E tu sei il numero:

giovedì 4 febbraio 2016

I'm no hero (but love can do miracles)

Ho sempre detestato ammettere di avere paura.
E' raro, in verità, che io abbia paura di qualcosa. A parte il buio, i gatti, gli occhi dei gatti nel buio, le calze color carne e gli abiti maculati, niente mi fa davvero paura. A parte lui.

Lui è quella parola che ritorna, ogni tanto, dal nulla. Evanescente come un fantasma, tutti evitiamo  di nominarlo, di accettare che sia stato nelle nostre vite, nella mia, finchè un segno qualsiasi ci porta a fare un accenno vago, vaghissimo, a quella cosa. Così brutta da dire, così antipatica da ricordare.
Ecco, di lui ho paura. Perchè lui è nei numeri, nelle statistiche, nei valori, nei risultati attesi con le mani fredde, sudate, in lunghissime notti insonni, di sveglie prima della sveglia. E oggi lui è con me, nella mia testa. Non so se ci sia proprio fisicamente, dentro la mia testa, perchè dopo cinque anni è improbabile, ma negli ultimi anni le recidive da adenoma sono arrivate al 50%.
Così mi hanno scritto su un gruppo di Facebook.

Ogni volta che lui ritorna a farmi pizzicare il culo, il mio peggior nemico è Google. Stando a Google, tutto lascia chiaramente intendere che morirò domani. Io rido, rido assai, perchè prima o poi si muore tutti quanti, ma non sarà internet a stabilire quando. Riempio un calice di rosso e rifletto sulla possibilità che lui possa non esserci. Il vino è acqua nella mia bocca in questi giorni. La pasta è plastica, la carne non ha sapore e gli odori sono svaniti. Puff. Mi sveglio una mattina e non sento il profumo della vita, che se lo raccontassi al buon Gianni di UniEuro non mi crederebbe neppure lui. Non del tutto, ma una buona parte di loro è stata sostituita da un odore fetido di pesce marcio e scarpe da tennis. Posso sentire la calma alcolica del vino, ma non posso gustare il piacere del suo sapore, la sua fermentazione. Curioso: fra venti giorni c'è la mia prima lezione da sommelier.

Ho scelto di iscrivermi perchè quando scrivo di cibo, mi piacerebbe saper raccontare i vini, con la cura e il rispetto che meritano. E adesso, eccomi qua, con un naso inutile e la paura che quella cosa stia di nuovo pulsando viva dentro la mia testa, che possa di nuovo comandare. Ho immerso le narici in un barattolo di salsa barbecue per capire: poca roba, poco sapore. Nell'ultimo anno era successo un'altra volta. Venti giorni di ritardo, pensavamo di essere in attesa di un bimbo. Poi dei numeri su un foglio, centinaia di migliaia cellule fuori posto e lo strapiombo della razionalità. 

Dov'eravate voi, cinque anni fa?
Noi stavamo preparando il nostro esame di storia della musica, in una stanza al secondo piano, nei  pressi di Corso Italia, coi cartoni della pizza sul comodino e Wagner che suonava a tutte le ore dai nostri pc. Mi avrebbero chiamata due mesi dopo, per buttare fuori da me quella cosa. Che ancora oggi mi paralizza di terrore, nonostante ammetterlo sia una sconfitta. O forse è solo il vino che parla - o meglio scrive - e batte le dita sulla tastiera al posto mio, perchè io paura non ne ho. Io sono forte, e l'ho ripetuto così tanto e così a lungo allo specchio, che alla fine mi sono convinta che sia vero.
Ma io non sono un eroe,  e in fin dei conti credo che gli eroi, la sera, quando tornano a casa dopo aver salvato il mondo, appendono il mantello al chiodo e piangono. Per la stanchezza e un pochino di paura anche loro. Fino a quando non arriva qualcuno a dare loro un bacio.

La paura dura il tempo di un bacio, poi passa tutto.

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