'energia che ai tempi invidiavo. E che invidio anche adesso.
- Ne abbiamo fatte di cose belle insieme, ma questa è di gran lunga la migliore, vero?
- La migliore! E' il nostro capolavoro!
- Qua dentro c'è nostro figlio, ti rendi conto? Un bambino che somiglierà a me e a te...
- Speriamo di più a me, perché sono bello.
Ci penso, a come ha fatto a passare il tempo, e mentre il mio ombelico esce fuori e le canottiere, sempre più corte, lo scoprono, penso che eravamo un branco di intellettuali senza futuro, finiti tutti con un laurea e poco lavoro, in una vita che ci sembrava di star vivendo a 200 all'ora con un'intelligenza al di sopra della media, ma erano solo i soldi dei nostri padri che ci facevano dormire sereni, coi libri sul comodino, freschi come le rose la mattina seguente. Le valigie piene di vestiti stirati e un autobus per tornare a casa tutti i fine settimana.
E mentre facevo e mi credevo tutte quelle cose, Gabriele dov'era? In un altro amore, convinto di chissà quale altro destino, lontano una galassia dall'idea che un giorno avremmo guardato dei test negativi e pianto, pensando che un figlio arrivasse con uno schiocco di dita, seguendo solo l'impeto delle nostre volontà. Lo penso con tenerezza privo di quella ruga al bordo della bocca, che noto tutte le notti prima di dormire, con più capelli e una giacca a righe per andare a ballare. Provo gratitudine per la felicità che ha vissuto, prima di essere felice con me.
Ed oggi piove, e le mie Nike che si erano asciugate in balcone sono di nuove fradice, e Zenzero dorme sulle mie gambe, appoggiato ad una pancia che prova a digerire l'aroma d'anice dell'acido folico e del multivitaminico, e una pizza fredda in frigo, residuo di questa cena di cui vi parlavo, nella quale ci siamo ritrovati grandi, e se non proprio più sereni almeno: più forti.
Scorgo del fascino in tutto questo e sento di dover fermare con un'istantanea questo momento di rottura, di cambiamento: anch'io, come mio figlio, sono nella pancia di qualcosa e provo a nuotare libera per poi rinascere madre. Madre come mia madre.
Ancora troppo figlia come mio figlio.
Non c'è niente che lavi le cose come la pioggia, ma qua io vivo al mare: la pioggia non lo bagna, lo ingrassa. Oggi i pescatori riposano in casa, guarderanno le partite.

mercoledì 21 marzo 2018

Il 21 a primavera.

All'università, quando avevo un esame di mercoledì, mi sentivo al sicuro.
Mia nonna Mela, devotissima di San Giuseppe, mi diceva puntualmente: 'a mamma, 'u merculi di San Gisippuzzu, stai contenta. Questo, negli anni, ha rafforzato la mia sicurezza nel successo degli eventi che cadono a metà settimana, potendo godere della protezione del papà di Gesù in persona.
Ogni volta, prima di un'ecografia, mi sento esattamente come prima di un esame universitario: la certezza di aver fatto il possibile per non ostacolare l'esito positivo, mista alla consapevolezza che, in ogni caso, è sempre una questione di culo. Un libretto come una cartella medica, diventare mamma come laurearsi: mi sento uguale.
La gravidanza è una corsa ad ostacoli: se l'affronti preparata salti senza problemi, se l'affronti senza l'adeguata preparazione t'accappotti., così mi ha detto l'altro giorno il mio medico curante Carmelo, provando a convincermi del fatto che, essendo tutto super monitorato, è difficile che qualcosa sfugga. Ma io, al fatto che qualcosa possa sfuggire, ci penso sempre, e anche se lui mi cataloga come mammifero e pertanto predisposta al parto per mia stessa natura, l'ansia non la posso far fuori stamattina.
Zenzero mi coccola, addormentato fra le mie gambe, come una ciambella bicolore. Ogni tanto strofina il muso morbido sulla mia pancia ogni giorno un poco più tonda, e mi pare di capire che ci sia una comunicazione in atto, uno scambio di informazioni tra fratelli. Sì, è così che li penso: fratelli.
Mi sento di confermare anche stavolta che Google è il peggior nemico delle mamme in attesa, e di aggiungere il dettaglio che, anche quando le nausee sembrano sparite del tutto, possono ripresentarsi quando meno te l'aspetti. Tipo mentre dormi, hai gli occhi chiusi e non fai in tempo ad arrivare al bagno.
Ho tutta la discografia di Lucio Dalla da dedicare a Fillino questa mattina, ad effetto camomilla per me; chissà che faccia hai, chissà che cosa sei. Una cosa è sicura: tu non mi basti mai.
Se nonna Mela fosse qui ancora, io la chiamerei e adesso, anziché scrivere, sarei al telefono con lei a farmi spiegare come si fanno sette figli, a farmi persuadere che i bambini lo sanno come sistemarsi comodi là dentro. Sanno come viaggiare. E come prima di ogni esame mi direbbe di chiudere i libri, farmi una doccia e uscire a prendere una boccata d'aria. A mangiare un gelato.
Nel frattempo è uscito il sole, aggressivo contro queste nuvole nere che accolgono male la primavera (ed è anche l'onomastico di mio papà!) perché si sa: a San Benedetto, la rondine è sul tetto.
Vorrei già averti tra le mie braccia, poter dire: ce l'abbiamo fatta. Ma è ancora tempo di guardarti da fuori e sognarti, lasciarti nuotare e pregare che nel tuo stile a ranocchia bambina te la cavi bene, che porti a casa almeno un bronzo.
Gli appuntamenti con te sono gli esami della vita mia, amore.

martedì 13 marzo 2018

Amore a bordo - Lettera #4

Ciao amore,
certe volte ti scrivo per sentirti, certe altre per paura. Oggi ti scrivo perché ho paura.

Pensavo che diventar mamma fosse semplice: resti incinta, attendi attendi attendi, poi nasce e via. Ma se fosse stato tutto così facile, non sarebbe stato reale.

Quando papà ed io abbiamo provato ad averti, me l'hanno detto subito: hai l'utero setto (diviso a metà), prima di avere un bambino, devi operarti e sistemarlo. 
Ma poi, proprio durante un'ecografia per vedere di aggiustare quest'utero tutto matto, sei saltato fuori tu: il nostro miracolo.

Era l'otto di gennaio del duemiladiciotto, il tuo papà stava dormendo dopo un turno a lavoro. Ed io ero in uno studio ginecologico con la mia mamma e il mio papà - che era rimasto giù in macchina per delicatezza - e lì, in quella sera scarica e spenta, qualcuno da lassù ha acceso la mia luce più bella.


Vomitavo da giorni e giorni, e il dottore a un certo punto mi ha chiesto:

Valentì, ma l'hai fatto il test di gravidanza?

Ma noi eravamo sicuri, certi, che non potesse essere vero: non questo mese. E invece, invece amore mio ci hai stupiti e sei volato dentro questa pancia un po' imperfetta, ma che continua a lievitare ogni giorno, come un pane profumato e caldo. Si sta al caldo lì dentro? Stai bene?

Nel manuale delle mamme dovrebbero scriverlo al primo paragrafo, ma che dico, in copertina: 
Comincerai a chiederti se sta bene, dal giorno in cui scoprirai di aspettarlo. Sarà la tua unica ossessione e desidererai ricevere una risposta, ogni volta che glielo chiedi, parlando da sola - ad alta voce - come una matta.

Mi hanno detto che, proprio a causa del mio doppio utero, avrai un po' meno spazio e potresti chiedermi di venir fuori prima del tempo. Devo stare a riposo, a dieta, evitare le schifezze, ma poi ogni tanto mi viene voglia di pizza e cedo: ti piace il salato, ho capito. L'ho capito per un cannolo alla ricotta intero, non me lo fai finire mai.


Ogni tanto mi perdo in articoli e statistiche, numeri che disegnano percentuali spaventose. Vado su Google e cerco: gravidanza utero didelfo.

Allora piango, senza farmi vedere, e ogni settimana nuova che iniziamo insieme, ringrazio Dio e la Madonna e tutti i Santi. Quando mi piglia l'angoscia, vado da Gabriele e gli dico:

Come sta oggi Fillino?

Bene amore, non lo vedi come sei bella? Come deve stare? Bene!

La mia mamma dice che non devo perdermi nei meandri di internet.

Ma come, una ragazza colta e laureata come te, crede a queste cose che legge? Non le guardare, prega!

Il tuo papà dice che ho le minne giganti, più giganti di prima, ecco perché è sempre felice e contento. Anche quando torna da lavorare, si distende accanto a noi e comincia a coccolarti, a darmi baci attorno all'ombelico, facendomi notare quanto stia venendo fuori, a poco a poco. E poi con la mano grande, enorme, ci riscalda: pensiamo all'ultima ecografia, in cui hai ballato come un piccolo John Travolta, tutto il tempo. E alla prossima, in cui sogno di vederti ballare di nuovo, questo valzer dei bimbi piccoli e moderatamente monelli. In momenti come questo, amore mio, non riesco proprio a dubitare che possa andar bene. E che tu possa avere la sua bocca a cuore, e il naso all'insù. Glielo dico e lui sorride, il furbo.


Amore, ma di me proprio niente deve prendere? Sono la mamma.

Voglio che prende la testa, e basta però.

Ah, Fillino mio, quanta pazienza ci vuole col tuo papà.

Poi penso al destino: se ha voluto che noi quattro fossimo famiglia, famiglia saremo. Vero?



giovedì 8 marzo 2018

La festa della donna per me: variazione sul tema mamma.

Questa mattina, in ordine, mi è stato detto che: sono speciale, profumo d'infinito, reggo il cielo, ho una marcia in più.
Perchè sono donna.
«Eh, ma sai Vale noi festeggiamo per la parità. Noi veramente abbiamo qualcosa in più. Siamo forti, siamo multitasking, sappiamo soffrire in silenzio, gli uomini neppure sono in grado di fare quello che facciamo noi.»
Brave. Io, onestamente, non mi sento più speciale, grandiosa o forte del mio compagno: mi sento uguale e diversa al contempo. Non di meno, non di più.
Tempo fa ho letto, condiviso da qualcuna sulla mia home, un post molto triste sulle donne in gravidanza. In buona sostanza, il post diceva che i papà non possono valere quanto le mamme, perché alle mamme cresce la panza, le mamme vomitano, le mamme soffrono il parto, le mamme c'hanno il bambino dentro per nove mesi, le mamme stanno sveglie le notte per allattare, e tutto il resto, dunque: cari papà, ci siete serviti per mezzo grammo di seme, ma non contate un cazzo. E tutte giù a commentare: quant'è vero, parole sante, loro non possono capire.
Brave.
A questo punto: auto-inseminatevi e fate le madri single, tanto avete una marcia in più. Gli uomini, in fondo, a che servono?
Il mio compagno questa notte si è alzato alle 4.30, per andare a lavorare.
Tutte le notti sgrana gli occhi, ogni volta che mi alzo per fare la pipì (tante). Dopo aver lavorato e aver provveduto ai bisogni economici della nostra famiglia, pulisce la nostra casa, mi prepara da mangiare e si stira da solo la divisa del lavoro, dato che molte volte non riesco a muovermi dal letto. Mi ha tenuto la testa ogni santa volta che ho avuto le nausee, ad ogni incontro con la ginecologa - in pratica - le fa più domande di me, e confronta i prezzi delle tutine e dei passeggini, per capire quale acquistare. Ad ogni test negativo, prima di Fillino, Gabriele era triste e frustrato tanto quanto me. E io avrei una marcia in più, rispetto a lui? Perchè? Perchè nostro figlio è dentro di me?
Sei fortunata tu Vale, mio marito non ha mai fatto così.
E mi sa che hai sbagliato marito, allora, bella mia.
E poi questa benedetta parità dei sessi di cui tanto parlate, ogni otto marzo: ancora? Sul serio?
La qualità di una persona si valuta in base a molteplici aspetti, collegati al suo essere - appunto - essere umano, sul piano professionale, affettivo, solidale, familiare e tanto altro. Tutte cose non dipendenti dal suo avere la fiora o il piripirino. Ora: se continuate a voler affermare il vostro status sessuale come pari a quello opposto, fate - non solo una cosa inutile - ma perfino dannosa. Dovremmo, tutti quanti, non essere determinati dalla nostra sessualità e da ciò che essa comporta. Le donne non sono migliori degli uomini, gli uomini non sono migliori delle donne: siamo diversi e non potremmo - giustamente - mai essere uguali. Per fisiologia: omnis negatio est determinatio.
Poi però se trovate il riccone che vi fa sentire regine, e non dovete lavorare più un giorno nella vostra vita, va tutto bene. Ok.
Il punto è un altro: questa cesura sessuale (io donna wow, tu uomo bleah) ha avuto l'effetto esattamente contrario, determinando - di fatto - un capovolgimento e un ribaltamento dei diritti e dei doveri, a tratti imbarazzante. Quante volte avete letto, nelle locandine delle serate in discoteca, "ingresso free per le donne"? Qualcuna ci crede pure alla galanteria, alla cavalleria: no, voi entrate gratis perchè la figa tira, e chiama gli uomini, e gli uomini pagano, e vi offrono da bere (qualche volta per aumentare le possibilità di scoparvi nei bagni), e i soldini girano. Per proprietari del locale, per chi organizza, per chi sbiglietta: solitamente uomini (non tutti, ma tanti).
Durante qualche colloquio di lavoro, mi è stato chiesto se fossi sposata.
Come mai questa domanda?, ho chiesto io.
Eh, perchè si deve anche capire se hai intenzione o c'è la possibilità che resti incinta. Poi la devo pagare io, la tua gravidanza.
In un altro posto, dovendo scegliere tra due ragazze chi avrei dovuto assumere, mi è stato chiesto di non scegliere quella appena sposata, perchè: se questa resta incinta e ci molla, noi dobbiamo pagare anche un'altra persona che la sostituisca, e lei se ne sta a casa.
Eccola qua, la vostra parità, quella per cui lottate nelle pizzerie, con la gola squarciata dal karaoke e le tette di fuori, mentre i vostri stipendi - in ogni caso - saranno sempre più bassi del vostro collega uomo, e poi - se sarete vittime di stupro o violenza - ve la sarete cercata, e se il vostro ex vi minaccerà e renderà la vita impossibile, nessuno potrà fermarlo, perchè le forze dell'ordine hanno le mani legate, e vi tapperanno la bocca con un'infima quota rosa nel mare delle ingiustizie quotidiane, e dovrete scegliere se lavorare o avere un figlio, e poi sorriderete per una mimosa, dimenticando che in fondo - tutte le lotte delle donne del mondo - sono servite a poco, se poi vi perdete in uno spogliarello di un uomo unto e sudato su un cubo.
Probabilmente, non ha poi molto senso manifestare in memoria delle vittime di femminicidio, se poi la cattiveria che riservate ad altre donne è, a tratti, esemplare.
Se dovete fare le femministe, fate le femministe vere, quelle che credono in qualcosa, e non in una colazione tra femmine - dopo aver lasciato i bambini a scuola - a sparlare per due ore di altre femmine. Date un senso alle vostre vite, con garbo e intelligenza, e ribellatevi se un uomo è una merda: non fate di tutti gli uomini la merda.
Io, una marcia in più, so di averla quando faccio squadra col mio uomo che, devo dirlo, è incinto insieme a me. Una marcia in più, so di averla quando ottengo un buon risultato. Una marcia in più, so di averla quando faccio il bene.
Non perché sono donna, ma perché sono Valentina: il risultato di una mamma, ma anche di un papà.

mercoledì 28 febbraio 2018

Favara: tutto ciò che si può amare e che sopravvive al brutto.

Torno a Favara due o tre volte a settimana, a casa mia.
Non ho ancora accettato il mio nuovo indirizzo di residenza, e non riesco a non fare un costante confronto tra il paese in cui risiedo e quello in cui sono nata e cresciuta. E al quale appartengo. Sul serio: non ho niente contro Porto Empedocle. E' un posto carino, raccolto, genuino. Un posto di mare.
Ma Favara, ragazzi, è immensa.
Dell'essere favarese indosso un'eredità caratteriale che viene fuori in certi contesti, quelli che richiedono pragmaticità e risolutezza. Forza d'animo.
Perché vivere a Favara?
Ci pensavo domenica scorsa, in giro in macchina con papà, percorrendo 'a Strata Nova. Quand'ero adolescente mi divertiva sentirmi chiedere, dagli amici di Agrigento: ma tu esci alla strada nuova?
Lo italianizzavano, per essere più sofisticati. Ma ci sono delle cose intraducibili: 'a Strata Nova, 'u Conzu, 'a Luna, i linticchieddri, 'u sparaceddru, 'u Casteddru, 'u capuliatu. La resa in italiano, per quanto possibile, ne ridurrebbe l'intensità comunicativa, ridicolizzandone perfino il suono. Ci siamo capiti: va bene così.
Una certa bonaria presunzione mi porta spesso a cadere nella trappola immodesta di elogiare, oltre ogni limite, la manualità dei Favaresi, decretandone la superiorità nei più svariati campi.
Il pane, ad esempio, è inarrivabile. E quando da queste parti mi capita di addentare un maccicuni o un chichireddru, vuol dire che sicuramente è arrivato un panettiere favarese. Chi altro saprebbe riprodurlo, e così bene?
Allora addento il pane e penso: questa è roba nostra. E ritorno ad una delle case di nonna Mela, in via Sicilia: poco distante, sulla via Roma, la Salumeria del Corso dispensava il miglior salame del circondario. Riempivamo un bocconcino e ci sedevamo sullo scalone dell'ingresso, in piena estate, con le voragini sulle ginocchia, regalo di qualche pedalata maldestra di troppo.
E i dolci, i dolci con la ricotta poi.
Ogni prelievo di sangue allo studio di analisi, sopra il Bar Patti, diventava una festa: il cornetto morbido, la Pasta Elena, il cannolo. Sbirciare nel laboratorio e vedere un padre e un figlio sempre all'opera: minuziosi, precisi, instancabili.
I gelati di Fabrizio, i 'cosi dunci di mennula da Oreste.
La Piazza, Piazza mia.
Quante cose potrei dire di lei, ma è un fatto intimo, mi commuove, e le parole vengono meno, per quante sono tante. Così come per Farm Cultural Park.
Facciamo che la Piazza e la Farm sono due donne: due femmine formose, bellissime e materne; la prima sicula in ogni sua architettura, l'altra invece è arrivata da lontano, un'americana bionda e bellissima, ma con l'accento favarese: uno slang talvolta incomprensibile, futuristico, amabile. Familiare.
Quanto bene ha portato, quanto bene che ci fa, quanto bene le vogliamo.
Da San Francesco è importante scegliere di non scendere con l'auto dalla strada di basule che porta dritti 'o Conzu.
Si vede tutta Favara da là, e la sera - addormentata in un abbraccio di lampioni gialli - pare quasi perfetta, coi visi delle case scorticati, e le vasche blu sui tetti. C'è anche, ancora, l'eternit, qualche volta. L'erba alta, le strade larghe, alcune incredibilmente strette, un dedalo indecifrabile, percorribile solo dagli avvezzi, le scorciatoie, i piani rialzati, 'a cammara e 'u dammusu, i magazzini arredati, le nonne fuori con le sedie e un fazzoletto di stoffa tra le minne per asciugare il sudore, le vesti nere e una collana d'oro con la foto del marito morto. Quand'è un figlio, puoi leggere nei loro occhi lo straniamento dal mondo, l'appassimento di ogni slancio vitale.
I panini delle camionette, pieni di patatine e salsaemmaionese - tutto unito - e le panelle, con la partannina fredda per sgroppare, e i caffè nei tavolini dei bar, che adesso si può chiedere anche un Marocchino se ci va, o una birra senza pensare che siamo buttane.
Le putìe nelle strade nascoste: 'zzia Fifì, 'u restu mu duna a licca licca. Solitamente erano quelli di Dracula, con la ciunga dentro. La ciunga: adattamento fonosintattico di chewing gum.
Siamo tutti cugini, e possiamo smettere di esserlo con una certa risibile facilità: l'amore e l'odio, a Favara, si alternano frenetici, roteando attorno a un concetto che un poco m'imbarazza, inteso per com'è: il rispetto. Un invito mancato, una visita di malattia non fatta, una telefonata dimenticata, compromettono irreversibilmente i legami. In taluni casi si ricorre all'intervento riparatore di 'u parrinu: come prete, o come altro. Può dipendere.
Di motivi per vivere a Favara, credetemi, ne ho così tanti che adesso stesso io scapperei, ma non si può.
Mio figlio però sarà per metà linticchieddru - sgamato e sveglio - e se gli andrà, potrà perfino iscriversi ad una scuola di architettura per bambini, la SOU, ed essere allievo dei miei amici. Amerà Farm, amerà la pizza che solo al mio paese sanno fare e quando s'incazzerà, mi renderà incredibilmente orgogliosa:
'aaaaaaaaaah mammaaaaaa, la finisci?
E io - per rispetto - la finirò.

giovedì 8 febbraio 2018

Una casa fa e la nausea: cronache di una gravidanza.

Quando abitavamo nell'altra casa, ad Agrigento, le giornate erano ad incastro: dei puzzle di impegni e doveri, che mi rendevano comunque felice e di cui sento la mancanza.
Ogni giorno, dopo il lavoro, mi fermavo a comprare il pane dal signor Salvatore in via Esseneto. Quando al bancone trovavo Federica, la mia amica, scambiavamo quattro chiacchiere e prendevo anche i pasticcini alla Nutella. In macchina piluccavo qualche 'mmiscata mignon o il culetto del filoncino che staccavo subito, com'è mia abitudine. Gabriele era già a lavoro e quando non ero troppo stanca o spettinata, passavo a salutarlo, prima di tornare da Zenzero.
I giorni deputati alla spesa, solitamente, erano due: il giovedì in pausa pranzo, o il sabato mattina.
C'era questo supermercato vicino a casa nostra, ch'era diventato la mia seconda casa, lo adoravo e continuo a farlo, ma adesso è scomodo da raggiungere. Facevo una spesa standard, sempre: confezione da tre peperoni (giallo, rosso e verde) da fare grigliati o al forno con un filo d'olio, zuppe di legumi pronte da scaldare due minuti al microonde, zucca rossa per la vellutata, Philadelphia da spalmare sui panini ai cereali, fesa di tacchino e mozzarella, piadine solo se in offerta, detersivi per la casa e succhi di frutta alla pera. Al reparto surgelati: minestrone, patate prezzemolate e Bastoncini Findus, rigorosamente mai fritti ma grigliati. C'era anche l'insalata di quinoa con tonno e pomodoro e fagioli, fresca, da portarsi anche in spiaggia. Una volta al mese, quand'ero presa bene e la bilancia mi arrideva, prendevo birra e patatine per festeggiare qualcosa o niente, con Gabriele. Un'alimentazione virtuosa, oltraggiata solo da qualche piadina Roberto, di tanto in tanto.
Il sabato c'era anche il mercato Coldiretti in piazzale Ugo la Malfa: i cavolfiori e il miele di casa, le zucchine e i friggitelli dolci per fare le frittate, quando avevo tempo, la domenica.
Quando facevo la spesa, camminavo tra le corsie piene, sempre con gli auricolari e mia mamma all'altro capo del telefono: erano gli unici momenti in cui potevo parlare con lei, lontana geograficamente, insieme a quelli in cui lavavo i piatti e ritiravo la biancheria. Le comunicavo le offerte, chiedendo approvazione. Se lei diceva che sì, il Coccolino è conveniente, allora lo prendevo, se no niente.
C'è un fascino nella spesa che non tutti comprendono: per qualcuno è uno stress, a me rilassa. Vedere il banco frigo debordante di scamorze e salami Napoli, fusi di pollo e provole affumicate, yogurt e bagnoschiuma alle rose, mi riempie di soddisfazione. Anche se poi è una fatica portarla su e sezionarla negli stipi, è bello.
Con la carta sconti, talvolta, ho risparmiato perfino venti euro.
Ero pronta, resistente, interessata, attenta: innamorata del carrello e di tutto il suo nutriente contenuto.
Ieri, per poco, non ho vomitato alle casse, a causa dell'odore dei sacchetti.
Dite che mi avrebbero fatta passare?