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lunedì 9 marzo 2015

Delle donne.

Avevo quattro anni quando sentii nominare per la prima volta la “festa delle donne”.
Un gruppo di amiche di mia madre l’aveva invitata ad uscire, a mangiare una pizza per festeggiare. Ai tempi, avevamo un telefono Sip bianco, uno di quelli che hanno popolato i comodini del novanta per cento degli Italiani per più di un decennio. Sentii mia madre declinare cordialmente l’invito, mettendo giù la cornetta rettangolare. Mentre tornava in cucina, il ciap ciap delle sue ciabatte fu coperto da qualche borbottìo solitario su quanto fosse inutile aspettare l’otto marzo per uscire a mangiare fuori. “Ma io ci posso andare quando voglio, ma che me ne fotte.”
Quel momento, rimasto impresso come una foto ad alta risoluzione nella mia mente, m’ha dato una chiara visione di cos’è una donna emancipata – l’aggettivo più abusato del globo - e cosa invece non lo è.
Mio padre non ha mai regalato mimose a mia madre, per l’otto marzo. Perché non ama regalare i fiori e non ama seguire i trend degli altri mariti; fa le cose che gli piace fare, non che si usa fare. Però ogni ventisette del mese, alle due mezzo barra tre, tornava a casa con lo stipendio di un mese, si sedeva di vis à vis con mia madre e insieme facevano quadrare i conti, insieme programmavano acquisti, tasse, calcoli, investimenti, risparmi e cinghie tirate. Quel che rimaneva glielo affidava completamente, perché era lei che lo amministrava, essendo lei a fare la spesa, a sapere il prezzo delle arance e della carne al chilo. Non sono mai riuscita, dunque, a distinguere la figura maschile da quella femminile nel mio equilibrio casalingo, perché essendo equamente gestito da entrambi, nessuno ha mai avuto la necessità di rivendicare niente: nessuna superiorità, nessun diritto particolare. Nessuno ha mai avuto bisogno di sentirsi più speciale dell’altro, perché tutti e due lo erano. In modi diversi, ma ugualmente.
Questo sistema m’ha sempre dato una chiara idea di cosa sia effettivamente quella pari opportunità, che tutti cercano di ripristinare, spesso con modalità che servono ad ottenere poi l’esatto contrario. Ho visto molte donne cercare la pari opportunità in un tanga maschile zebrato costellato di banconote da dieci euro con schiere di petti scoperti, sudori ormonali di ragazze sfuggite al controllo di mariti, padri, fidanzati, per una sera, e col bisogno impellente di sfogare la repressione sessuale di un intero anno, concentrando in una sola sera di libera uscita, tutta la libìdo di cui sono capaci, sgomitando con altre signore che per l’occasione hanno tirato fuori il vestito buono e la calza ricamata, e hanno chiamato il parrucchiere a casa, facendo qualche battutina allusiva sulla serata per far ingelosire il marito in pigiama sul divano, che non le se caca quasi mai e continua a guardare Ben Hur a volume 50.

Questa categoria m’ha fatto sempre un po’ di tenerezza, per questo – seguendo la filosofia materna – non ho mai preso parte a eventi pacchiani con locandine istoriate di ramoscelli di mimosa in fiore, e la totale mancanza di poesia nelle scritte cubitali sotto INGRESSO FREE oppure DONNA SEI SPECIALE, perché le ho sempre trovate ridicole e abbastanza offensive per l’intelletto comune, non solo quello femminile. E neppure ho mai creduto a questa cosa che le donne sono tutte speciali per definizione, non è così. Mi concentro sul concetto di umanità, che è varia, e può essere tutta buona o cattiva, speciale o non speciale, bella o non bella, indipendentemente dal sesso.

Però ecco, se proprio volete usare in maniera cosciente la ricorrenza storica dell’otto marzo, e pensare con più intensità alle donne, pensate a quelle 
cui – a causa di un cancro - tocca rinunciare alla bellezza della loro scollatura, ad uno dei loro seni o ad entrambi, a una parte sostanziosa della loro femminilità, cui tocca rinunciare all'emozione di poter nutrire un figlio col loro corpo, e agli uomini che stanno loro vicino e le fanno sentire belle e immensamente forti, nei lunghi calvari tra chemio e ospedali. O alle donne che ancora, nel 2015 in Italia, subiscono violenze fisiche e psicologiche da mariti barbari, sotto gli occhi dei loro figli. O alle bambine, in altri posti, che vengono sposate bambine e che da bambine sono succubi di una società matriarcale che le vuole prive di desiderio e godimento fisico, con pratiche folli come l’infibulazione. O a quelle che, come la mia mamma, faticano ad arrivare alla fine settimana con serenità. Oppure ancora a quelle splendide che mandano avanti da sole famiglie intere, coi doppi turni, con gli straordinari, senza sosta, con fatica. Ma questo spesso lo fanno anche gli uomini, quindi è inutile chiuderci una bolla di sapone supplici verso l’altro sesso, affinchè ci riconosca uguali ed equivalenti, perché non serve, e ci fa amare di meno. In senso riflessivo e non.

Buona festa delle donne, anche agli uomini. Perché siamo complementari, con le nostre diversità genetiche e caratteriali, ed è questo la vera verissima parità. Perché la fusione che genera la vita non è un mero atto fisico procreativo, non è solo far l’amore, è l’imprescindibilità che la vita stessa richiede, di una parte e dell’altra. Amiche, stasera prendetevi una pizza col vostro compagno e guardate un film, sentitevi fiere di passare due ore ai fornelli a cucinare una cena speciale per lui senza pensarvi schiave, amatelo, non scappate a chiudervi in buchi di pub, a insozzarvi il cappotto di umori maleodoranti, in un’orda di urla e risate e apprezzamenti volgari, avete tutto il tempo del mondo per godere della compagnia di altre donne, vostre amiche, vostre madri, con molta più naturalezza e non perché un giorno sul calendario lo impone. E poi, organizzatori di serate, non vi seccate: io non l’ho capita mai questa cosa che per entrare nei locali le donne pagano cinque euro e gli uomini il doppio. E perfavore, non inventatevi la cazzata che è per farci una gentilezza, per galanteria e savoir faire. E’ solo per popolare i vostri eventi di tanta bella fauna al femminile, in modo da attirare altrettanta gagliarda presenza maschile, quindi rifiuto e vado avanti.

Siamo donne, mica sceme. 

martedì 3 marzo 2015

#perlagola - Luca presenta @cadegiùilsoffritto, foto-storia di una passione


Qualche volta da queste parti s'è parlato di cibo, di quello buono, quello godereccio, non il junk food da grande catena, ma curato in cucina. Fatto con amore.

Luca l'ho conosciuto ch'eravamo piccoli, fra i banchi di scuola media. Io ero a seconda fila, lui a terza cioè ultima. E siamo sempre stati amici. A quell'epoca, l'attenzione per il cibo sano non m'aveva ancora acchiappato, quindi capitava a ricreazione che mangiassimo panini con prosciutto, formaggio e olive, alle dieci e mezzo del mattino, che adesso corrisponde con l'alba dei miei risvegli. Iperglicemici.

Con Luca poi ho condiviso la mia adolescenza, anche quella più matura, e il - benedetto - crescere con noi, della sua più grande passione: la cucina. Capitava, quand'ero studentessa fuori sede, che tornassi a casa il venerdì sera, e ad accogliermi c'era una cena preparata da Luca a casa di Flavia, e non era mai una banalità. Il piatto che ancora, dopo anni, non riesco a togliermi dalla testa è un risotto ananas e salmone che, date le mie scarse capacità, non ho mai neanche provato a riprodurre. Ma anche una lasagna verde alle noci di cui conservo ancora gelosamente una foto nel mio archivio foto dai vecchi cellulari volati nel paradiso dell'elettronica. Ma anche un altro risottino alle fragole e una lista infinita di cose buonissime che continuo a ricordare ed è meglio che mi fermo qua.

Qualche mese fa, su Instagram, Luca annunciò a noi, suoi follower che a breve avrebbe aperto un canale per presentarci le sue ricette, quelle che adesso, dopo una vita di passione culinaria, ha messo a frutto fra i fornelli di casa sua, per la gioia di suo fratello Lando, tester personale degli esperimenti mangerecci di casa Costanza. La cosa che più m'ha colpito del canale in questione è il nome: cadegiùilsoffritto , che adesso è bello aperto e visibile a tutti. Luca ha preso a postare con una certa regolarità le foto dei suoi manicaretti: colorati, freschi, gustosi, sofisticati ma riproducibili da chiunque volesse farlo, grazie alle procedure passo passo che inserisce in didascalia, per i cooking dummies come me.

Delle ricette che Luca ci ha regalato su cadegiùilsoffritto, ne ho scelta una, che mi aiuterà a farvi capire che roba di gusto troverete nel suo foto-spazio. Ve la posto qui di seguito, con tanto di immagine, per rendere l'idea della cura estetica che ha per i piatti, il resto potete seguirlo su Instagram. Buon appetito, e attenti al soff(r)itto!