E tu sei il numero:

giovedì 21 giugno 2018

La maturità di Gabriele.

Mentre scrivo, Gabriele sta sostenendo la seconda prova scritta dell'Esame di Maturità.
Un anno fa è tornato a casa da lavoro e mi ha detto: mi voglio diplomare. E adesso lo sta facendo.
Gabriele è un tipo sveglio, di quelli sgamati, che non ha bisogno di applicarsi tanto per imparare qualcosa: lui osserva, ascolta e dopo un minuto replica, e anche bene. Però ha scelto di lavorare, da sempre, imparando un mestiere faticoso ma che lo affascina, lo appaga in un modo ai miei occhi misterioso, ma che lui sa.
Il mese scorso mi ha mostrato fiero la foto di un cappuccino, con la schiuma ch'era una nuvola perfetta. Io, abituata ai suoi cappuccini che sono tutti delle nuvole perfette, non mi sono stupita. Gli ho chiesto: e allora?
Mi ha risposto: è latte di soia, amo! Capisci? E' difficilissimo far montare così il latte di soia!
E allora sono stata felice anche io, per il suo cappuccino con latte di soia, montato a nuvola.
«Lo faccio per diminuire il gap culturale tra me e la mia compagna», ha spiegato al dottore che mi stava prescrivendo le analisi del mese. E allora abbiamo riso, tutti e tre. Ma io ridevo perché, onestamente, sono più le cose che lui ha insegnato a me in questi anni, che viceversa. Gabriele è sempre stato per me un esempio, un punto d'arrivo e l'altra sera ad una degustazione di vini, parlando con un sommelier, mi ha fatta impallidire di vergogna. Enumerava cantine, etichette ed annate, con una sicurezza appassionata e un entusiasmo che - credo - di non provare per nulla di specifico, nella mia vita. Invece lui ama, scava, studia l'intimità di ogni segreto che riguardi una tazza, un calice, un piatto e un bicchier d'acqua: come fanno i professionisti, che stanno in silenzio, non si celebrano, e intanto ascoltano, annusano, assaggiano, sbagliano, apprendono di continuo.
Ha scelto un mestiere e adesso anche il diploma, celebre pezzo di carta, che pure non mi pare sufficiente a testimoniare la sua cultura su un universo infinito di cose sulle quali mi rinfresca spesso la memoria, nonostante io le abbia imparate ben sei volte in sei diversi esami di storia all'Università. Sono così piena d'orgoglio, se penso poi che finita questa mattinata a scuola, tornerà a casa per un piatto di pasta super veloce, vestirà la sua divisa da lavoro e inizierà il suo turno, fino a questa notte.
In un mondo di ragazzini viziati che vedono i libri come una condanna invece che come la libertà, e di lavoratori perennemente stanchi e lamentosi, questo padre di mio figlio mi pare un eroe sorridente, che non bofonchia mai, e fino a tarda notte resiste sveglio ai miei racconti, alla mia necessità di parlare, per non pensare al parto. E che parla inglese perché l'ha imparato servendo pasta con le vongole e caffè macchiato ai turisti americani, e mi stupisce sempre per la tenacia e la caparbietà con cui attraversa le sfide.
Gabriele non mi ha mai detto: sono stanco, lasciami stare.
E non ha mai lasciato che i piatti sporchi restassero sporchi per più di un giorno, quando non potevo alzarmi dal letto.
E la sveglia alle quattro, tutte le mattine, non la maledice mai: è il nostro pane, dice.
E sarà l'esempio migliore del mondo per il nostro Antonio, che spero gli somigli almeno un po', e non prenda da me l'incostanza latente che ogni tanto m'acchiappa.
In bocca al lupo papi, siamo tanto fieri di te.

Nessun commento:

Posta un commento