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martedì 16 agosto 2016

Cronache di una convivenza: mese otto.

L'arrivo settimanale del nostro giorno libero vuol dire svegliarsi insieme, con calma, sorseggiare il caffè in soggiorno, con gli occhi ancora chiusi dal sonno, aprire le persiane e cercare Fox Animation su Sky. Il giorno libero vuol dire che possiamo far colazione senza dover correre a lavoro, e fare la doccia lentamente, godendoci l'acqua che gronda sulle nostre teste e le deterge a fondo, in una nuvola di schiuma bianca che profuma di pesca. Avere il giorno libero vuol dire baciarsi ovunque, per la casa, e non solo sull'uscio, come fosse un furto maleducato.
Ma quando abbiamo il giorno libero vuol dire che le nostre divise da lavoro vanno sulla poltrona, in camera da letto, a riposare pure loro. Quindi vuol dire anche che: io devo stirare. E sono cazzi.

Per una donna, andare a vivere col proprio uomo, significa anche misurarsi con gli standard qualitativi della donna che se n'è occupata fino ad allora: la mamma. E mia suocera, essendo cuoca superba e stiratrice universale, rappresenta uno standard, diciamo, compreso tra il 90 e il 100. Come potrei mai competere io, che fino a qualche mese fa non sapevo ancora impostare la centrifuga nella nostra lavatrice?

Capitava che tirassi fuori tutta la roba dall'oblò, tutta inzuppata d'acqua calda, e che dovessi usare due mani (e la forza di due braccia) per stendere due asciugamani, i quali iniziavano a gocciolare, prima lentamente poi sempre più forte, diventando una cascata e inondando il balconcino del buon Mohammed del primo piano. La seconda settimana me lo fece notare, incontrandomi per le scale: signora, tu non strizzi vestiti. 
Così ho dovuto studiarmi il manuale delle giovani marmotte casalinghe, per imparare il giro di manovella necessario a strizzare vestiti. Signora.

Il giorno libero di oggi ha implicato l'accensione del ferro da stiro, perchè le magliette già stirate si era comunque fottute nell'armadio e ad altezza del petto avevano più curve di Valeria Marini.
Mentre cercavo di abbatterle con la furia di calore possente firmata Arieteilgeniodellacasa, pensavo: mia suocera le avrebbe già eliminate con un colpo solo, e anche mia madre. Sarebbe già tutto bello liscio qui. E con rabbia affondavo la poppa della piastra rovente, attraversando i mari di pieghe in tempesta sulla polo bianca, che tanto amo vedergli addosso.
Comunque sia venuta fuori la piega, o calma o agitata come il mare di questi giorni, lui arriva e si tuffa con dolcezza nelle mie ansie di non essere mai troppo, di non fare mai abbastanza. E mi chiedo anche se sia stata la scelta giusta iscrivermi a questa specialistica, e anche se sono realmente portata per il mio nuovo lavoro. Mi chiedo mille cose, se le farò bene, se le sto già facendo bene. O almeno meglio di come stiro le polo e le camicie, con quelle sono proprio una frana.

Forse vivere insieme vuol dire proprio questo.
Stirare le pieghe nel cuore dell'altra persona, prendere i difetti e farli diventare favolosi, ridendoci sopra. Certo, ogni tanto è anche terapeutico far volare i piatti (quelli di Tiger, non quelli del servizio buono) e poi ritrovarsi a far pace su un angolo di lenzuolo fresco di bucato. Ci sono dei giorni, quelli non liberi, in cui ci si vede solo appena svegli e poi un attimo prima di dormire, la sera. Quelli sono i giorni in cui mancarsi, pur condividendo lo stesso tetto, sembra paradossale eppure è.
Chissà se questo anno ci porterà sulla strada giusta, quella in cui siamo noi a decidere quando essere liberi e quando no, questo sogno infinito e che prende corpo momentaneamente solo su qualche post-it e una cartella di Pinterest. So però di certo che abbiamo capito che amarsi non è così facile, nè da vicino nè da lontano, ma se ci si ama tanto non c'è lavoro che possa tenerci distanti o calzino sporco che possa smorzare la nostra passione. Si chiude la porta di casa a doppia mandata, si stacca la presa del ferro da stiro, si tirano fuori due birre gelate dal frigo e si guarda una puntata di Friends sul divano. La pila di vestiti può aspettare un'altra settimana.



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