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sabato 25 aprile 2015

Libera parola donna

In questa giornata in rosso, non solo sul calendario, riapro il mio blog, che non è mai stato chiuso, solo spiato da una finestra.
La stanza è quella di una ragazza un po' più grande, con un nuovo lavoro e sempre alle prese con la sua tesi di Laurea, e un ultimo esame che sembra non voler passare mai.

Il mio nuovo lavoro non è un vero e proprio lavoro perchè quella storia che se ti piace ciò che fai non lavori neppure un giorno nella tua vita è vera. Io racconto. Racconto come ho sempre fatto e come, credo, sempre farò. Stavolta la mia mission è quella di mangiare, mangiare, mangiare e poi scrivere come sono fatte le cose che mangio, che sono sempre buone, e sono sempre cucinate in un posto, da due fratelli con quattro mani benedette che non vi dico. Insomma, sono ciò che comunemente è noto come food blogger, anche se in genere i rappresentanti della categoria sanno cucinare e raccontano le loro, di ricette. Io, al massimo, so scongelare i sofficini per poi infornarli, quindi mi limito a mangiare, ma ciò non toglie che sempre di food si parli nel mio blog Beddu Manciari, leggibile qui .

Mangia che ti rimangia, in ogni caso, la panzetta s'è fatta rivedere e sentire sull'ormai immancabile appuntamento di tutte le settimane: quello con la mia bilancia Philips che fa lo sconto di un chilo, motivo per il quale non ho mai voluto cambiarla, sospendendo quel rapporto di odiamore infinito che solo lei ed io sappiamo. Evidentemente, per me, non è più tempo di saldi e la tanto sudata 44 s'è fatta poco poco meno comoda. Tanto che, l'altro giorno, ho chiesto alla mia donnina di undici anni, Dalila, personificazione della verità e della bontà: ma secondo te si vede che ho preso cinque chili Dadà? E lei, con l'espressione pragmatica di chi è assolutamente certo di ciò che sta per dire, m'ha risposto con l'intelligenza di cui troppe volte - per effetto delle insicurezze tipiche delle femmine un poco più adulte - sono carente.
La mia professoressa di geografia m'ha detto che le persone sono fatte di molte cose, a parte il loro corpo. La simpatia, il sorriso, se uno è buono è buono, che ci fa se è cicciottello. Vale vedi che sei bellissima e bravissima, ma che domande mi fai? E poi non lo sai, nell'antichità le donne cicciotte erano più belle, ci facevano le statue, no come ora, mah, che siamo pazzi!

E m'ha zittita. Pure di brutto. E domani vorrei andare in questa scuola media di Favara e stringere la mano alla prof di geografia che, grazie a Dio, non s'è fermata alla barbabietola da zucchero, ma sta insegnando a questa generazione cose meravigliose, tipo l'amore per se stessi e la vanità del corpo e dell'esteriorità. Quello che non hanno insegnato a noi, chè magari ci avrebbe aiutato ad essere donne meno fissate con la galletta di riso nella pochette e col conto delle calorie sempre attivo.
Con l'esperienza di Beddu Manciari , il mio nuovo progetto di blogging per Salmoriglio, ad esempio, ho sperimentato per la prima volta il godere del buon cibo e del buon vino, assaporare i fritti e le creme e i calici profumati, senza conteggi, senza complessi. La libertà di uscire fuori dal proprio rapporto monogamo con etti di troppo e paure, e lasciarsi andare alla bellezza di una curva, di una rotondità felice. Tradire il complesso, chè tanto non muore nessuno, chè tanto siamo belle lo stesso.

A proposito di libertà e di donne, e di donne libere, oggi ch'è il 25 aprile, ricorrenza che sento particolarmente radicata nella mia coscienza, mi sono ricordata di una bella intervista che feci anni fa per RadioLab Catania. Dei miei tentativi di giornalismo, due sole sono le interviste che sono contenta d'aver fatto, per l'importanza delle persone intervistate, senza dubbio, ma anche per quello che mi hanno regalato: quella a Pino Maniaci, che vi racconterò a tempo debito, e quella ad Adele Cambria, conosciuta per caso durante una lettura, a Catania, dei libri della sua amica Goliarda Sapienza: scrittrice, attrice, partigiana. Adele mi raccontò molto del coraggio di Goliarda, per questo oggi voglio citare un passo da L'arte della gioia, per chiudere bene questa giornata, perchè oggi mi va, e mi sembra uno specchio in cui non mi sono mai riflessa così nitidamente, e perchè  forse essere liberi comprende anche il lusso di guardarsi allo specchio, e amare le proprie giustissime imperfezioni, soprattutto quelle della mente, che sono assai, che sono perfino di più.

Il male sta nelle parole che la tradizione ha voluto assolute, nei significati snaturati che le parole continuano a rivestire. Mentiva la parola amore esattamente come la parola morte. Mentivano molte parole, mentivano quasi tutte. Ecco che cosa dovevo fare: studiare le parole esattamente come si studiano le piante, gli animali… e poi, ripulirle dalla muffa, liberarle dalle incrostazioni di secoli di tradizione, inventarne delle nuove, e soprattutto scartare per non servirsi più di quelle che l’uso quotidiano adopera con maggiore frequenza, le più marce, come: sublime, dovere, tradizione, abnegazione, umiltà, anima, pudore, cuore, eroismo, sentimento, pietà, sacrificio, rassegnazione.
Imparai a leggere i libri in un altro modo. Man mano che incontravo una certa parola, un certo aggettivo, li tiravo fuori dal loro contesto e li analizzavo per vedere se si potevano usare nel “mio” contesto. In quel primo tentativo di individuare la bugia nascosta dietro parole anche per me suggestive, mi accorsi di quante di esse e quindi di quanti falsi concetti ero stata vittima.

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