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lunedì 26 marzo 2018

Quinto mese.

Ho aperto la finestra e, oltre ad uno schiaffo di vento gelido, mi è arrivato in faccia un pugno di broccoli: probabilmente qualcuno nel palazzo è a dieta anche di domenica, o starà facendo la pasta 'ncaciata.
Le nausee, non si sa come e perché, sono tornate sono vive e lottano e fra noi, tutte le mattine. Ma si capisce, sono entrata nel nuovo mese e gli ormoni fanno un gioco di risacca non indifferente.
Abbiamo dedicato il week-end al primo shopping per Antonio: in due giorni ha collezionato già più vestiti di me e Gabri messi insieme. Ieri sera a cena, ho guardato in faccia i miei amici e sono stata felice.
Non ho moltissimi amici, nella vita reale: saranno una decina, a voler esagerare, e di questo vado fiera. Me li porto dietro dal liceo: sembra passato un giorno scarso dal nostro esame di maturità, ma di anni ne son passati dieci. Così come dal mio primo incontro con Gabriele: un ragazzino sorridente dietro un bancone, con la battuta sempre pronta e un'energia che ai tempi invidiavo. E che invidio anche adesso.
- Ne abbiamo fatte di cose belle insieme, ma questa è di gran lunga la migliore, vero?
- La migliore! E' il nostro capolavoro!
- Qua dentro c'è nostro figlio, ti rendi conto? Un bambino che somiglierà a me e a te...
- Speriamo di più a me, perché sono bello.
Ci penso, a come ha fatto a passare il tempo, e mentre il mio ombelico esce fuori e le canottiere, sempre più corte, lo scoprono, penso che eravamo un branco di intellettuali senza futuro, finiti tutti con un laurea e poco lavoro, in una vita che ci sembrava di star vivendo a 200 all'ora con un'intelligenza al di sopra della media, ma erano solo i soldi dei nostri padri che ci facevano dormire sereni, coi libri sul comodino, freschi come le rose la mattina seguente. Le valigie piene di vestiti stirati e un autobus per tornare a casa tutti i fine settimana.
E mentre facevo e mi credevo tutte quelle cose, Gabriele dov'era? In un altro amore, convinto di chissà quale altro destino, lontano una galassia dall'idea che un giorno avremmo guardato dei test negativi e pianto, pensando che un figlio arrivasse con uno schiocco di dita, seguendo solo l'impeto delle nostre volontà. Lo penso con tenerezza privo di quella ruga al bordo della bocca, che noto tutte le notti prima di dormire, con più capelli e una giacca a righe per andare a ballare. Provo gratitudine per la felicità che ha vissuto, prima di essere felice con me.
Ed oggi piove, e le mie Nike che si erano asciugate in balcone sono di nuove fradice, e Zenzero dorme sulle mie gambe, appoggiato ad una pancia che prova a digerire l'aroma d'anice dell'acido folico e del multivitaminico, e una pizza fredda in frigo, residuo di questa cena di cui vi parlavo, nella quale ci siamo ritrovati grandi, e se non proprio più sereni almeno: più forti.
Scorgo del fascino in tutto questo e sento di dover fermare con un'istantanea questo momento di rottura, di cambiamento: anch'io, come mio figlio, sono nella pancia di qualcosa e provo a nuotare libera per poi rinascere madre. Madre come mia madre.
Ancora troppo figlia come mio figlio.
Non c'è niente che lavi le cose come la pioggia, ma qua io vivo al mare: la pioggia non lo bagna, lo ingrassa. Oggi i pescatori riposano in casa, guarderanno le partite.

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