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martedì 23 febbraio 2016

Red in Sicily: Aguglia Persa incontra le Cantine Milazzo

Una serata che aspetto con un certo entusiasmo: Red in Sicily da Aguglia Persa. 
Cos'è?
Una cena conviviale, studiata ad hoc per gli amanti del buon cibo e dell'ottimo vino: quattro portate firmate Ravanà, abbinate ad altrettanti vini della celeberrima Azienda Agricola Milazzo.
Milazzo Classico Brut, Fancello 2012, Fondirò 2009, L'oro di Milazzo: queste le quattro blasonate etichette che riempiranno i calici di Aguglia Persa, la sera del 26 febbraio 2016. 

La cantina dei fratelli Enzo ed Alessandro Ravanà, nei loro due ristoranti Salmoriglio ed Aguglia Persa, ha sempre avuto un occhio di riguardo per i prodotti siciliani, considerati vera ricchezza e patrimonio enologico della penisola. Le Cantine Milazzo sono certamente una delle aziende di spicco di questa rete vinicola, che si fa conoscere e menzionare in tutto il mondo.

Il menù è così strutturato:
Tartare di ricciola marinata allo zenzero, tapas di salmone agli agrumi e finocchietto crudo di gambero rosso di Mazara con ricotta mantecata e arancia candita.
Tortelli di Donna Franca  ripieni di gorgonzola e pistacchio con riduzione al Marsala.
Pesce spatola gratinato con crema di finocchio allo zafferano di Joppolo.
Agugliamisù: mascarpone alla ricotta, pan di Spagna con infuso di carrubo, cioccolato di Modica all'arancia.

La cena Red in Sicily ha il costo di 40 euro ed è possibile prenotare un tavolo chiamando il numero 0922 401337 o scrivendo un messaggio alla pagina Facebook di Aguglia Persa.
Si parla dell'evento anche sul sito ufficiale di Red in Sicily

domenica 14 febbraio 2016

Cronache sanvalentiniane: quanti tipi di amore esistono?

Quando ho aperto gli occhi, stamattina, ho realizzato di essere a casa.
Sono passati quasi tre mesi da quando Gabriele ed io ci siamo trasferiti in questo appartamento, che finalmente sento mio. Mi muovo a memoria, e mi dirigo in automatico verso il posto in cui so che troverò ciò che cerco.

Al pensiero istintivo della casa, ne segue un altro, altrettanto naturale e vero: è il primo San Valentino senza mio padre vicino. Mio padre vive e lavora al nord, e queste cose le figlie - sì, le figlie femmine in particolare - non le accettano mai per davvero, se non in apparenza.
Papà ed io ci sentiamo mille volte al giorno, da perfetti innamorati. E questa mattina m'ha scritto su Whatsapp uno dei suoi messaggi del buongiorno carichi di cuori, come solo lui sa fare: sostituisce tutte le 'o' con dei cuori. Questo solo per rendere l'idea della portata dei nostri messaggi, anche in termini di creatività.

Era dispiaciuto per non essere con me oggi, la mia festa. Sin da quando sono nata, abbiamo festeggiato San Valentino come fosse un altro compleanno: regali, dolci, cene fuori, noi tre. Anche quando sono diventata adulta, e gli uomini hanno cominciato a rovinare la maggior parte dei miei sanvalentini, per la loro assenza o per la presenza di scarsa qualità. Quanto danno sanno fare, quando ci sono e quando non ci sono, nella stessa misura.

Tre anni fa era un 14 febbraio da single, col cuore a pezzi da qualche giorno (gli uomini e il loro tempismo perfetto nel mollarci, tra l'altro) ma, al solito, la capacità di riderci sopra e fregarsene, mi ha condotto ad organizzare una cena fra amiche del cuore, in tutto quattro ai tempi (compresa me), in un ristorantino della zona, con annesso pub. Lo frequentavamo spesso perchè era un periodo di molte lacrime, molto alcool, molto Whatsapp e niente sesso. Avevamo il tavolo fisso e uno dei camerieri aveva iniziato a regalarmi delle rose, ogni volta che un venditore ambulante entrava. Comunque, quella sera andammo in quattro e ci servirono una pessima insalata ai frutti di mare, una crepe salata senza sale e un tortino al cioccolato tutto claustrofobico per via del chilo di topping alla fragola con cui l'avevano ricoperto. Vino in brocca che avrebbe potuto essere aceto Ponti e caffè. Trentacinque euro, che ci compravo un paio di scarpe in saldo ed ero assai più soddisfatta. Insomma, quel San Valentino  decisi che, in ogni caso, mi era andata bene perchè pure se stavo di merda e l'uomo di cui ero innamorata mi aveva lasciato ventiquattr'ore prima per essere precisi, avevo ancora una volta le mie amiche vicine che, tra un calice scarso e un dolce da discount, mi avevano ascoltata e si erano raccontate. Sempre col sorriso, alla fine.

Oggi, tre anni dopo, sono sola casa perchè il mio uomo è a lavoro. Sì, quando tutti si divertono lui lavora perchè funziona così da sempre, e tutte le feste per noi slittano al primo giorno libero disponibile. Però almeno sono a casa nostra, e stasera - come tutte le sere - berremo un calice di vino buono e guarderemo la tv. Poi io mi addormenterò sul divano dopo due minuti d'orologio, lui mi coprirà con una coperta, fino a quando tutta la rassegna calcistica della giornata su Sky non sarà finita. Poi mi porterà a letto - proprio per mano - e dormiremo insieme. Questa è la nostra piccola festa di tutte le sere, e non c'è giorno sul calendario che possa decretarne la ricorrenza.

Ho sempre ricevuto tanto amore, e credo - spero - di averne restituito in egual misura. Mio padre oggi mi ha detto: mi dispiace che oggi non stiamo festeggiando insieme, quando finisci gli esami ti porto a Venezia. E poi ha aggiunto una cosa, che m'ha fatto ridere e commuovere al contempo. Una cosa da giovani e da proletari: ci riempiamo uno zaino pieno di panini e acqua e via per il mondo. Ha usato proprio queste parole: e via per il mondo. Come se fossimo due ventenni in cerca di un interrail post sessione invernale. E invece lui, fra due settimane, ne compie sessanta e anche quella, vabbè, sarà la prima festa di compleanno a migliaia di chilometri.

Forse è proprio questo il bello di amare: sentirsi incompleti. Sapere di dover rinunciare sempre a qualcosa per poter gustare pienamente un'altra che ne valga la pena. Le mie amiche del cuore adesso sono quasi tutte felici, qualcuna è persa in un limbo di plastica felicità ad intermittenza, qualcuna ha messo da parte orgoglio e cinismo e qualche altra è finita tra le braccia dell'ultima persona che immaginava di poter abbracciare. Mio padre credo sia già alla ricerca di uno zaino decente per la nostra vacanza a Venezia che con ogni probabilità non avverrà nell'imminente, e io sono qui, a pensare a quanto l'amore tra due persone sia solo una goccia nel mare di sensazioni che un cuore può provare. Esistono infiniti tipi d'amore ed è impossibile conoscerli tutti nel tempo di una sola vita.
Però mi sa che sono a buon punto.

sabato 13 febbraio 2016

Atti vandalici ad Agrigento: ma perchè?

In seguito a quello che è successo nelle ultime ore alla Casa del Libro, mi sento di scrivere due parole. La Casa del Libro è un progetto promosso dall'associazione Nonsostare, per la condivisione dei libri e della cultura in modalità open: tutti possono passare, a qualsiasi ora, dentro Villa Bonfiglio ad Agrigento, e sedersi a leggere un libro dentro una piccola casetta costruita pezzo per pezzo dal gruppo di giovani architetti. Lo scopo è nobilissimo e di facile lettura: inserire la cultura all'interno di un contesto urbano, pubblico, aperto a tutti, frequentatissimo, per renderla fruibile alla massa che si avvicina anche solo per curiosità. La casetta era stata piazzata neppure un mese fa, e questa notte dei vandali l'hanno distrutta, in buona parte.

Ora, vediamo la cosa più in generale, perchè non è la prima volta nell'ultimo periodo, che la gente se la prenda con le cose ad Agrigento. Con le cose per strada, le cose pubbliche, pagate anche da loro - fra l'altro - e con la proprietà altrui, con una rabbia inaudita. Io una riflessione l'ho fatta, e secondo me sono le stesse persone che quando poi si spostano in vacanza a Milano o all'estero, s'ingoierebbero pure le cicche di sigaretta pur di non buttarle per strada. Vi siete chiesti  perchè ce l'hanno con questo posto, il loro posto?

Credo che gli atti di vandalismo siano una forma d'espressione, oltre che d'ignoranza e deficit culturale non indifferente, di un disagio provinciale infinito. Sempre di questi giorni è la notizia, di cui sono testimone in prima persona, di decine di auto danneggiate in molte vie centrali della città. Continuano da settimane imperterriti, indisturbati. e questo - mi dispiace dirlo, ma è così - credo sia anche motivato da una scarsità di controlli da parte delle forze dell'ordine. Come si può agire con tanta violenza, nei punti di snodo principali di Agrigento, e non essere beccati mai, neppure una volta?

Io, se avessi davanti questa gente, glielo chiederei: ma tua madre lo sa che sei in giro a fare 'ste minchiate? Allora uno se lo chiede: o siete figli di Onassis tutti quanti, oppure - al figlio di uno che paga le rate della macchina ogni mese e a stento riesce a far quadrare i conti - onestamente penso che non gli mangerebbe così assai il culo di andare a distruggere le auto di altra gente, che con ogni probabilità è nella stessa situazione, ogni ventisette sul calendario.

Ma torniamo al genio che qua fa lo spaccone, e a Milano (per dire) fa il gentleman: perchè lo fa? Allora, se uno è incivile per natura, dovrebbe esserlo ovunque; ad Agrigento come a Tokyo o Ficarazzi. Diverso è il discorso se uno distrugge la città, perchè non la ama. Così, a sfregio. Amare il posto in cui viviamo non è per niente un lavoro semplice, io lo so. Ci portano a detestare tutto della nostra città, perchè la amministrano male e ci fanno mancare le cose basilari. Poi uno, e ci può stare, s'incazza perchè piazzano un bel vaso o una bella statua ornamentale all'altezza stessa di una voragine enorme del manto stradale. Siamo d'accordo. Ma questo vi autorizza a diffondere l'ultraviolenza kubrickiana in giro per il mondo? Ma chi vi credete di essere, cretini?

Per concludere. Stamattina aprendo Facebook ho letto, a riguardo della distruzione della Casa del Libro, i commenti di alcuni amici. Sostenevano che noi, questo tipo d'iniziative, non ce le meritiamo. Frasi del genere, qualora fosse possibile, mi lasciano perfino più delusa del fatto negativo in sé. Questo disfattismo, questa resa palese, sono deleteri per un cambiamento dei costumi. Lo indeboliscono e lo spezzano sul nascere. Se un gruppo di ragazzini idioti vi fa pensare che  la città non merita dei doni di bellezza, abbiamo perso in partenza. E poi chi l'ha detto? Io me la meritavo la Casa del Libro, io me la merito una città più bella, io me li merito i vasi e le colonne, e mi merito strade migliori, mi merito che tutto cominci a funzionare, me lo merito tutto perchè non ho la fuga altrove tra le mie prospettive di vita. Ammettere pubblicamente che ancora non siamo pronti per la bellezza, significa retrocedere, dare loro la precedenza e farci superare in curva. Per fortuna, la bellezza è merce rara, e le persone meritevoli di riceverla e diffonderla sono sempre di più quelle pronte a distruggerla. Dovremmo dire ai ragazzi di Nonsostare, di stringere i denti e ricominciare da capo, anche quando sembra tempo perso e non si ha più la motivazione necessaria.

Questo è ciò che faccio in questa sede: augurargli buon lavoro per la ricostruzione della Casa del Libro.

lunedì 8 febbraio 2016

#beddumanciari - Aguglia Persa presenta il menù MandorlARA

E' il primo anno che vivo la Sagra del Mandorlo in Fiore da vicino, anzi vicinissimo.
Quest'anno vivo questo momento da addetta ai lavori. Spesso mi definisco un'ottimista cronica, di quelle inguaribili. Quelle che non vogliono proprio mai uscire dalla febbre di rivalsa del nostro territorio. 

 Ma dicevo, quest'anno sono ai addetta ai lavori, perchè la Sagra imbandirà ventuno delle migliori tavole di Agrigento. Infatti, 21 ristoranti hanno aderito all'evento Mandorlara, che

si terrà dal 4 febbraio al 13 marzo 2016, nelle migliori cucine di Agrigento. Aguglia Persa è una di queste.

Quando per la prima volta ho incontrato l'organizzatore di Mandorlara- giunta alla 9a edizione - Totò Collura, in compagnia dello chef Alessandro Ravanà, ho subito percepito un sentimento di propositivo ottimismo, condiviso, e - penso - vitale per gli imprenditori della zona.

Questa sera vi presento il menù studiato dai fratelli Enzo e Alessandro Ravanà, titolari e chef dei ristoranti Salmoriglio di Porto Empedocle e Aguglia Persa di Agrigento.
La cucina siciliana, più precisamente quella agrigentina, è stata da sempre il punto focale degli studi e dell'interesse dei due fratelli, che hanno costruito i menù delle due strutture di loro proprietà, sempre nel rispetto della cultura culinaria locale e del chilometro zero. Il Menù Mandorlara 2016, che si potrà gustare ad un prezzo speciale di 25 euro, non fa eccezione. 

Da antipasto sono le polpette di pesce spada con maiorchino, morbidamente adagiato su una foglia di limone direttamente raccolta dal giardino di Aguglia Persa, e maionese alla mandorla BIO. Il giardino del ristorante è - nella concezione moderna - definibile come urban garden, una macchia verde incastonata nel centro della città. Produce infinite varietà di erbe aromatiche e agrumi, impiegati nella preparazione di piatti e cocktail. La foglia di limone è stata scelta per la particolare tendenza a rilasciare i suoi siculissimi umori sul pesce, arricchendo sapori e percezioni olfattive. Il formaggio Maiorchino nasce dal latte delle pecore, e viene prodotto solo da febbraio a giugno. Ha un gusto particolarmente piccante e molto deciso, che si fa sempre più forte quando il formaggio ha molti mesi di stagionatura.

Il primo è un maccheroncino con pomodoro siccagno BIO, mandorla e origano, con mollica di pane fritta, prodotta da pane di grano Russello, su un profumato letto di cipolla Giarratana. Il pomodoro siccagno è molto apprezzato per la possibilità di essere coltivato senza irragazioni e in terreni aridi, dove le precipitazioni scarseggiano, nonastante ciò è in grado di produrre frutti con caratteristiche qualitative e nutrizionali del pomodoro tipico siciliano. Con il siccagno, in passato, si produceva un ottimo concentrato (l’astrattu), la passata e i pomodori secchi (chiappe). Alla raccolta e alla trasformazione si riuniva tutta la famiglia anche i bambini. La cipolla di Giarratana è un presidio Slow Food e di lei potete leggere cliccando qui: Cipolla di Giarratana Presidio Slow Food
Lo zafferano di Joppolo è il principe degli odori del secondo piatto, cornice di un pesce spatola in crosta di mandorle e crema di finocchi.
Per concludere, un tortino Margherita di farina integrale alle mandorle, con datteri e crema pasticciera.
Alla fine di ogni degustazione, il cliente avrà la possibilità di indicare il piatto che più ha gradito, su una scheda di   valutazione, fornita da ogni ristoratore. Il 13 marzo, una giuria popolare composta da professionisti del settore, decreterà il ristorante vincitore del contest: quello che ha creato il piatto che meglio incarna lo spirito e l'anima della mandorla agrigentina.


La condivisione della cucina siciliana, grazie ad un network di imprenditori e popolo attivo, illuminato, incrementa e garantisce la salvaguardia della cultura e dell'identità di un territorio. Per leggere l'intero programma della Sagra potete cliccare su Sagra del Mandorlo in Fiore

giovedì 4 febbraio 2016

I'm no hero (but love can do miracles)

Ho sempre detestato ammettere di avere paura.
E' raro, in verità, che io abbia paura di qualcosa. A parte il buio, i gatti, gli occhi dei gatti nel buio, le calze color carne e gli abiti maculati, niente mi fa davvero paura. A parte lui.

Lui è quella parola che ritorna, ogni tanto, dal nulla. Evanescente come un fantasma, tutti evitiamo  di nominarlo, di accettare che sia stato nelle nostre vite, nella mia, finchè un segno qualsiasi ci porta a fare un accenno vago, vaghissimo, a quella cosa. Così brutta da dire, così antipatica da ricordare.
Ecco, di lui ho paura. Perchè lui è nei numeri, nelle statistiche, nei valori, nei risultati attesi con le mani fredde, sudate, in lunghissime notti insonni, di sveglie prima della sveglia. E oggi lui è con me, nella mia testa. Non so se ci sia proprio fisicamente, dentro la mia testa, perchè dopo cinque anni è improbabile, ma negli ultimi anni le recidive da adenoma sono arrivate al 50%.
Così mi hanno scritto su un gruppo di Facebook.

Ogni volta che lui ritorna a farmi pizzicare il culo, il mio peggior nemico è Google. Stando a Google, tutto lascia chiaramente intendere che morirò domani. Io rido, rido assai, perchè prima o poi si muore tutti quanti, ma non sarà internet a stabilire quando. Riempio un calice di rosso e rifletto sulla possibilità che lui possa non esserci. Il vino è acqua nella mia bocca in questi giorni. La pasta è plastica, la carne non ha sapore e gli odori sono svaniti. Puff. Mi sveglio una mattina e non sento il profumo della vita, che se lo raccontassi al buon Gianni di UniEuro non mi crederebbe neppure lui. Non del tutto, ma una buona parte di loro è stata sostituita da un odore fetido di pesce marcio e scarpe da tennis. Posso sentire la calma alcolica del vino, ma non posso gustare il piacere del suo sapore, la sua fermentazione. Curioso: fra venti giorni c'è la mia prima lezione da sommelier.

Ho scelto di iscrivermi perchè quando scrivo di cibo, mi piacerebbe saper raccontare i vini, con la cura e il rispetto che meritano. E adesso, eccomi qua, con un naso inutile e la paura che quella cosa stia di nuovo pulsando viva dentro la mia testa, che possa di nuovo comandare. Ho immerso le narici in un barattolo di salsa barbecue per capire: poca roba, poco sapore. Nell'ultimo anno era successo un'altra volta. Venti giorni di ritardo, pensavamo di essere in attesa di un bimbo. Poi dei numeri su un foglio, centinaia di migliaia cellule fuori posto e lo strapiombo della razionalità. 

Dov'eravate voi, cinque anni fa?
Noi stavamo preparando il nostro esame di storia della musica, in una stanza al secondo piano, nei  pressi di Corso Italia, coi cartoni della pizza sul comodino e Wagner che suonava a tutte le ore dai nostri pc. Mi avrebbero chiamata due mesi dopo, per buttare fuori da me quella cosa. Che ancora oggi mi paralizza di terrore, nonostante ammetterlo sia una sconfitta. O forse è solo il vino che parla - o meglio scrive - e batte le dita sulla tastiera al posto mio, perchè io paura non ne ho. Io sono forte, e l'ho ripetuto così tanto e così a lungo allo specchio, che alla fine mi sono convinta che sia vero.
Ma io non sono un eroe,  e in fin dei conti credo che gli eroi, la sera, quando tornano a casa dopo aver salvato il mondo, appendono il mantello al chiodo e piangono. Per la stanchezza e un pochino di paura anche loro. Fino a quando non arriva qualcuno a dare loro un bacio.

La paura dura il tempo di un bacio, poi passa tutto.